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Venerdì, 19 Aprile 2024
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La Turchia, l'Europa, la nostra politica estera, il petrolio e il gas

La Turchia non è solo la principale potenza militare del Medio Oriente, cui fu affidato il compito di coprire il fianco est della Nato, ma è anche un Paese dall’evoluta attività di ricerca ed innovazione tecnologica, con importanti centri di alta formazione

La Turchia non è solo la principale potenza militare del Medio Oriente, cui fu affidato il compito di coprire il fianco est della Nato, ma è anche un Paese dall’evoluta attività di ricerca ed innovazione tecnologica, con importanti centri di alta formazione. Non sappiamo cosa resti di tutto questo dopo le purghe di Erdogan anche negli ambienti accademici e universitari, ma la permanenza di aree di arretratezza culturale, la percentuale di immigrazione, non devono trarre in inganno l’osservatore comune.

Insomma, se non fosse stato per la svolta autoritaria e liberticida dell’attuale leadership turca, non ci sarebbero state troppe obiezioni da sollevare per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Ha ragione Fabrizio Maltinti quando ha scritto su queste pagine e nel suo libro sul terrorismo islamico che se questa operazione fosse stata compiuta a suo tempo, ora molto probabilmente il popolo turco non vivrebbe sotto quella che è una dittatura, che si imbelletta con la scusa dell’autodifesa dal terrorismo (ma molti soldi per i predicatori e le moschee radicalizzate nei turbolenti Balcani non vengono forse da Ankara, oltre che dall’Arabia Saudita?).

I risultati degli errori della politica dei Paesi occidentali sono oggi sotto gli occhio di tutti. Erdogan si è scatenato indisturbato contro i curdi, i quali per affermare il diritto ad un proprio stato, si erano accollati la parte più dura dello scontro militare con le fanatiche milizie del Daesh, ed oggi vengono traditi e ricambiati dalle bombe turche nel più totale immobilismo dell’Unione europea, degli Usa di Trump e dell’Onu, e di Putin.

E’ chiaro ormai a tutti che i pezzi di carta, le tregue aleatorie, le implorazioni alla tutela della vita dei civili, sono solo la foglia di fico di un’Europa che non riesce a trovare una strategia comune, soffocata dagli interessi dei singoli Stati. E a ben poco serve il consesso delle Nazioni Unite prigioniero dei veti che può esprimere uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti), retaggio di un equilibrio fermo alla fine del secondo conflitto mondiale.

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E proprio tra questi cinque Paesi si continua a giocare una infinita partita a scacchi, che rende incomprensibile ai più i giochi di alleanze che cambiano nella crisi siriana. In fondo, l’attuale sistema di confini in quell’area porta la firma della Francia e del Regno Unito, e in seconda battuta dell’appoggio Usa alle politiche di Israele e dell’Arabia Saudita.

C’era un convitato di pietra, in questo cenacolo, l’Iran. Ma il tentativo di avvicinare questa grande nazione sciita ad un ruolo di mediazione positivo – favorendone i processi interni di democratizzazione - è stato sempre osteggiato dalla stessa monarchia saudita e dai petrolieri loro alleati sia negli Emirati che in Occidente, che hanno appoggiato la svolta di Trump contro Teheran.

L’Italia, come ben sottolinea Roberto Bargone nel suo articolo in questa stessa rubrica, in questo scenario bisbiglia, sino a subire la politica delle cannoniere adottata da Erdogan a Cipro contro la Saipem, società strategica di Eni per le ricerche e gli approvvigionamenti di gas e petrolio. E’ l’ennesima dimostrazione che non è la politica estera italiana a indirizzare le nostre strategie energetiche – fondamentali per il Paese – ma il contrario. Ciò rende debole il ruolo della Farnesina, ma dell’intero governo, non solo negli scacchieri di crisi, ma anche nei rapporti con i principali partner europei.

La politica della moderazione e della ricerca della pace è un conto, subire in Libia dove si trova il cuore delle nostre risorse di fonti fossili (cito ancora Maltinti) le scelte di Francia, Regno Unito e Usa, è un altro paio di maniche. La Libia oggi, dopo la caduta di Gheddafi,  è un territorio pressoché incontrollabile. Sia la Libia che la Turchia sono poi le due frontiere di quello che è stato assunto in questi ultimi anni a problema numero uno del continente europeo, l’immigrazione. Ma non bisogna mai smettere di chiedersi in che mani si è affidata l’Italia assieme all’Europa.

Il problema fondamentale è il nostro, oltre che della Grecia e della Spagna, perché siamo la frontiera marittima di una Unione europea culturalmente e politicamente sempre più devastata dagli sciovinismi e dal razzismo. Penso che dovremmo lavorare più preoccupandoci della nostra politica estera che di avere la pretesa di modificare quella francese, tedesca o inglese. A cominciare dalla questione turca, dove bene o male un interlocutore – lo spiega Roberto Bargone - c’è e si chiama Erdogan.

Tap da Baku al Salento-2

Arrivo al punto. Forse non è Cipro il nodo della crisi italo-turca oggi (uso un termine improprio, dato che abbiamo solo subito), ma il nuovo gasdotto, che si chiama Trans Adriatic Pipeline solo nel suo percorso europeo dal Mar Caspio al Salento, ma che dopo il tratto iniziale da Baku nell’Azerbaijan (che si chiama Scp), alla Georgia (regione tutt’altro che tranquilla e sempre sotto scacco rispetto a Mosca), compie il tratto più lungo proprio nella Turchia di Erdogan, con la sigla  Tanap sino al confine greco.

Tap ha Saipem come socio di maggioranza. Ha avuto qualche peso ciò, nel silenzio italiano sulla crisi della nave Eni a Cipro? Qualcuno può chiudere l’incidente affermando che la nostra prudenza ha evitato situazioni ad alto rischio (tra due paesi Nato, poi)? Ancora una volta, fa bene Roberto Bargone a ricordarlo, il silenzio sordo dell’Unione europeo sulla vicenda la dice lunga.

Ma Tap non era un’opera di interesse europeo? Dovremo stare zitti in eterno per evitare che Erdogan ci chiuda i rubinetti del gas prima ancora di attivare il Tap, o faccia transitare l’ondata di profughi e migranti che premono per passare in Europa, lasciandosi alle spalle famiglie sterminate, le tombe dei propri bambini, le speranze di rivedere un giorno la pace sotto i loro cieli?

Gli errori in politica estera, gli egoismi nazionali, l’ostilità contro i fenomeni migratori sono una ragnatela in cui l’Europa e l’Italia si stanno imprigionando. E ciò ci rende deboli, non forti, e ci trasforma in osservatori di stragi senza fine come quella siriana e yemenita, e altrettanto deboli di fronte a casi come quello di Cipro e non dimentichiamolo, come quello della tragica e oscura fine di Giulio Regeni in Egitto.

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