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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Quattro sindaci arrestati in 30 anni: il male oscuro di Brindisi

Quattro sindaci arrestati in trent’anni non è un primato da esibire con orgoglio. Qual è il male oscuro che affligge questa città? Cosa ci rende così diversi da Bari o da Lecce, ma anche da altre città del Mezzogiorno, dove pure spesso regnano la cattiva politica, gli intrallazzi e i favoritismi ma i casi di sindaci che finiscono agli arresti sono molto più rari

Quattro sindaci arrestati in trent’anni non è un primato da esibire con orgoglio. Qual è il male oscuro che affligge questa città? Cosa ci rende così diversi da Bari o da Lecce, ma anche da altre città del Mezzogiorno, dove pure spesso regnano la cattiva politica, gli intrallazzi e i favoritismi ma i casi di sindaci che finiscono agli arresti sono molto più rari. Sarebbe molto comodo rispondere che queste cose accadono perché questa città (ma anche la provincia) da quando ha perduto la classe dirigente politica del Dopoguerra, siamo più o meno alla metà degli anni Settanta, è sempre stata etero diretta.

I destini della città venivano decisi a Roma, e qualche volta a Bari, e lì di brindisini a dare le carte ce ne sono stati sempre di meno, sino a scomparire. E’ una spiegazione che vale però sino ad un certo punto, anche perché uno dei mali della città – il cattivo governo dei processi che una industrializzazione che ci era stata calata dall’alto avrebbe imposto - è imputabile proprio a quella generazione.

L’origine dei nostri guai sta anche lì, nel non aver saputo essere all’altezza della gestione di un processo di totale trasformazione economica e sociale che l’industria aveva avviato. Si dirà che questo è stato un male comune per tutte le realtà del Sud dove negli anni Cinquanta e Sessanta si imposero le ciminiere, ma è ben magra consolazione. Anche perché noi avevamo di che difenderci.

 L’industria, quella aeronautica, l’avevamo già conosciuta, l’agro-alimentare era stato il nostro cavallo di battaglia sin da fine Ottocento, ed in più avevamo un porto all’epoca centrale nel sistema dei trasporti marittimi verso l’Oriente, e persino un aeroporto internazionale, fiore all’occhiello di tutta la regione (a Bari l’aeronautica civile non sapevano neanche cosa fosse…). Insomma non è che Brindisi fosse la valle dell’Eden, anzi disoccupazione ed emigrazione c’erano eccome, ma c’era un terreno fertile su cui costruire un nuovo futuro dopo la catastrofe del fascismo e della guerra.

Qualcuno si chiederà perché un semplice sospetto episodio di corruzione politica provochi un’analisi così complessa, che meriterebbe forse un approfondimento che vada oltre quello di un semplice “cronista di campagna” quale io mi considero (forse per le mie origini tuturanesi). E’ che da lì parte l’ennesima trasformazione del tessuto culturale della città. L’arrivo delle ciminiere non causò solo la formazione di una benefica, diffusa cultura operaia, ma con essa anche una radicale trasformazione della cultura imprenditoriale: diventarono tutti appaltatori e sub appaltatori (certe volte sub sub…).

Fenomeno accentuato poi con l’arrivo delle centrali, altro incubatore di sub appalti e malaffare. Il segreto non era più quello di inventarsi qualcosa su cui competere sui mercati, ma trovare il politico giusto che ti veicolasse nei rapporti con la grande committenza per eseguire le commesse, con il passare degli anni sempre più esigue e marginali. Al resto ci hanno pensato i rifiuti, la cui gestione è sempre risultata opaca e qualche volta criminogena.

Il resto lo hanno fatto i partiti, la politica. Da tempo non si scelgono più i migliori, ma i portatori di voti che, come i soldi, non puzzano mai. I partiti non esercitano più una selezione quando formano le liste. Il caso Luperti è da letteratura, ma nel consiglio comunale in carica c’è pure qualche “sofferenza giudiziaria”. Non di poco conto quella a carico di un consigliere sotto processo, ora in appello, per reati di natura mafiosa.

Lo stesso Consales non era candidabile, non tanto per i suoi debiti (la cui dimensione nessuno conosceva), ma perché – lui, che era stato, con la sua News, per almeno un decennio una specie di menestrello di chi governava - non poteva certamente essere considerato il nuovo, il cambiamento di cui aveva urgente bisogno una città in crisi come Brindisi. Di questa macroscopica inadeguatezza noi su questo giornale avevamo scritto, io per primo, sin dal principio.

Non venimmo ascoltati, anzi – anche con odiose pressioni - si tentò di farci cambiare idea. I fatti, al di là di come finiranno le vicende processuali, che ci auguriamo finiscano bene per Consales, ci hanno dato sinora ragione. Brindisi in questi tre anni e mezzo di variopinte giunte Consales è ulteriormente precipitata nella spirale della marginalità e della decadenza.

Il silenzio più assordante (anche in questi mesi di polemiche nel Pd brindisino) è però dei suoi padrini politici. Giovanni Carbonella si è tirato fuori in tempo non sospetto, dichiarando che tre anni fa sbagliò nella scelta di Consales, ma gli altri due, il senatore “miracolato” Salvatore Tomaselli, e il consigliere regionale Giuseppe Romano, tacciono ancora. Sono mesi che assistono senza dire da che parte stanno, se con il loro partito, il Pd, che da mesi ha varato una operazione pulizia a Brindisi, o con gli “acquisti di gennaio” Consales e Luperti, giunti nel Pd solo dopo le elezioni del 2012?

E quel vecchio uomo di partito Salvatore Brigante, capogruppo del Pd in consiglio, possibile che sinora non abbia sentito il bisogno di rivolgersi qualche semplice domanda? Possibile che tutto quello che stava accadendo nel Pd dipendesse solo dalle degenerazioni correntizie, o dalle senili voglie di qualche ex dirigente di tornare in auge e non da un nauseabondo processo degerativo? Solo chi vive la città con gli occhi coperti dal prosciutto del potere non si rende conto delle condizioni in cui è precipitata. O non se ne vuole rendere conto perché suoi pensieri stanno ben lontani da quel bene comune che a parole si dice di voler rappresentare.      

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