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Attacco finale alla capitale dell'Isis, sullo sfondo la crisi Usa-Russia

Mentre gli Stati Uniti e la Russia stanno facendo rivedere al mondo intero gli spettri della più tetra guerra fredda, l’Isis si sta preparando a difendere la città siriana di Raqqa

Mentre gli Stati Uniti e la Russia stanno facendo rivedere al mondo intero gli spettri della più tetra guerra fredda (l’incontro diplomatico che si è tenuto  a Mosca tra Lavrov e Tillerson non ha lasciato trapelare nulla di buono) l’Isis si sta preparando a difendere la città siriana di Raqqa, sua ultima roccaforte  e da sempre considerata la capitale dello “Stato Islamico”.

In Iraq , invece, la battaglia di Mosul si fa sempre più aspra e violenta, e se stanare da tutte le case i miliziani del califfo nero sarà certamente un’impresa abbastanza difficile, il destino non solo di Mosul ma anche da tutte le altre zone che l’Isis ha controllato sino ad ora in Iraq sembra ormai essere arrivato al capolinea.

La coalizione composta da Stati Uniti, esercito nazionale iracheno, curdi e milizie sciite è ormai a ridosso della grande moschea di Al Nouri, dove nel 2014 venne proclamata la nascita del califfato. Al Baghdadi, ancora uccel di bosco ed irrintracciabile, ha esortato tutti i sui uomini al “martirio in nome Allah”.

Intanto chi si sta avvicinando sempre di più a Raqqa sono le brigate combattenti curde dello Ypg, che si trovano ora a meno di 50 km dalla sedicente capitale dello Stato Islamico. I curdi hanno ora sotto il loro totale controllo lo strategico aeroporto di Tabqa, che sino ad ora era stato in tutto e per tutto l’hub aereo logistico dell’ Isis a Raqqa.

I “miliziani neri” non hanno quindi più la possibilità di usufruire di collegamenti aerei con l’esterno, e questo rende ancora più difficile quella che sarà la loro resistenza nella battaglia finale. In ogni caso, proprio quelli dell’ Isis hanno fatto filtrare, in questi giorni,  la notizia che durante la battaglia sarebbe stata gravemente danneggiata la diga di Tabqa, la più grande di tutto l’Iraq. E per questo ci sarebbe il rischio di una pesante inondazione dell’ Eufrate.

Staremo a vedere se la notizia è vera e cosa accadrà. Gli Stati Uniti , secondo alcune indiscrezioni, avrebbero già inviato delle proprie truppe nella città di Mabiji, liberata dall’ Isis lo scorso agosto, situata nella zona nord. Si sarebbe trattato di una mossa prettamente tattica da parte di Trump per rimarcare la discontinuità con l’ amministrazione Obama, che aveva sempre desistito dall’inviare squadre militari sul suolo siriano.

Una decisione che non è stata affatto gradita a Vladimir Putin, sempre fermamente deciso a mantenere il controllo della Siria, che dal 1971 è un lapalissiano protettorato russo. In assenza, in questo momento, di un accordo tra le due superpotenze (che invece sembrava  già fatto qualche mese fa) sul destino del regime di Bashar Assad, la liberazione di Raqqa sembra ancora molto lontana.

L'attuazione del piano di attacco congiunto che Trump e Putin avevano inizialmente concordato si basava su una serie di variabili che sono ancora tutte da definire, tra cui la quantità di armi  da fornire alle  fazioni curde e dei ribelli e su quale ruolo dovrebbe avere la Turchia in tutto questo enorme big game geopolitico.

Trump sarebbe anche pronto ad inviare circa 1.000 marines nella Siria settentrionale nelle prossime settimane, ampliando cosi la presenza americana nel paese in vista del offensiva finale contro lo Stato Islamico. Il dispiegamento di queste nuove truppe, qualora fosse anche approvato  dal segretario alla Difesa, Jim Mattis, aumenterebbe in maniera esponenziale il coinvolgimento diretto degli americani in un conflitto sempre più confuso e pasticciato.

Per quello che, invece,  è stato l’attacco chimico compiuto nella  provincia di Idlib che ha provocato numerose morti, il balletto delle reciproche accuse continua. Lavrov e Tillerson avrebbero comunque raggiunto un accordo sull’ istituzione di una commissione di inchiesta , da proporre presso la sede delle Nazioni Unite.

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