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A cura di Blog Collettivo

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Mussolini nella storia, senza se e senza ma

L'intervento dell'ex preside Mario Carolla sul saggio di Franco Cardini e Roberto Mancini, sull'incontro tra Mussolini e Hitler in Italia nel 1938

“Hitler in Italia. Dal Walhalla al Ponte Vecchio, maggio 1938” è un saggio di Franco Cardini e Roberto Mancini, edito dal Mulino e uscito l'11 giugno scorso. Paolo Mieli non ha perso l'occasione, il 17 dopo appena sei giorni, per fare con il suo commento una interessante pagina di “Cultura”, anzi due pagine, sul Corriere della Sera. In questo saggio i due storici, il primo emerito e il secondo ancora in piena attività accademica, da me entrambi stimatissimi, rievocano il viaggio di Hitler in Italia nel 1938 toccando i due luoghi simbolo della Germania e dell'Italia. Trattasi di una ricostruzione storica di indubbio valore che ha sullo sfondo l'evolversi dell'alleanza suicida tra i due dittatori. Verso la fine, però, i due storici si lasciano andare ad una ipotesi antistorica che suona pressappoco così: se Mussolini fosse morto dieci anni prima di essere giustiziato dai partigiani, cioè se fosse morto nel 1935, oggi sarebbe ricordato in modo ben diverso. Paolo Mieli illustra e commenta il saggio mettendoci anche del suo per quello storico apprezzato che è in ossequio ai suoi interventi e alle sue trasmissioni televisive che, per il taglio e il fine educativo che hanno, mi ricordano tanto gli anni '50 del maestro Manzi. Io, ancorché non sia uno storico, ma sia un amante ossessionato dalla Storia e dell'antifascismo, non ho apprezzato la succitata ipotesi per due ordini di motivi.

Il primo perché sono ancora convinto di quanto il mio stimato professore di Storia e Filosofia mi ha insegnato negli ormai lontani anni '50 al Liceo classico di Francavilla Fontana, che trovo ancora validissimo: la Storia non si fa con i “se”. Quindi, mi meraviglio moltissimo che due storici del calibro di quelli succitati e una grande penna qual è quella di Paolo Mieli si siano soffermati su un'ipotesi che lo stesso giornale definisce “controfattuale”. Il secondo motivo è che tali esercizi intellettuali, ripeto antistorici, nei tempi che viviamo, densi di rigurgiti fascisti e di revisionismo storico spesso balordo, fanno più male che bene e si discostano non poco dal fine educativo che dovrebbero avere i saggi e la loro diffusione. Tanto più che i “misfatti incancellabili” di Mussolini messi in opera dal 1922 al 1935 e ancor prima, liquidati in poche righe dall'intervento di Mieli e dalle precisazioni degli stessi autori del saggio, hanno un peso che da soli porterebbero ad un giudizio negativo dell'operato del dittatore nostrano, senza neppure considerare gli altri eventi successivi all'alleanza con il dittatore tedesco, che  portarono, all'invasione della Libia, alle leggi razziali e alla disastrosa II guerra mondiale. Mentre, i fatti di quel periodo, che renderebbero merito a Mussolini, sono trattati con dovizia di particolari evidenziandone i buoni fini sul versante delle istituzioni statali, dell'emigrazione, del Lavoro, dello Stato sociale, della lotta alla mafia, della modernizzazione del Paese, dell'industrializzazione, di quella inedita del turismo e della cinematografia, delle comunicazioni, della nazionalizzazione culturale del popolo, della conciliazione tra Stato e Chiesa e della politica estera balcanica, orientale e araba ispirata da una sorta di filosionismo.

Detto ciò, vengo a come vedo io, non solo io, questo pezzo di storia contemporanea che ha fatto entrare l'Italia in un buio tunnel senza fine. Sui “misfatti inaccettabili” del periodo in questione riporto qui ciò che Ezio Mauro, venerdì 15 marzo 2019, ha scritto su “la Repubblica”, che fu, già al tempo, oggetto di un'altra mia riflessione. Trattasi di un lucidissimo articolo di fondo intitolato “La memoria banale del fascismo” che si riferisce all'intervista rilasciata dall'allora presidente del Parlamento europeo alla Zanzara, Antonio Tajani, Questo aspirante primo leader di Forza Italia, con una approssimata conoscenza del passato, sembra abbia esplicitamente elogiato Mussolini per le tante cose buone fatte (dice lui: “a parte la vicenda drammatica di Matteotti”) prima delle leggi razziali del 1938 e dell'entrata in guerra al fianco di Adolf Hitler nel 1940. Trattasi di affermazioni che nel confuso mondo della politica di oggi ho sentito ripetere spesso. Esse denotano, ahimé e ahinoi, una scarsa conoscenza della nostra storia recente, senz'altro la peggiore della nostra storia di nazione.

Tra le altre riflessioni Ezio Mauro ha detto: “Vediamoli quegli anni che oggi si celebrano come innocenti. Il 24 novembre del 1922 Mussolini chiede i pieni poteri, che ottiene immediatamente (n. mia: dal re Vittorio Emanuele III che fa dimettere il presidente del Consiglio in carica Facta in seguito al fatto che le milizie fasciste, il 28 ottobre 1922, avevano dato luogo alla Marcia su Roma impaurendolo) dopo che il 16 novembre aveva minacciato le Camere: “Potevo sprangare il Parlamento ma non ho, almeno in questo primo momento, voluto”. (n. mia: immediatamente dopo il 10 novembre 1922, quando i Fasci italiani di combattimento, costituitisi il 23 marzo del 1919 a Milano in Piazza San Sepolcro e che da subito avevano adottato una politica antisocialista fondata sulla violenza con la creazione delle famigerate squadre d'azione, si trasformarono in Partito Nazionale Fascista) . Il 15 dicembre nasce il Gran Consiglio del Fascismo, che diventerà l’organo supremo dello Stato. Tre giorni dopo a Torino le squadracce assaltano la Camera del Lavoro e devastano la redazione dell’Ordine Nuovo, la settimana successiva si costituisce la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale che risponde direttamente al Duce e non giura fedeltà al Re, il 3 febbraio del 1923 vengono arrestati 112 dirigenti del Partito comunista, il 24 agosto viene assassinato Giovanni Minzoni, il 14 novembre passa la legge Acerbo che fissa un premio di maggioranza dei due terzi dei seggi al partito che conquista il 25 per cento dei voti, a dicembre vengono distrutte le tipografie dove si stampano i giornali socialisti, il 7 febbraio del 1924 è aggredito in strada Giuseppe Di Vittorio, il 28 viene ucciso a Reggio Emilia dai fascisti il socialista Antonio Piccinini, il 1° maggio i giornali di sinistra escono con grandi spazi bianchi per l’intervento della censura, il 22 giugno viene devastata la casa del direttore della Stampa Alfredo Frassati, l’8 luglio finisce ufficialmente la libertà di stampa. Il 31 ottobre del 1926 il Duce ordina lo scioglimento di tutti i partiti salvo il Pnf, chiude i giornali d’opposizione, istituisce l’Ovra, la polizia segreta del regime, crea il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato contro i reati politici, istituisce il confino. (n.d.a.: all'approvazione delle cosiddette “leggi fascistissime”, testé richiamate, aggiungo che con la legge elettorale del 1928 Mussolini, sostanzialmente, trasformò le elezioni in plebiscito su lista unica di 400 deputati proposta dal Gran Consiglio fino a giungere alla soppressione anche della forma plebiscitaria nel 1939, dunque, azzerando ogni minima forma di partecipazione democratica già irrimediabilmente compromessa. Senza parlare della persecuzione dei nomadi, oltre che degli ebrei, sin dai primissimi tempi).

Prima, c’erano state le elezioni del 6 aprile 1924, con Mussolini che conquistò il 66,3 per cento dei voti e, grazie alla legge Acerbo 374 seggi su 535. Nel suo ultimo discorso alla Camera, Matteotti chiese che il voto venisse invalidato, in quanto “nessun elettore si è trovato libero di decidere con la sua volontà perché una milizia armata di un solo partito aveva il compito di sostenere un determinato governo con la forza, anche se fosse mancato il consenso”. In 6 circoscrizioni elettorali su 15 la raccolta delle firme dai notai per le liste fu bloccata con la violenza, a Genova il comizio dell’onorevole Gonzales fu impedito a bastonate, a Napoli le bande fasciste armate assaltarono la conferenza di Giovanni Amendola, molti candidati d’opposizione dovettero rifugiarsi fuori casa, mentre gli scrutatori ai seggi erano al 90 per cento fascisti, i certificati elettorali venivano confiscati e affidati a fedelissimi che votavano sotto falso nome, i miliziani entravano dentro le cabine, controllavano il voto, lo imponevano, o lo tracciavano direttamente sulla scheda. Anche per questa denuncia Matteotti verrà rapito dai fascisti per essere ucciso a pugnalate.

Com’è possibile che questo percorso non faccia parte della memoria di uomini politici che hanno responsabilità istituzionali? Ma soprattutto che non faccia parte della coscienza comune del sistema politico, della comunità democratica, per capire chi davvero siamo e da dove veniamo?”. Per chiudere questa prima parte della mia riflessione, se Mussolini fosse morto nel 1935 non credo proprio che gli italiani di oggi lo ricorderebbero in modo diverso di come lo giudicano oggi, divisi come sono tra antifascisti per convinzione, nostalgici e neofascisti, perché penso che molti italiani aborriscono ancora quei crimini e credono nella libertà e nella democrazia. Sulla seconda parte riguardante i meriti di Mussolini dal 1922 al 1935 devo dire poche cose perché i settori indicati quali terreni d'intervento buono del governo fascista andrebbero esaminati a fondo uno per uno. In molti di essi vi sono stati interventi non degni di un popolo civile come l'obbligo esplicito o velato di essere iscritti all'unico PNF e all'unico Sindacato fascista; un solo esempio: nella Carta del Lavoro, varata il 21 aprile del 1927 dal Gran Consiglio del Fascismo che assume anche valore giuridico solo nel 1941. Tra le 30 dichiarazioni molte delle quali opinabili c'è la XXIII. Gli uffici di collocamento sono costituiti a base paritetica sotto il controllo degli organi corporativi dello Stato. I datori di lavoro hanno l’obbligo di assumere i prestatori d’opera pel tramite di detti uffici. Ad essi è data facoltà di scelta nell’ambito degli iscritti negli elenchi con preferenza a coloro che appartengono al Partito e ai Sindacati fascisti, secondo la anzianità di iscrizione.

Potrei continuare con gli esempi, ma preferisco concludere questa parte osservando che tutti questi interventi giudicati buoni per il funzionamento della P.a., per il sociale e in generale per l'economia sono stati dettati più dalla sfrenata voglia di fare propaganda al fine di acquisire sempre più consensi che da una reale convinzione della necessità di rendere quei settori efficienti e improntati a principi di funzionamento sani e condivisi. In conclusione, in palese contrasto con l'ipotesi lanciata nel saggio dei succitati storici, voglio utilizzare le osservazioni finali fatte a suo tempo nella mia riflessione sull'articolo di Ezio Mauro, scusandomi per l'autocitazione: “Io penso che questo articolo insieme ad una dettagliata analisi della storia di quegli anni bui debbano essere studiati a scuola con il prezioso apporto di quei docenti che vi operano con indomita passione pur vedendosi mortificati quotidianamente dalle Istituzioni (ricordo le parole di Liliana Segre: "senza la storia non si diventa uomini" pronunciate a proposito della recente eliminazione della traccia di storia all'esame di Stato, misura che segue all'altra, deprecabile, che fu la riduzione di orario dedicato a questa disciplina di qualche anno fa) e con il nobile scopo di informare la mente e “formare” le coscienze dei cittadini di domani. Credo anche che ciò sia un dovere inderogabile (vedi articolo 2 della nostra Costituzione) della succitata formazione sociale, oltreché una necessità dei tempi che viviamo.”.

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