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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

Inchiesta omicidio Carvone: “Quando sparai lo presi alla pancia”

Due dei sei indagati intercettati il 15 ottobre parlavano della pistola: “Dove sta, mi serve. Non lasciarla fuori, sotto l’acqua”. L’arma non si trova

BRINDISI – “Uhe’ Ste, qua lu pigghiai quando sparai, ntra la panza (qua lo presi quando sparai, nella pancia)”. Con “voce molto bassa e in presenza di rumori di fondo”, questa frase è stata intercettata durante una breve conversazione tra i fratelli Alessandro e Stefano Coluccello, brindisini, 31 e 28 anni, entrambi arrestati dagli agenti della Mobile, nell’inchiesta sull’omicidio di Giampiero Carvone, avvenuto nella notte tra il 9 e il settembre scorsi, in via Tevere, nel quartiere Paradiso.

conferenza stampa mobile omicidio carvone 17 dicembre1-2

Gli indagati

Entrambi sono accusati di “porto e detenzione di arma comune da sparo”, una semiautomatica con munizionamento, che, stando alle intercettazioni ambientali, avrebbero prima nascosto in un’abitazione e poi trasferito. Quell’arma, non è stata trovata. Le perquisizioni eseguite nella mattinata di ieri dai poliziotti, contestualmente all’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, hanno dato esito negativo. A fare riferimento all’arma e all’esplosione di almeno un colpo di pistola, stando a quanto emerge dalla lettura del provvedimento, sarebbe stato Alessandro Coluccello, arrestato il 4 novembre scorso, in flagranza di reato, per il furto di 1.400 cavi di rame.

Le intercettazione ambientale

Frase breve, in dialetto brindisino, rivolta al fratello Stefano, il pomeriggio del 15 ottobre scorso, attorno alle 17. “Come evidenziato dal personale della Squadra Mobile, veniva pronunciata a voce molto bassa e in presenza di rumori di fondo”, ha sottolineato il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi, Stefania De Angelis che ha firmato l’ordinanza di custodia chiesta dal sostituto procuratore Raffaele Casto. Il file audio è stato trasmesso alla polizia scientifica di Roma.

Omicidio Giampiero Carvone, , auto attinta dai colpi 3-2-2-2

La minaccia di morte: l’esplosione di un colpo di fucile

Quel pomeriggio, Alessandro Coluccello avrebbe incontrato il fratello Stefano che sarebbe stato arrestato due giorni dopo, il 17 ottobre, assieme a Giuseppe Sergio, per aver minacciato di morte con un fucile a canne mozze due giovani ritenuti vicini a Giampiero Carvone. L’episodio contestato sarebbe avvenuto attorno alle 21,20 del 9 settembre, dunque qualche ora prima dell’omicidio del 19enne, alle spalle della chiesa Cuore immacolato di Maria, nella piazzetta che si trova fra via Bradano e via Adige, dove stavano giocando alcuni bambini. Sarebbe stato esploso in aria almeno un colpo di fucile. Anche quest’arma non è stata trovata.

La tentata estorsione

Stefano Coluccello, già arrestato il 26 settembre, è accusato anche di tentata estorsione, in concorso con Giuseppe Lonoce, e con Aldo Bruno Carone ed Eupremio Carone, in relazione a quanto sarebbe avvenuto il pomeriggio del 9 settembre, fra le 16 e le 16,30: il gruppo avrebbe raggiunto l’abitazione della famiglia Carvone dopo aver saputo che il 19enne si era reso responsabile del furto della Lancia Delta in uso a un parente di Stefano Coluccello. L’auto venne ritrovata sulla strada per Villanova, “gravemente danneggiata”.

Gli indagati, nella ricostruzione contestata dal gip e confermata dal Tribunale del Riesame, avrebbero “compiuto atti idonei, diretti a procurarsi un ingiusto profitto, costringendo Piero Carvone (padre di Giampiero, ndr) a dar loro la somma di denaro necessaria per le riparazioni dell’auto”. Lo avrebbero anche sfidato a regolarizzare la vicenda, “con le mani”.

La richiesta estorsiva non sarebbe andata a buon fine perché ci sarebbe stato l’intervento di Giampiero Carvone, il quale “garantiva” di recuperare i pezzi di ricambio.

Omicidio Giampiero Carvone, , auto attinta dai colp 4-2

Il movente dell’omicidio

“Si ribadisce che Giampiero Carvone ha perso la vita per aver rubato un’auto”, ha confermato il gip nell’ordinanza eseguita ieri. “E i suoi amici, ritenuti complici di Carvone, sono stati gravemente minacciati con la seguente frase: ‘mi dovete pagare la macchina, altrimenti vi sparo in testa’. Frase a cui ha fatto seguito l’esplosione di colpi di fucile”. Il movente, quindi, sarebbe riconducibile al furto dell’auto. Ma manca il nome di chi ha ucciso il ragazzo usando una pistola a munizionamento automatico. Anche in questa ordinanza l’omicidio volontario è contestato a “ignoto”.

La pistola semiautomatica

Nell’ambito delle indagini per risalire a chi ha sparato uccidendo Carvone, il pm ha disposto le intercettazioni ambientali con decreto d’urgenza, poi convalidato dal gip. Di rilievo, sono state ritenute quelle tra i due fratelli Coluccello: “Alessandro dopo aver chiesto a Stefano, dove avesse nascosto la pistola e dopo averla ricevuta, parlava con il fratello e con il nipote Giuseppe Sergio”, è scritto nell’ordinanza. “La pistola a do’ sta, mi servem a do la misa?”. E poi: “Lassamila entra li mani, uhe vidi ca ti sparu”. Sergio: “Si sta scatta, sienti?”.

La conversazione sarebbe proseguita sulle munizioni: “Stefano Coluccello diceva che erano state portate da Bruno, insieme alla pistola. Mentre Sergio ne rivendicava la proprietà”. Dove? Secondo la Squadra Mobile, “è possibile che si faccia riferimento ad Aldo Bruno Carone, detto Bruno”. Dalla stessa conversazione, si evince che, probabilmente, vi erano due diverse tipologie di munizioni. Alla fine del discorso, “Stefano Coluccello parlava di una raccomandazione fatta, ossia di non lasciare la pistola fuori, come era solito fare”. La frase è la seguente: “Cu no la lassi fori, sotto all’acqua, sa. No la lassari da fori, sotta l’acqua aggiu dittu, all’usu tua”.

omicidio carvone - Il luogo della sparatoria prima del delitto-2

Le esigenze cautelari

Per il gip De Angelis, allo stato degli elementi raccolti dalla Squadra Mobile diretta dal vice questore aggiunto Rita Sverdigliozzi, “emerge un contesto criminale nel quale l’autore di un furto va punito da tutta la famiglia, persino con la morte” e ricorre “senza dubbio il pericolo di reiterazione delle medesime condotte criminose.

“La pericolosità sociale degli indagati e il collegamento degli stessi con un contesto criminale di elevato spessore, diviene ancora più evidente dove si considerino gli sviluppi delle indagini, da cui si evince chiaramente la disponibilità di una pluralità di armi”. Armi che non si trovano.

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