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A cura di Blog Collettivo

Ospitiamo in questo Blog opinioni di alcuni cittadini Brindisini

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Come le viti americane salvarono l'agricoltura brindisina

L'idea di due siciliani trapiantati nella nostra terra. L'altra faccia dell'epopea dell'uva: lo sfruttamento dei coloni

Pubblichiamo il primo di tre articoli scritti da Cosimo Zullo, già dirigente della Federbraccianti Cgil brindisina, con l’obiettivo di raccontare lo sviluppo della viticoltura nel Brindisino e le lotte contrattuali di coloni, compartecipanti e mezzadri. Questo articolo abbraccia il periodo del 1920 alla fine del secondo conflitto mondiale, i prossimi rispettivamente dal 1947 agli inizi degli anni ’60, e dalla metà degli anni ’60 fino all’approvazione della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari) relativa, tra gli altri, all’intervento per la trasformazione della colonia in affitto.

Dal 1920 al 1945: filossera e contratti capestro

Agli inizi del 1900, con l’estensione della coltivazione dei vigneti, ci fu la proliferazione di rapporti contrattuali atipici che lasciavano l’onere delle trasformazioni a completo carico di coloni e contadini. Il tipo di impianto utilizzato prevedeva di piantare tralci di vite già da frutto, senza necessità di innesto. Ben presto, questa tipologia di impianto non si dimostrò adatta alle caratteristiche dei nostri terreni e all’ambiente climatico tipico della nostra provincia.

Nel periodo successivo, tra la fase immediatamente precedente e l’inizio della Grande Guerra (1910-1916), un’epidemia di fillossera della vite (larve che attaccano le radici dei vigneti) distrusse la maggior parte dei terreni. Diverse aziende agrarie si trovarono a dover fare i conti con la fame e il bisogno di lavoro di migliaia di lavoratori e per tale ragione molte terre incolte, anche le più paludose, furono date in concessione a braccianti e coloni, che si adoperarono per impiantare nuovi vigneti.

Era un periodo molto complicato: con la Guerra lo stato economico e sociale del Sud Italia era divenuto drammatico e lo fu reso ancora di più dall’epidemia di Spagnola che, tra il 1918 e il 1919, aveva fatto milioni di morti in tutta Europa e in America. Inoltre non esisteva una regolamentazione delle concessioni e queste venivano affidate attraverso contratti che si differenziavano da azienda a azienda e a volte, all’interno della stessa azienda, da colono a colono.

Le quote di spettanza erano di molto inferiori al 50 per cento e, successivamente, durante il periodo fascista, i capitolati colonici sarebbero stati in prevalenza ancora più a favore dei concedenti. Al  riguardo l’on. Livio Stefanelli di Brindisi nel suo libro “Arretratezza e patti agrari nel Mezzogiorno - La colonia migliorataria” evidenzia alcune delle clausole di particolare interesse della scrittura privata sottoscritta il 25 dicembre 1938 tra l’on. dott. Antonio Daniele in rappresentanza dell’Azienda Daniele - Profilo nel comune di Mesagne e Agnello Giovanni più altri 34 mezzadri.

Un esempio di accordo padrone - mezzadri

“La durata della mezzadria – riportava quella scrittura privata -  si conviene in anni 28 dal 25 luglio 1938 al 25 ottobre 1966, alla quale epoca i mezzadri dovranno riconsegnare alla proprietaria, senza bisogno di alcun atto di licenza, le rispettive quote nello stato di miglioramento in cui si troveranno senza poter pretendere indennizzi di qualsiasi natura o sorta; […] La piantagione del vigneto sarà fatta dai mezzadri entro l’annata agraria 1938/1939 su ceppo americano e a sistema aratorio”.

 E ancora: “L’estirpazione delle erbe nocive esistenti nelle quote dovrà essere completata dai mezzadri entro il 31 dicembre 1940, intendend0si in caso contrario risoluto il contratto a tutto danno dei mezzadri negligenti. Quanto di materiale e di lavori potrà occorrere per la piantagione del vigneto andrà tutto esclusivamente a carico dei mezzadri […], impegnandosi il Dott. Daniele a fornire soltanto il legno americano occorrente per l’impianto, […] che gli sarà però rimborsato per metà dai mezzadri a partire dal raccolto del 1942”.

“Tutti i lavori colturali, opportuni e necessari, sono a carico dei mezzadri […]; per tutti i trattamenti cuprocalcici il Dott. Daniele si impegna a fornire annualmente a partire dal 1942, 40 Kg di solfato di rame per ettaro di vigneto […] tutto il rimanente occorrente per le irrorazioni, secondo l’andamento delle annate sarà a carico dei mezzadri, i quali provvederanno anche allo zolfo occorrente per le solforazioni,  facendo proprie in compenso tutte le produzioni di sarmenti delle viti dopo la potatura.”

“Il prodotto del vigneto – proseguiva l’atto - sarà diviso a metà alla proprietaria e metà ai mezzadri a cominciare dalla vendemmia del 1942 […]; la vendemmia dovrà eseguirsi nei giorni indicati dalla proprietaria e a spese dei mezzadri, i quali si obbligano a trasportare tutta la produzione di uva sulla bascula situata sullo stradone di comodo. I mezzadri non potranno ritirare la loro metà di uva, se prima non avranno saldato tutte le partite del loro dare verso la proprietaria”.

La fortuna di due siciliani a Brindisi

È in questo contesto che si colloca la testimonianza che ho raccolto e di cui ringrazio Cosimo Campana, nipote di Salvatore Italiano (Milazzo, 1889), un coltivatore siciliano che nel 1920 si trasferì a Mesagne esportando le tecniche di innesto che aveva avuto modo di sperimentare in Sicilia. Prima della guerra, insieme a suo cugino Nunzio Formica (Milazzo,1890) aveva lavorato a Cefalù nello stabilimento vinicolo di un barone del luogo. Durante quella esperienza avevano avuto modo di adoperarsi con le nuove tecniche di contrasto all’epidemia di fillossera che dopo la Francia aveva colpito l’Italia e in particolare la Sicilia.

Nel 1919 Formica, che si trovava a Brindisi per svolgere il servizio militare in Marina, aveva visto quale fosse la situazione delle terre della provincia, con terreni abbandonati e incolti dopo il flagello della fillossera. Tornato a Milazzo condivise col cugino ciò che aveva visto e i due decisero di venire a Mesagne. Avevano capito che nelle nostre terre gli si sarebbe potuta aprire l’occasione della vita e la sfruttarono portando le tecniche che avevano utilizzato in Sicilia, in particolare quelle relative all’utilizzo di un vitigno americano come base su cui praticare un innesto.

Tra il 1920 e il 1921 ebbero contatti con diverse aziende agrarie – l’azienda Castel Acquaro del marchese Granafei, l’Azienda Caputi del generale Caramia e quella di Scipione Terribile, dove furono ospitati in una delle abitazioni in via dei Falces – e il loro contributo fu fondamentale per la ripartenza del settore vitivinicolo.

I due cugini, di idee monarchiche, riuscirono a muoversi con abilità anche durante il periodo fascista e riuscirono a far prosperare le proprie attività. Dal porto di Napoli partivano bastimenti diretti in America, carichi di fusti con concentrato di salsa, e ritornavano con fusti pieni del nuovo vitigno americano.

L'innovazione degli innesti su viti americane

Con lo sviluppo delle attività crebbe anche la necessità di avere nuovi innestatori: inizialmente fecero venire a Mesagne i loro parenti, già esperti nelle attività di innesto; successivamente invece cominciarono a essere impiegati i primi innestatori locali, tra cui anche molte donne. In quest’ottica fu fondamentale l’attività di formazione svolta sia nelle aziende che negli Istituti scolastici (Formica all'Istituto agrario di Bari e Italiano a quello di Lecce).

Nel 1923 i due cugini avevano deciso di trasferirsi definitivamente a Mesagne con le proprie famiglie e iniziarono a costruire le proprie abitazioni in Via San Donaci, dove ancora vivono dei loro parenti. Fu un periodo importante perché dovettero prendere delle scelte che avrebbero condizionato l’indirizzo futuro della loro attività, in particolare per ciò che riguardava le tecniche colturali da utilizzare: il tipo di innesto da scegliere per ottenere vitigni di lunga durata (innesto a spacco o a scudetto); la scelta della tipologia di barbatella da innestare nei terreni; la varietà di uva da lavorare.

Anni dopo, nel 1930, avrebbero contribuito ulteriormente allo sviluppo del settore vitivinicolo della provincia, con l’istituzione – su loro iniziativa – del Consorzio per la coltivazione delle barbatelle, che rese possibile la nascita e lo sviluppo di tanti piccoli impianti di trasformazione dell’uva.

Riguardo quest’ultimo punto, in particolare, decisero di utilizzare uva ad alta gradazione (negro amaro, mangiaverri, malvasia nera) il cui vino prodotto sarebbe risultato utilizzabile solo come vino da taglio e a livello industriale. Anche per questa scelta, agli inizi degli anni ’50, cominciarono ad arrivare dal Nord i primi industriali del vino che insediarono i loro stabilimenti nelle nostre realtà.

Cosimo Zullo

Per la stesura dell’articolo un prezioso contributo è stato offerto da Cosimo Campana, nipote di Salvatore Italiano, tramite la propria testimonianza diretta.

Sono stati inoltre utilizzati i seguenti riferimenti bigliografici:

Cgil Federbraccianti - Comitato regionale pugliese, Occupazione e sviluppo economico della Puglia, Atti del seminario regionale delle Federbraccianti pugliesi, 13-16 dicembre 1971

 L. Stefanelli, Arretratezza e patti agrari nel Mezzogiorno. La colonia migliorataria, De Donato editore, 1974  

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