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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Don Milani, la politica, l'impegno sociale:"Quel doposcuola di periferia"

Un articolo di Alfredo Passante, che riflette su un'esperienze nata e finita negli anni Settanta a san Vito dei Normanni

L’impegno politico e l’impegno sociale: tema su cui ogni discussione può essere utile oggi, epoca in cui il primo, l’impegno politico, è un terreno a volte battuto con fini assai poco nobili. Aiuta a riflettere, a nostro avviso, questo articolo autobiografico inviato all’Associazione Di Vittorio di Mesagne da Alfredo Passante, docente in pensione e già vice preside del Palumbo di Brindisi e pubblico amministratore. Passante ricorda quale sia stata la lezione di Don Milani, e come fu messa in pratica da egli in una periferia degradata di San Vito dei Normanni, assieme all’amico, recentemente scomparso, Lorenzo Caiolo, che ha lasciato una traccia profonda nel volontariato sociale in provincia di Brindisi e altrove.

Anno1973. Sul finire dell’estate faccio la conoscenza di Lorenzo Caiolo, giovane universitario che abita in contrada Furchi, quartiere periferico della città nel quale raramente ho messo prima piede.  Scopriamo ben presto di avere un sentire comune  e di condividere entrambi la denuncia di don  Lorenzo Milani nei confronti di una scuola che perdendo per strada i poveri si comporta di fatto come un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Sentiamo, al riguardo, di dover fare qualcosa di concreto anche noi. Senza attendere l’inizio dell’anno scolastico, rinviato a causa del colera, mettiamo su, nel suo quartiere, un doposcuola che ha come riferimento la “Lettera a una professoressa” della scuola di Barbiana e la “Pedagogia degli oppressi “di Paulo Freire.

Io sono sposato da qualche mese, insegno in una scuola media e svolgo il ruolo di assessore nel nostro comune. L’amministrazione è quella del dott Antonio.Leo e per via del fuoco amico naviga  in acque perigliose. Gli interessi che ruotano attorno al redigendo Programma di Fabbricazione creano contrapposizioni che finiscono con il paralizzare quotidianamente l’azione amministrativa. Comincio a comprendere aspetti della politica che mi erano ignoti. Ascolto e rifletto,ma dopo tre anni di inquieta presenza in giunta, siamo proprio nel ’73, avverto uno stato di interiore malessere che col passar del tempo si acutizza. Il rapporto con Lorenzo e l’impegno già avviato nel doposcuola di contrada Furchi, mi spinge qualche mese più tardi a dimettermi da assessore e a fare una scelta di campo che segnerà per sempre la mia presenza in politica.

Contrada Furchi è, a quei tempi,un quartiere nel quale la maggior parte delle   famiglie, compresa quella di Lorenzo, ha, per ragioni di lavoro, il capofamiglia emigrato in Germania. Manca delle infrastrutture primarie ed è stato tirato su  con lottizzazioni abusive su cui hanno speculato politici e tecnici senza scrupoli. Il doposcuola viene fatto in un locale destinato a garage, con pavimento in cemento  e ubicato in un posto che affaccia sulla campagna.

Ci si arriva  per un viottolo sterrato che solleva polvere ad ogni passo. Si lavora attorno ad un grande tavolo rimediato dal circolo universitario. I ragazzi sono tanti. Provengono dalle elementari e dalle medie. A Lorenzo e al sottoscritto si uniscono altri amici come l’arch. Enzo Longo, Mario Picoco, Rosanna Gagliano, Gianni Roma e Domenico Cisternino. Arriveranno anche altri ma il nucleo su cui farà affidamento per qualche anno l’attività del doposcuola resterà composto essenzialmente da queste persone.

Si fa scuola anche di domenica, nelle vacanze natalizie, in quelle pasquali e in tutte le altre feste comandate. Si legge e si commenta il  Vangelo con l’aiuto di un amico sacerdote, si legge e si commenta la Costituzione, si proiettano  film che trattano situazioni di sfruttamento e di oppressione, si leggono e si commentano diversi quotidiani per evidenziare la manipolazione delle notizie e, ovviamente, si aiutano i ragazzi a svolgere i compiti assegnati a scuola.

Tutto ciò che viene fatto ha l’obiettivo di far loro comprendere che la situazione di abbandono in cui vivono non è frutto del destino ma la naturale conseguenza di scelte scellerate fatte a livello nazionale e locale. Enzo, per esempio, nel fare la storia del quartiere mette in evidenza i raggiri di cui sono state vittime le loro famiglie. Le  rimesse degli emigranti sono state infatti sfruttate per costruire  con progetti ciclostilati, cioè tutti identici, case diventate in poco tempo umide e malsane perché  si ritrovano con il pavimento al di sotto del piano stradale e quindi soggette puntualmente ad allagarsi in occasione di ogni piovasco. Inoltre l’assenza di acqua e fogna costringe  chi vi abita  a rifornirsi con le minzane di acqua potabile dalla fontana più vicina e a tenere fuori , proprio davanti all’ingresso della abitazione,  secchi colmi di acqua mucata da conferire alla carrizza.

Enzo fa anche di più. Organizza a più riprese visite a San Biagio e spiegando per quale motivo i monaci hanno a suo tempo scelto quel posto per insediare la propria comunità cerca di far capire quali criteri si sarebbero dovuti seguire  nella edificazione del quartiere. E’ una lezione rivolta ai ragazzi ma di cui usufruiscono anche  quanti, come me, in quegli anni lontani, sanno ben poco di urbanistica. Per circa tre anni l’animatore di ogni iniziativa del doposcuola è comunque Lorenzo.

 I problemi della gente del quartiere Lorenzo non li conosce come me che vivo al centro e li tocco con mano solo per un certo numero di ore al pomeriggio. Lorenzo che abita in via Sergente Maggiore Masiello, li vive sulla propria pelle ventiquattro ore su ventiquattro. Lasciato il garage,diventato ormai angusto per l’accresciuto numero dei ragazzi frequentanti, la sede del doposcuola viene trasferita in una casa all’estremità di via Botticelli. Col tempo si crea un  profondo rapporto umano anche con i genitori, con i quali si fanno spesso delle assemblee per fare il punto sul lavoro che si va facendo, ma anche  per svolgere nei loro confronti un’azione di coscientizzazione.

Cerchiamo di far comprendere che dalla situazione di degrado urbanistico che ha come conseguenza il degrado delle condizioni di vivibilità, si esce prendendo coscienza dei propri diritti e organizzandosi per farli valere. Sono anni di intenso impegno che portano a creare nel quartiere un senso di appartenenza e di solidarietà che ha lasciato un ricordo indelebile in tutti i ragazzi che in quel periodo ebbero modo di frequentare il doposcuola .

 Il doposcuola chiuse la sua attività nella seconda metà degli anni settanta. Con gli stessi ideali che ci avevano spinto ad avviarlo, ci buttammo tutti nel vortice della politica. Una scelta che oggi, alla luce di quanto si è verificato dopo, reputo profondamente sbagliata. Siamo stati nelle istituzioni compartecipi di importanti realizzazioni. E’ innegabile. Ma bisogna lealmente ammettere che l’impegno profuso nella militanza politica non è riuscito a cambiare le coscienze, non ha cioè trasformato i diretti in dirigenti. Anzi per quel che concerne questo obiettivo, malgrado l’ardente fede che lo ha animato, del nostro operato resta solo cenere. Gattopardi e leoni sono stati sostituiti da sciacalletti e iene.

Mortificata la cultura capace di smuovere le coscienze. Distrutta  ogni forma di partecipazione popolare. Diritti contrabbandati come favori. Questa è accaduto nella nostra città. Lo scarto tra quanto ci proponevamo di conseguire in politica con l’aspirazione a rappresentare gli ultimi e quanto realmente conseguito, si può ritenere quindi un perfetto esempio di eterogenesi dei fini. Aveva ragione don Milani. Nella lettera a Nadia Neri, poco prima di morire, diceva che i poveri lo sanno da sé cosa dovranno scrivere quando sapranno scrivere. Chi sa deve solo preoccuparsi di dar loro la lingua per esprimersi. E’ quanto si proponeva di fare il doposcuola di contrada Furchi. Peccato non averci creduto fino in fondo

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