rotate-mobile
Cronaca

Quella guerra tra procure che Brindisi subisce e il "garbo" di Dinapoli: "Sempre stato sereno"

Glielo ha riconosciuto la Suprema Corte, ma gli osservatori attenti avevano già avuto modo nei due anni trascorsi di osservare il "garbo" con cui Marco Dinapoli, il procuratore della Repubblica di Brindisi, si è difeso da una guerra

BRINDISI - Glielo ha riconosciuto la Suprema Corte, ma gli osservatori attenti avevano già avuto modo nei due anni trascorsi di osservare il “garbo” con cui Marco Dinapoli, il procuratore della Repubblica di Brindisi, si è difeso da una guerra in sede giudiziaria e disciplinare che la Dda di Lecce gli aveva dichiarato. Profilo basso “massima collaborazione con la Dda” sempre e comunque, anche nei momenti più difficili. Pure quando, sebbene il procuratore della Dda Cataldo Motta l’avesse spuntata e fosse quindi rimasta a Lecce l’inchiesta sulla strage di Brindisi, l’interlocuzione con una collega magistrato, il gip Ines Casciaro, gli ha fatto rischiare una macchia indelebile sulla carriera, oltre che sulla fedina penale.

La censura, sanzione disciplinare delle più lievi che possono essere attribuite a un magistrato, è stata annullata dalla Cassazione a Sezioni unite che ha “cassato senza rinvio” la decisione della sezione disciplinare del Csm.

Il ‘tribunale delle toghe” aveva già alleggerito di molto il carico, rispetto a quanto richiesto: aveva opposto un ‘no’ secco all’ipotesi di trasferimento in via cautelare, poi aveva deciso, nel novembre scorso per la nota di biasimo. Dinapoli già all’epoca si era detto sicuro di poter affermare che le incolpazioni rimaste erano pure infondate. Annunciò ricorso per Cassazione, lo ha fatto, con il suo legale. E ha ottenuto quel che sperava, quel che gli era dovuto.

Il procedimento disciplinare era partito contestualmente all’avvio di un’inchiesta dalla Procura di Potenza che fu archiviata due giorni dopo l’apertura del fascicolo. La notizia di reato era stata recapitata dal procuratore Motta ai pm che per competenza si occupano dei colleghi brindisini. Prosciolto Dinapoli, poi solo “censurato”, infine uscito a testa alta da un pastrocchio che ha dato una pessima immagine dell’Italia nel mondo. Sì, perché nel 2012, quando una bomba esplose davanti alla scuola Morvillo Falcone, gli occhi di tutti erano puntati su Brindisi. E non solo i media italiani facevano rimbalzare tra le breaking news gli aggiornamenti sull’indagine che riguardava la strage.

L’estremo lembo del tacco d’Italia apparve come una terra litigiosa, uno spicchio di Belpaese in cui perfino le toghe guerreggiavano, nonostante dolore e alla ferita profonda inferta da un “folle” dalla lucidità esecutiva inappuntabile. Giovanni Vantaggiato, imprenditore di Copertino, confessò di aver posizionato un ordigno davanti alla Morvillo Falcone. Il suo “mea culpa” fu la conferma che forse Dinapoli aveva avuto ragione a convocare qualche giorno prima una conferenza stampa in cui spiegava alla popolazione, allo scopo di far calare il polverone e di infondere fiducia nell’operato degli inquirenti, oltre che di quietare l'angoscia che impediva i genitori di mandare serenamente i figli a scuola, che quel boato che aveva fatto tremare Brindisi alle 7.42 di un sabato mattina altro non era che l’azione di un uomo fuori di testa. Un “pazzo” isolato. Sì, un pazzo isolato. Ché l’autore di un gesto tanto infido non può essere certo riconosciuto come persona "normale", per quanto fosse certamente capace di intendere e volere al momento del fatto e poi anche di stare a processo, tanto quanto era in grado di fabbricare pipe-bomb e ordigni “micidiali”.

Nonostante ciò, seppure in due gradi di giudizio abbia retto il movente (che non ci convince ancora oggi neppure un po’) consegnato da Vantaggiato agli inquirenti, ossia che la strage di Brindisi fosse una vendetta contro i giudici per una sentenza per truffa non ritenuta congrua alle proprie aspettative, si è ritenuto che quell’azione fosse aggravata dalle finalità terroristiche. 

E' una guerra che ha provocato conseguenze tangibili nella quotidianità. Delle conferenze stampa che costringono i giornalisti Brindisini a recarsi a Lecce, perché in procura a Brindisi non si possono indire, non importa nulla a nessuno. Ma gli imbarazzi che si vivono nelle segrete stanze in cui decine di investigatori cercano, senza preoccuparsi di quale sia la competenza, di fare il proprio lavoro, quelli sono tangibili. 

Brindisi, terra messa al margine e dipinta come culla di una Sacra Corona Unita che sembrerebbe ancorata a vecchie dinamiche, ha vinto stavolta. Il “garbo” di Dinapoli, che è simbolicamente il “garbo” della procura tutta in questo conflitto, è stato riconosciuto dalla Suprema Corte. Gli ermellini sono stati chiari.

“Il dottor Dinapoli – scrivono  – non ha agito per un interesse privato bensì nell’interesse del suo Ufficio alla corretta applicazione della legge nella determinazione della Procura competente allo svolgimento delle indagini preliminari”.

Dinapoli, oltretutto non ha “utilizzato maniere invadenti o aggressive, risultando al contrario che egli ha inviato il materiale in questione solo dopo averne ottenuto il permesso, previamente richiesto alla destinataria, né ha dato risalto mediatico o pubblicità alla propria iniziativa”.

Marco Dinapoli“I magistrati – si legge ancora – assai spesso interloquiscono discutono e si confrontano durante l’attività lavorativa, che li vede talora in contatto per molte ore al giorno”. Questa non è una “ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altri magistrati”. Non fu neppure formalmente sollevato un conflitto: il procuratore di Brindisi si limitò a parlarne prima con il procuratore distrettuale di Lecce e poi con il procuratore generale, oltre che con il gip, non prima d’aver chiesto il permesso.

“Si è dimostrato che ogni accusa era infondata. Si trattava solo di una legittima interlocuzione tra magistrati. Era tutto privo di fondamento”: ha commentato il procuratore Dinapoli. “Ho atteso con estrema tranquillità, mi sono difeso nel merito”.

Su quanto la “guerra” abbia potuto nuocere, Dinapoli naturalmente non si esprime. “La Procura di Brindisi ha mantenuto un atteggiamento composto. Ha continuato a collaborare con la Dda di Lecce”. Così come si deve fare. Guai a censurare il confronto in punto di diritto fra magistratura requirente e giudicante. E’ legittimo il confronto di idee ed è davvero troppo ipotizzare che dallo stesso un giudice possa sentirsi condizionato. 

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Quella guerra tra procure che Brindisi subisce e il "garbo" di Dinapoli: "Sempre stato sereno"

BrindisiReport è in caricamento