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Giovedì, 28 Marzo 2024
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A cura di Blog Collettivo

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La crisi libica, i traffici di armi e gli interessi della criminalità

"L'appetito vien mangiando", recita un vecchio detto popolare. Possiamo quindi affermare che ogni guerra o conflitto stimola sempre gli appetiti delle organizzazioni criminali. E di certo quello ancora in corso in Libia, che va avanti dal 2011

“L’appetito vien mangiando”, recita un vecchio detto popolare. Possiamo quindi affermare che ogni guerra o conflitto stimola sempre gli appetiti delle organizzazioni criminali. E di certo quello ancora in corso in Libia, che va avanti dal 2011 a colpi bassi e di inaudita violenza, non poteva non coinvolgere le organizzazioni criminali italiane, specie sul lucroso e sempre florido mercato nero del contrabbando di armi. Un fatto che non poteva non passare inosservato alla Nazioni Unite, che hanno elaborato un rapporto del Consiglio di sicurezza sui traffici illeciti verso la Libia.

Dal 2015, infatti, è trattenuto sul suo territorio il marchigiano F. G. , che sempre secondo in rapporto della Nazioni Unite , avrebbe sviluppato un volume di affari di oltre 29 milioni di euro con le “ Milizie di Zintan” , uno dei tanti gruppi armati che si contende il potere nell’ ex colonia italiana dopo la morte di Gheddafi. Sulla vicenda indaga ora la procura di Ascoli Piceno, e certamente non è escluso che possa allargarsi a macchia d’olio. Sempre nel 2015 era scattata un’ indagine che aveva intercettato un traffico di compravendita di armi tra Milano, Torino, Bergamo e Roma dopo l’arresto di un uomo libico in un aeroporto della Lombardia.

Indagando su di lui, si è riusciti a risalire al fatto che una sorta di “ money transfer” illegali provenienti dalla Libia indirizzavano fiumi di danaro intenti ad acquistare armi provenienti dall’ Est Europa. Accanto a tutto questo non dobbiamo neanche dimenticarci che anche prima del 2011, quando il colonnello Muammar Gheddafi era ancora il padrone indiscusso della Libia, l’Italia era stata un partner militare importante e strategico per il suo regime. Non era un mistero che le forze armate libiche avevano in dotazione mezzi militari con motore prodotto in Italia, uno dei tanti grandi affari fatti dal nostro Paese con il regime libico (primo fra tutti era sempre stato quello petrolifero ).

E nel 2009 la “Rete per il disarmo e Tavola della pace “ aveva denunciato una fornitura di ben 79 milioni di euro di armi dell’ Italia alla Libia che sarebbero giunti a Tripoli via Malta. Il ministro maltese aveva confermato il tutto, aggiungendo che “come confermato dall’ambasciata italiana a Tripoli, il destinatario finale della consegna era il governo libico” e che “l’autorizzazione al traffico - comprese quelle doganali “ erano state rilasciate senza alcun problema in quanto nel 2009 non vi era nessun embargo contro la Libia.  L’associazione aveva chiesto chiarimenti all’ allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, senza però poi avere alcun tipo di chiarimento.

Aggiungiamo anche che le 2011 alcune nazioni europee avevano venduto alla Libia armi per un valore di 34 milioni di euro, a cui si sarebbero aggiunti i ben 4 miliardi di dollari che Gheddafi era pronto a sborsare per acquistare armamenti dalla Russia di Vladimir Putin. Solo nel leggere tutto questo possiamo renderci conto di come sia negli ultimi anni del regime quanto in quelli della guerra civile tutta la Libia sia diventata un enorme distesa di territorio stracolma di armamenti di ogni genere, sia di quelle leggere quanto di quelle pesanti.

Uno sterminato campo di materiale bellico che rischia, seriamente, di rendere uno dei più importanti e strategici paesi del Maghreb  (qualora la si riesca a pacificare) un enorme supermarket delle armi, su cui le organizzazioni criminali non mancherebbero certo di puntarci le loro mire. E prima fra tutti quelle italiane che sarebbero certamente, in tutta questa pericolosa girandola della morte, in prima fila per abbeverarsi. Per ora le varie milizie sparse a macchia di leopardo su tutta l’ area hanno tutto l’interesse a mantenere salde nella proprie mani armi e munizioni, preziosissime per proseguire la lotta intestina per il potere che sta provocando migliaia di vittime.

Una sanguinosa lotta senza tregua. Per ora il primo ministro Fayez al Serraj ( appoggiato dalla comunità internazionale) non sembra essere tanto vicino all’ obiettivo di fermare la mattanza che è ancora in atto dopo oltre cinque anni di guerra civile. Ma quando tutto questo sarà finito, dalla coste libiche di sicuro non partiranno solo  gommoni colmi di profughi e disperati, ma di sicuro fiumi di armi che faranno gola alla criminalità italiana. Un traffico florido e conveniente, data la poca distanza tra i porti del sud Italia e quelli libici. Un iniziativa di prevenzione , quindi, non farebbe di certo male soprattutto all’ Italia.

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