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Fuoco contro gli stranieri: l'attentatore ammette e viene arrestato. Il movente? Razzismo

Basta una frazione di secondo, il tempo che si impiega ad azionare un accendino, per trasformare in un crudele atto xenofobo le frasi che si sentono ripetere ogni giorno con leggerezza. Come se non fossero offensive e oltraggiose nei confronti dell'umanità

BRINDISI - Basta una frazione di secondo, il tempo che si impiega ad azionare un accendino, per trasformare in un crudele atto xenofobo le frasi che si sentono ripetere ogni giorno con leggerezza. Come se non fossero offensive e oltraggiose nei confronti dell’umanità, come se non fossero ispiratrici di sentimenti d’odio che meno di una frazione di secondo ci impiegano a divenire tragedie: “Vengono qui, ci tolgono il lavoro. Devono tornare a casa”, sono le più moderate, ormai pronunciate con nonchalance dai leader politici in tv. Poi c’è chi commenta su Facebook i post che riportano notizie di drammi, di sbarchi, di salvataggi estremi: “Ma buttateli a mare”.

GIANNIELLO CARMINE, CL. 1978-2E’ così che in una notte piovosa, nelle strade deserte del centro di Brindisi, un uomo di 37 anni, andandosene in giro alle 3.30, ha dato fuoco a un gruppo di scooter parcheggiati nell’androne di un palazzo di via Bastioni Carlo V. Uno stabile vecchio e cadente in cui abitano dieci ragazzi africani che sono regolarmente residenti a Brindisi, con permesso di soggiorno, e che hanno un regolare contratto di affitto.

L’autore del gesto che poteva costare la vita a un gruppo di immigrati, quattro dei quali sono finiti in ospedale perché intossicati da fumo, ha un nome e un cognome: si chiama Carmine Gianniello, è un volto già noto alle forze dell’ordine anche per qualche Daspo che gli è toccato da ultras del Brindisi calcio, e si è costituito stamattina ai carabinieri. E’ stato posto ai domiciliari, sentito il pm di turno: risponde di incendio doloso. Ha ammesso le proprie responsabilità, ha chiarito il movente. Ha solo specificato di non aver avuto l’intenzione, la scorsa notte, di far saltare in aria un palazzo. Ha appiccato le fiamme per danneggiare i motorini.

Perfino un bambino avrebbe potuto immaginare il pericolo arrecato alle famiglie di ragazzi che stamani si sarebbero svegliati all’alba per andare a fare il lavoro che ormai in molti, quaggiù, non vogliono più fare. Andare a sudare nei campi, da braccianti agricoli in nero, sottopagati. Quasi tutti hanno una bicicletta, qualcuno può permettersi uno scooter di seconda mano. Nel novembre 2011 il primo incendio ai motorini, ieri il secondo. In entrambi i casi si è trattato di una reazione immotivata, frutto di razzismo becero, di un giovanotto che certamente non aveva di meglio da fare per trascorrere la notte.

L'atrio di ingresso del palazzo carbonizzato-3Gli stranieri scampati al peggio, saliti fin sul terrazzo per chiedere aiuto ai vicini che ne hanno sentito le voci e che hanno chiamato i vigili del fuoco, sono lavoratori. Alcuni fanno parte dell’esercito di africani ormai ribattezzati “gli schiavi di Tecnova”: impiegati in passato nella realizzazione di parchi fotovoltaici per la ditta che poi è fallita e che dopo averli costretti a lavorare per ore e ore trascinandosi nel fango, non li ha più pagati. Non uno stipendio di quelli arretrati, per non parlare del Tfr.

L’azienda è fallita, le loro vertenze si trascinano da anni tra proteste e sit-in. Sta per iniziare il processo penale, in cui sono tutti citati come parti offese. Chissà quando la loro triste vicenda sarà regolata con il riconoscimento del diritto a un risarcimento. Nel frattempo la vita va avanti, a Brindisi, dove i ragazzi africani hanno trovato una casa in cui abitano con le proprie famiglie, città da cui partono in bicicletta per poi passare giornate intere in campagna. Città in cui restano stranieri dalla pelle scura, diversi, ladri del lavoro altrui. Gente che da qui deve andare via e che in qualche modo deve capirlo: con le buone o con le cattive. Perfino con una overdose di fuoco e fumo che avrebbe potuto provocarne la morte. 

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