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A cura di Blog Collettivo

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Salvini, l'eclissi politica del Movimento 5 Stelle e il caso Brindisi

Gli accadimenti politici che ci separano dal voto hanno messo in luce un fenomeno imprevedibile prima delle elezioni del 4 marzo, cioè la velocissima rinuncia da parte del Movimento ad alcune delle principali ragioni fondative

Bisogna dare atto che il Movimento 5 Stelle ha svolto, come sostiene il suo fondatore Beppe Grillo, una positiva funzione di canalizzazione del disagio sociale acuito dalla crisi economica successiva al 2008. Positiva anche per alcuni contenuti dalla propria identità programmatica che, dalla utopia della democrazia diretta al reddito di cittadinanza fino al tema dei beni comuni, hanno avuto comunque il pregio di mettere in luce critica l’egoismo sociale e la sindrome aggressiva della paura che spesso vengono alimentati dai movimenti di destra.

Purtroppo gli accadimenti politici che ci separano dal voto hanno messo in luce un fenomeno imprevedibile prima delle elezioni del 4 marzo, cioè la velocissima rinuncia da parte del Movimento ad alcune delle principali ragioni fondative. In partenza è stato stilato un programma prudente e generico, se si eccettua il tema del reddito di cittadinanza. In questo programma, per dare prova di affidabilità governativa, è stato assunto un impegno a ridurre di 40 punti il debito pubblico in 10 anni, senza mai citare criticamente l’euro e le regole della Unione Europea. Come a dire: vogliamo mandare un messaggio rassicurante al mondo degli investitori finanziari.

Ma questa posizione è stata all’improvviso accantonata per accodarsi alla linea di Salvini, molto diversa da quella del programma elettorale pentastellato,  che ha prima creato uno sconquasso con la questione del ripudio di una parte del debito e poi drammatizzato ad arte il caso del ministro Savona. In precedenza era stato rapidamente accantonato il dogma di Gianroberto Casaleggio, quello della impossibilità per un movimento che punta sulla democrazia diretta di stringere degli accordi di compromesso con le altre forze politiche. Addirittura siamo repentinamente passati all’esatto opposto, cioè alla teoria dei due forni, per cui ci si può alleare con chiunque cambiando i temi programmatici come se fossero carte da gioco.

La prima fase della politica dei due forni si è arenata sulla questione dirimente del ruolo di Berlusconi e di Forza Italia; quindi un ostacolo politico e non programmatico. Il giorno 29 di aprile il leader Di Maio ha pubblicato sul Corriere della Sera sotto forma di lettera al direttore un piccolo breviario programmatico finalizzato alla riuscita del confronto a sinistra con PD e LeU. In questo caso la strizzata d’occhio a sinistra arrivava al punto di proporre la reintroduzione transitoria (?!) del famoso articolo 18 sui licenziamenti e la revisione del Jobs Act.

Beppe Grillo e Luigi Di Maio (Dire)-2

Per responsabilità di Matteo Renzi il PD non ha nemmeno avviato un confronto che poteva influenzare positivamente, al di là degli esiti, il procedere ondivago di Di Maio, rendendo più difficile un accordo subalterno con la Lega da parte dei 5Stelle. Invece lo scenario della subalternità si è definitivamente materializzato con il cosiddetto Contratto di governo, strumento di resa da parte dei 5Stelle alla supremazia politica di Salvini.

Non ci vuole molto per considerare che se vuoi veramente  attuare il tuo programma principale, il reddito di cittadinanza, non puoi accettare l’ipotesi della flat tax e di una modifica della legge Fornero come quella leghista. Dovresti al contrario fare di tutto per recuperare, tra tagli di spesa e aumenti di imposta sui redditi più alti, quei 15-20 miliardi di fabbisogno stimato per l’attuazione del medesimo reddito di cittadinanza. Se invece si concede che nel Contratto entrino misure fiscali come quelle del programma del centro-destra, che da sole assorbono più del triplo di quanto necessario per il reddito di cittadinanza, si sta di fatto pregiudicando il pilastro della identità programmatica del Movimento.

Ecco perché l’egemonia leghista ha avuto buon gioco. È come se il populismo di destra si fosse  comunque dotato di chiari obiettivi programmatici, seppur velleitari, e di un leader politicamente abile, mentre i 5Stelle fossero diventati in pochi mesi un ologramma, quasi una forma senza contenuto o con contenuti intercambiabili anche nel giro di poche ore. Il caso dell’impeachement, durato poche ore e stroncato da Beppe Grillo ( che ha dimostrato di avere maggiore cervello politico di Di Maio e Di Battista, relegandoli di fatto al ruolo di agit prop), costituisce un altro momento significativo di questa vicenda. Non è casuale che la motivazione della marcia indietro sia stata:  “non lo voleva Salvini”.

La  composizione del governo, con la nomina di un ministro dell’Economia come Tria, che ha espresso posizioni in continuità con quelle di Monti e Padoan, ha poi notevolmente ridotto lo spazio di manovra del Ministero del Lavoro e dello Sviluppo Economico presieduti da Di Maio.  A breve,  con l’assestamento di bilancio ed in autunno con la legge finanziaria, si potrà meglio valutare se il colore prevalente della coalizione sarà il verde leghista o se i grillini riusciranno ad incidere in misura più significativa.

Luigi Di Maio-4

In ogni caso l’attuazione del Contratto di governo  con buona probabilità dovrà slittare di parecchio e, nel frattempo, continueranno a prevalere le politiche simboliche. Su questo terreno i 5Stelle, una volta esaurita la rendita di opposizione, hanno poche carte da giocare, e sono carte, come la critica alle grandi opere o il contrasto al gasdotto TAP o all’Ilva, di incerta ricaduta sul piano del consenso.  La Lega può invece cavalcare per mesi temi come quello dei migranti e dell’ordine pubblico che rafforzano ulteriormente la sensazione di leadership di Matteo Salvini.

Le vicende dell’Acquarius di questi giorni è emblematica:  un premier afono, un ministro come Toninelli che si è arrampicato faticosamente su tutti gli specchi per esaltare, senza tema del ridicolo, la vocazione umanitaria dell’Italia, ed un ministro come Salvini che assumeva invece completamente il comando delle operazioni di tattica politica e propaganda.

Il disagio del mondo vicino ai 5Stelle è tale da indurre Marco Travaglio, dopo l’insuccesso elettorale delle comunali del 10 giugno, ad utilizzare la famosa  metafora cinese: “Non è importante il colore dei gatti purché acchiappino i topi” per consigliare di cominciare a pensare ad un altro gatto rispetto a Salvini. Ma questo è uno scenario non ravvicinato, che i soggetti sociali e politici interessati dovrebbero faticosamente costruire partendo dalle periferie e dagli enti locali, come pare stia avvenendo alla Regione Lazio e potrebbe avvenire in una città come Brindisi.

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