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Martedì, 23 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

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Questione di facce o di idee? D'Alema deve cambiare, ma senza di lui la sinistra non cambierà

Mi ha molto sorpreso la mancata reazione, anche pugliese, all’idea di Matteo Renzi, sindaco di Firenze, di “rottamare” i vecchi dirigenti del Pd e in particolare Massimo D’Alema. Il tema del ricambio generazionale è eterno ma questa volta non viene presentato come l’avvicendamento fra vecchie idee e nuove proposte, fra un’interpretazione antica della società e una più moderna, ma solo come il passaggio di testimone in relazione all’età. Si potrebbe dire, o cantare, “Giovinezza, giovinezza”. La sinistra pugliese ha conosciuto questa dialettica fra generazioni. Penso soprattutto all’esperienza che conosco meglio, quella di tradizione comunista.

Mi ha molto sorpreso la mancata reazione, anche pugliese, all’idea di Matteo Renzi, sindaco di Firenze, di “rottamare” i vecchi dirigenti del Pd e in particolare Massimo D’Alema. Il tema del ricambio generazionale è eterno ma questa volta non viene presentato come l’avvicendamento fra vecchie idee e nuove proposte, fra un’interpretazione antica della società e una più moderna, ma solo come il passaggio di testimone in relazione all’età. Si potrebbe dire, o cantare, “Giovinezza, giovinezza”. La sinistra pugliese ha conosciuto questa dialettica fra generazioni. Penso soprattutto all’esperienza che conosco meglio, quella di tradizione comunista.

C’è stato un momento alla fine degli anni Settanta in cui il cambio generazionale diventò urgente. Alla guida del partito e del sindacato c’erano vecchi dirigenti di formazione operaia e bracciantile. Gente dura, forte, con un legame di massa molto solido. Premeva su di loro una generazione che si stava facendo le ossa nella contestazione giovanile e che spesso era espressione della borghesia urbana. Il cambio generazionale nasceva, quindi, anche da un desiderio di allargamento dei vecchi confini di classe e dalla necessità di allargare l’orizzonte del vecchio movimento operaio a tematiche nuove. La vecchia classe dirigente in parte assecondò, il ricambio in parte lo ostacolò. Fu una bella lotta.

Negli anni successivi la generazione dei capipopolo andò in pensione e i “nuovi” presero il potere. La sinistra si insediò nelle grandi realtà urbane, prese confidenza con la dialettica fra i partiti, cominciò a misurarsi con i compiti di governo. Alle spalle di questi giovani che invecchiavano premeva intanto una nuova generazione che non aveva fatto a tempo a misurarsi con le lotte di massa, né popolari né studentesche, e che si allenava alla politica guardando fondamentalmente al governo. Questo era il suo dato positivo, quello negativo era la auto-referenzialità. E siamo ai giorni nostri su cui non intervengo per non dare l’impressione del vecchio brontolone. Renzi propone di azzerare questa dialettica spingendo fuori dalla porta i dirigenti con più lunga storia. D’Alema è uno di questi.

Conosco D’Alema da molti anni. Non sono un suo amico come lo sono Nicola Latorre o Carmine Dipietrangelo che lo hanno frequentato e lo frequentano anche nei momenti privati. Ho avuto momenti di grande convergenza con lui e storie di dissidi. Qualche volta ho avuto torto. Sul caso Unipol, confesso, ho avuto torto. Non c’era scandalo e il mio moralismo ha rotto una consuetudine politica. D’Alema da rottamare? La Puglia, comunque la si pensi, si dovrebbe ribellare. L’arrivo contrastato di D’Alema in Puglia ha segnato uno spartiacque fra il prima e il dopo. Si può dire che sia stato lui la cerniera fra più generazioni. Si può dire che, conclusa la stagione di Reichlin e di Moro, sia stato e sia l’unico uomo politico di statura nazionale che questa regione ha visto crescere e affermarsi. Ha commesso molti errori, molti suoi sostenitori lo hanno danneggiato, le sue scelte vanno sempre discusse ma è stato sempre l’uomo di frontiera della sinistra, quello che gli ha consentito, senza perdere le radici, di misurarsi con il nuovo. Non avremmo avuto la “primavera pugliese” se D’Alema non avesse invitato il suo partito ad aprirsi invece che arroccarsi. Potrei continuare, ma mi fermo qui.

Mi fermo qui perché il punto politico che voglio sottoporre all’attenzione dei lettori è questo: è il momento delle facce o delle idee? Sono anni che la sinistra ovvero il centro-sinistra insegue il modello berlusconiano. Siamo in una società in cui non domina più il vecchio conflitto di classe ma al suo posto non c’è solo la ribalta televisiva perché dietro il teleschermo la società è piena di conflitti di altro tipo. Sono in ballo interessi, culture, tradizioni, legami territoriali che spesso creano opinione pubblica. La Puglia offre un’immagine perfetta delle contraddizioni del nostro tempo.  Un partito moderno, se è progressista, non può viverle solo nella contesa mediatica. Deve costruire democrazia e deve avere dirigenti che abbiano in testa la complessità del compito. La fine del berlusconismo sarà confusa e forse vedrà accrescersi i pericoli del populismo a cui bisognerà contrapporre una visione politica moderna, fatta di contenuti, di valori, di modelli di comportamento. Abbiamo bisogno di intelligenze.  Abbiamo bisogno della freschezza del nuovo e della solidità dell’esperienza. Tutte cose che rientrano a fatica nei paradigmi del conflitto generazionale. D’Alema ha una cultura politica in grado, se vuole, di mettersi nuovamente come cerniera fra questi mondi in potenziale conflitto. Anche lui deve cambiare, ma la sinistra senza di lui non cambierà.

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