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Giovedì, 28 Marzo 2024
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“Enel, dirigenti hanno deliberatamente consentito scarico di carbone”

La Corte d’Appello: “Mail e video dimostrano piena consapevolezza del fenomeno della polvere in direzione dei terreni. Difesa fantasiosa su combustione di biomasse, patologie vegetali e insetti”. Danni alla Provincia: “Lesione diritto alla salute, all’iniziativa economica, al territorio, all’immagine e al turismo”

BRINDISI – “I dirigenti Enel non solo non si sono adeguatamente attivati per la tempestiva risoluzione della problematica connessa all’emissione di polvere di carbone, ma hanno consentito deliberatamente operazioni di carico e stoccaggio del combustibile, nella piena consapevolezza che determinavano necessariamente la protrazione certa del fenomeno dello spolverio in direzioni dei terreni adiacenti alla centrale di Cerano”. Condotte che per la Corte d’Appello hanno causato danni risarcibili in favore della Provincia, in aggiunta a quelli già riconosciuti dal Tribunale per i proprietari dei fondi vicini alla centrale e per i residenti.

La centrale Enel di Cerano

Le motivazioni della sentenza d’Appello

I giudici della Corte d’Appello di Lecce hanno affermato l'esistenza dell’"elemento psicologico del dolo diretto” confermando la condanna per getto pericoloso di cose, con assorbimento del reato di imbrattamento,  e sono arrivati alle stesse conclusioni del Tribunale, pronunciando la sentenza lo scorso 8 febbraio. Le motivazioni sono state depositate il 14 marzo.  In secondo grado c’è stata conferma della condanna per Calogero Sanfilippo, responsabile sino ad oggi, in seno ad Enel della produzione termoelettrica con l'impiego di carbone; Antonino Ascione, responsabile dell'Unità di Business di Brindisi dal 10 settembre 2007 sino a oggi: nove mesi, pena sospesa e non menzione. Benefici riconosciuti essendoci stata una “inversione di rotta” rispetto alle condotte oggetto di contestazione sino alla fine del 2013, con il completamento della copertura del carbonile”. Non luogo a procedere per intervenuta prescrizione per Sandro Valery e Luciano Mirko Pistillo, "avuto riguardo per la data di cessazione dagli incarichi" ricoperti in Enel.

Il dolo diretto e la strategia aziendale

“Sanfilippo e Ascione – si legge – avevano il potere giuridico e materiale di compiere l’attività richiesta, in quanto titolari di una posizione di garanzia giuridicamente rilevante perché il corretto e tempestivo adempimento degli obblighi di attivazione ad essa correlati era sicuramente idoneo, in concreto, a impedire il verificarsi dell’evento”. Gli imputati, inoltre, “avevano a disposizione tutti gli strumenti, compresi quelli finanziari”. Ma non hanno realizzato, per tempo, "l'unica soluzione impiantistica idonea allo scopo, ovvero la copertura del carbonile, perché ritenuta troppo onerosa".

Condotte “gravi”, “protratte per un lungo periodo di tempo, in esecuzione di una precisa strategia imprenditoriale noncurante delle ripercussioni negative sulle persone offese dalle scelte produttive” hanno impedito il riconoscimento delle attenuanti generiche.

Nessuna rilevanza scriminante è stata attribuita all’osservanza della prescrizioni dell’Aia, poiché “le cautele assertitamente poste in essere, si sono rilevate in concreto non idonee a evitare lo sversamento delle polveri” e perché è “stato accertato che più efficaci rimedi avrebbero potuto essere adottati ed erano, quindi, esigibili”. Per la Corte, “solo la copertura del carbonile garantiva la cessazione del fenomeno, con costi decisamente non esorbitanti rispetto agli standard di produzione industriale, come dimostrato dalla scelta della società di provvedere alla costruzione dei drome, ultimata nel 2015”.

Pigmentazione da polvere di carbone su una vite-2

Le polveri di carbone

“E’ fuori discussione, sulla scorta delle univoche risultanze di tutte le fonti di prova – testimoniali, documentali, tecniche e investigative – che il fenomeno della dispersione della polvere di carbone dalla centrale e del suo successivo deposito nei terreni limitrofi si sia verificato in via continuativa e senza intervalli sino alla definitiva copertura del carbonile”, hanno scritto i giudici della Corte d’Appello. Aerodispersione dal “nastro trasportatore o asse attrezzato, dalle torri di smistamento e con maggiore intensità dal parco del carbonile”.

E’ emerso, come era stato già evidenziato dal Tribunale, che “il fenomeno in questione ha per anni rappresentato una conseguenza diretta e inevitabile del ciclo produttivo della centrale o comunque dell’attività economica cui lo stabilimento era preposto”. “Ciò è tanto vero – si legge nella sentenza – che il Tribunale di Brindisi è riuscito a fornire una minuziosa ricostruzione, anche cronologica, delle emergenze probatorie senza infingimenti e perplessità di sorta, che lo spolveramento della polvere di carbone, la successiva dispersione e infine il suo ripetuto e continuativo deposito nei terreni circostanti, con conseguente molestia dei proprietari e degli utilizzatori dei fondi, non sono stati affatto gli effetti sporadici e occasionali”, come ad esempio “la qualità del combustibile usato oppure difficoltà operative momentanee”. I casi “più eclatanti sono stati riconosciuti dall’Enel Produzione in documenti e report, non solo interni, ma anche portati a conoscenza di organismi pubblici e privati”.

Le mail fra i dirigenti

Tra le prove, la Corte ha ricordato il contenuto di alcune mail trovate sui computer sequestrati dagli agenti della Digos nel periodo delle indagini: lo scambio di corrispondenza avvenne tra “i vertici dell’Unità di business della centrale Federico II e i responsabili dell’area di business di Enel produzione” e aveva ad oggetto “la dispersione della polvere di carbone”. Sulla scorta di questo scambio, la Corte sostiene che “può dirsi accertato non solo l’esistenza di fatti di dispersione, ma anche la perfetta conoscenza da parte di Enel, della carenze che causavano queste dispersioni”.

Tra queste, nelle motivazioni, è stata ricordato il seguente passaggio: “…tutto l’impianto di nostra competenza, è in condizioni di grave sporcamento che rende pericolo per il personale addetto all’impianto e pericolo le stesse parti d’impianto (vedasi il principio di incendio nel turno del 4 aprile 2004”.

“Molte mail” si riferiscono allo “sviluppo delle trattative in corso con gli agricoltori per la corresponsione di indennizzi o per l’acquisizione di fonti limitrofi all’impianto”. E ancora: “Nelle mail degli anni 2007, 2008 e 2009 si attesta espressamente, in pieno contrasto con quanto sostenuto dalle difese negli atti di appello, che le soluzioni tecniche adottate dopo il comitato tecnico del 2005, non abbiano affatto modificato la situazione annullando o riducendo i fenomeni di dispersioni”.

L'attuale carbonile-2I video della Digos

La Corte ha anche fatto riferimento ai video registrati dagli agenti della Digos: “Non vi è motivo di interpretare le immagini in modo difforme da quanto riferito dal testimone di polizia giudiziaria che ha anche avuto modo di vedere direttamente e personalmente” la situazione “invero non particolarmente complessa e suscettibile di interpretazioni diverse e comunque tale da non giustificare in alcun modo il palese fraintendimento di cui hanno parlato i consulenti della difesa”, è scritto nelle motivazioni.

Gli accordi di transazione

Enel, a sua volta, con l’accordo di transazione sottoscritto con Coldiretti il 12 settembre 2000 e con quelli successivi, sino al 2008, con i singoli proprietari dei terreni vicini alla centrale, ha “riconosciuto, in buona sostanza, in piena sintonia con l’ipotesi accusatoria, la persistenza del fenomeno di aerodispersione della polvere di carbone, in quanto necessariamente e inevitabilmente correlato al ciclo produttivo dell’energia elettrica”. Con riferimento agli accordi, la Corte ha ricordato i passaggi relativi alle finalità: “Per tutelare la propria immagine, facilmente danneggiabile da una contraria campagna di stampa”.  E ha ricordato che la società ha “versato a titolo conciliativo, somme di denaro a titolo di indennizzo, sulla scorta principalmente delle risultanze di specifici accertamenti delegati a un agronomo, il quale sentito in dibattimento, ha riferito di aver accertato, in numerose occasioni, la presenza di quantitativi non indifferenti di polveri nei terreni interessati dagli accertamenti commissionati da Enel”.

Innegabile è anche la prova scientifica rappresentata dal Piano di caratterizzazione delle aree pubbliche nella zona agricola del Sito nazionale di Brindisi, predisposto dagli studi fatti dall’università di Lecce e dall’Arpa, nonché le indagini condotte da Sviluppo Italia e la consulenza del docente incaricato dal pm.

La difesa

Le conclusioni dell’agronomo, a giudizio della Corte così come del Tribunale sono chiare: “Presenza di polvere di carbone nei terreni limitrofi durante un periodo di tempo prolungata di otto anni”. Conclusione “non smentita o ridimensionata dalle osservazioni critiche formulate dai consulenti della difesa”. L’agronomo, tra l’altro, è “particolarmente attendibile per avere sempre operato per conto dell’Enel”.

La tesi difensiva secondo cui “la polvere nerastra fosse prodotta in via esclusiva dal fenomeno della combustione di biomasse vegetali o da alterazione dei vegetali a seguito dell’azione di patologie o di insetti, appare non solo priva di supporto scientifico, ma davvero fantasiosa”, secondo i giudici d’Appello.

Polvere di carbone sulla mani di un agricoltore di Cerano-2

Danni alla Provincia

Rispetto alla sentenza del Tribunale, la Corte ha riconosciuto il diritto della Provincia a ottenere il risarcimento dei danni, “con riferimento alle componenti diverse da quello ambientale” che pure era stato chiesto dall’avvocato Rosario Almiento, arrivando alla somma complessiva di 500 milioni di euro. Il Comune di Brindisi, come si ricorderà, rinunciò all’Appello, durante l’Amministrazione di Angela Carluccio.

“Il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico alla integrità e salubrità dell’ambiente”, è disciplinato “dall’articolo 311 del decreto legislativo 152 del 2006, sicché il titolare della pretesa è esclusivamente lo Stato, in persona del ministero dell’Ambiente”.

Rosario Almiento“Non può dubitarsi – hanno scritto i giudici – che le condotte accertate abbiano potenzialmente leso diritto soggettivi, a contenuto patrimoniale e non, di cui l’Ente Provincia è titolare o comunque centro di riferimento e tutela anche esclusiva, secondo l’analitica prospettazione contenuta nell’atto di appello”. Nelle motivazioni si fa riferimento espressamente al “diritto alla salute, all’iniziativa economica nel settore agricolo, al diritto all’immagine, all’integrità del patrimonio provinciale intaccato dalle maggiori spese necessarie per la pulizia e la bonifica dei terreni e delle strade contaminate dalla polvere di carbone, l’incremento delle spese di promozione turistica, oltre al danno morale dell’immagine e perdita di chance”.

Il Tribunale, invece, aveva concluso per la “carenza di legittimazione” perché “l’istruttoria ha dimostrato che la diffusione della polvere di carbone, così come contestata, ha riguardato alcune aree adiacenti la centrale Federico II e non può assurgere a questione che riguarda l’intera collettività locale”. Sulla base di tale argomentazione, il Tribunale aveva ricordato, mutatis mutandis, il caso della Xylella fastidiosa e i danni lamentati “da un ente locale del Brindisino che aveva impugnato provvedimenti concernenti le misure adottate da autorità nazionali e regionali per fronteggiare la dichiarata emergenza legata alla diffusione del batterio”.

Almiento aveva quantificato il danno ambientale fino all’anno 2006 in 75 milioni di euro. Il danno patrimoniale in termini di investimenti finalizzati al monitoraggio dell’inquinamento atmosferico è stato quantificato nella somma di 118mila euro. Venti milioni per la bonifica ambientale. E ancora 100 milioni per la contrazione delle nel settore agricolo, 816mila euro per l’annullamento degli sforzi compiuti dalla Provincia per la promozione culturale e turistica del territorio con il marchio Filia Solis. Da ultimo,  250 milioni per danno di immagine per la “perdita di occasioni di sviluppo economico dal punto di vista turistico, eno-gastronomico e culturale”. 

Le altre parti civili

Gianvito LilloConfermate le statuizioni in favore dei proprietari dei terreni, degli agricoltori e dei residenti, per un totale di oltre 60 persone, rappresentate in giudizio dagli avvocati: Gianvito Lillo, Vincenzo Farina (i due penalisti nella foto accanto)  Marcello Falcone, Alberta Fusco, Leonilda Gagliani, Carmela Lo Martire, Pierfrancesco Pulli, Donato Mellone, Amilcare Tana, Giuliano Calabrese, Salvatore Del Grosso, Pasquale Rizzo,  Vito Epifani, Luigi De Rosa e Sergio Talarico.

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