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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Ceglie Messapica

Bancarotta a Ceglie, quattro condanne

CEGLIE MESSAPICA - Documenti e soldi spariti prima di chiudere baracca. I titolari di una azienda tessile di Ceglie Messapica che, dopo il fallimento del 2006, avrebbero occultato ogni spicciolo (sarebbero circa 30 milioni delle vecchie lire) sono stati oggi condannati a pene piuttosto pesanti per bancarotta fraudolenta.

CEGLIE MESSAPICA - Documenti e soldi spariti prima di chiudere baracca. I titolari di una azienda tessile di Ceglie Messapica che, dopo il fallimento del 2006, avrebbero occultato ogni spicciolo (sarebbero circa 30 milioni delle vecchie lire) sono stati oggi condannati a pene piuttosto pesanti per bancarotta fraudolenta.

Avevano inoltre licenziato una decina di lavoratrici le quali non avrebbero potuto ottenere il saldo dei propri crediti, se non facendo affidamento sull’Inps. Le quattro persone giudicate oggi colpevoli sono: Francesco Aldo Chini, di Ceglie, 54 anni, per cui è stata prevista una pena di 3 anni e 9 mesi, Rocco Nisi, 47 anni di Ceglie, condannato in primo grado a 2 anni e 4 mesi,  Salvatore Guglielmo, 39 anni di Minervino, a 3 anni e 4 mesi e Ronzina Nigro, 43 anni, di Ceglie, la cui pena è pari a 2 anni e 4 mesi.

Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Cosimo Deleonardis, Giusy Oriente e Aldo Gianfreda. La vicenda ha inizio nel 2004, quando la piccola sartoria che dava lavoro a una decina di persone inizia a navigare in cattive acque. Era dapprima una realtà affermata, ma a un certo punto iniziarono i problemi.

Si dovette procedere con qualche licenziamento. A scaglioni le dipendenti furono mandate a casa. Si chiusero i battenti, finché nel 2006, per la precisione il primo marzo, non fu dichiarato il fallimento della piccola impresa di provincia. Bloccata la produzione, si doveva quindi pensare a liquidare i creditori, inclusi i dipendenti ai quali spettavano importi variabili a seconda dell’anzianità.

Niente da fare, neppure un cent dagli ex datori di lavoro. Per quel fallimento che sembrò “pilotato” agli inquirenti si è celebrato un processo con rito ordinario. Il tribunale (presidente Francesco Aliffi) è giunto alla conclusione che il teorema dell’accusa sostenuta dal pm Antonio Costantini, secondo cui erano state distratte somme e distrutti i beni per arrecare danno ai creditori, era da ritenersi solido: tutti colpevoli, quindi, e condannati a pene piuttosto consistenti.

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