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Ventotene e l'Europa di oggi: impressioni di maggio

Ventotene, giugno 1941: quel quarto di libertà che gli venne restituito grazie all'amnistia non bastò a placarne la solitudine. Le mani plumbee del penitenziario sul Tirreno scrutavano con paranoica attenzione le pagine dei libri einaudiani ricevuti per corrispondenza.

Ventotene, giugno 1941: quel quarto di libertà che gli venne restituito grazie all’amnistia non bastò a placarne la solitudine. Le mani plumbee del penitenziario sul Tirreno scrutavano con paranoica attenzione le pagine dei libri einaudiani ricevuti per corrispondenza. Ogni singolo rivolo di carta bianca tra le batttute d’inchiostro veniva lacerato, strappato affinchè nessuno potesse scriverci sopra: una volta vivisezionati, i libri venivano benedetti con la dicitura “verificato”.  Quell’estate Altiero Spinelli cominciò a sentirsi meno solo e non era solo per merito di Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni: le ventidue pagine di quell’opuscolo dal titolo “Per una Europa libera e unita” non erano soltanto un prezioso invito a sognare.

C’era infatti un invito ad operare in quei tre capitoli clandestini avvolti nei pacchetti di sigarette nazionali. Ursula Hirschmann, moglie di Colorni, diceva di sé: ”Non sono italiana anche se ho figli di italiani, non sono tedesca anche se un tempo la Germania è stata la mia patria. E non sono ebrea anche se è un caso che non sia stata arrestata e bruciata in uno dei forni. Noi, come disse Brecht, abbiamo passato più confini di quante scarpe abbiamo cambiato e nell’Europa unificata non abbiamo nulla da perdere apparte le nostre catene. Ed è per questo che siamo federalisti”.

Le corde vocali hanno quasi un sussulto : sembra quasi una ostinatata imprecazione sostenere oggi di essere federalisti. Settant’anni dopo ci ritroviamo con le nostre impressioni di maggio. Bruxelles continua ad ubriacarsi ma ha lo sguardo pallido questa volta e non è per colpa delle nuvole: c’è grande silenzio tra le antenne televisive che si ergono davanti al Berlaymont, gli operai che smontano le impalcature davanti alla Porta Altiero Spinelli del Parlamento.  “Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge cosi diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti tra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani”.

Rileggo in maniera autolesionista questo passaggio del manifesto di Ventotene: quello che doveva essere il nuovo oggi rischia di essere improvvisamente vecchio. La formula de “ la vittoria senza maggioranza” che condanna il Ppe ad una postura istituzionale abbastanza claudicante non è altro che il segno di quanto l’Europa oggi appaia vecchia tra i vicoli di quartiere. Quanto si è discusso di Europa durante questa campagna elettorale? E’ drammaticamente imbarazzante constatare come l’intera campagna elettorale per le europee in Italia sia dipesa dal bonus di ottanta euro promesso dal Governo Renzi e dai disperati fervori animalisti del Cavaliere.

La domanda è ancora appesa ad un filo: cosa significa oggi l’idea di Europa? Le crocifissioni austere dettate dalla Banca centrale europea, i conti pubblici tinteggiati di rosso, macellerie sociali introduttive di nuovi concetti di precariato giovanile e maturo sono davvero l’Europa? I 200 milioni di euro spesi annualmente per il mantenimento di una capricciosa doppia sede del Parlamento europeo a Strasburgo, aperta solo 56 giorni all’anno, sono davvero l’Europa? Sono Europa le gerontocrazie che fino ad oggi hanno assicurato per se stesse entrate parassitarie grazie al conservatorismo europeo?

Rivolgiamo lo sguardo a Ventotene con lo sguardo smarrito di un presente che non è consapevole: “Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami tra i movimenti simili che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, creazione più grandiosa e innovativa sorta da secoli in Europa. Per costruire uno stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi ed i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli. La vita da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”. Questo è il principio, questa è la genesi: riparti da qui Europa, ancora una volta.

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