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Il carbone Enel attraversa l'oasi naturale: "Prodotti agricoli delle Saline senza mercato"

“Per promuovere il parco regionale delle Saline di Punta della Contessa non punterei mai sull’attività agricola che si conduce al suo interno e in prevalenza. Non andrei mai a segnalare il pomodoro o il carciofo. Non è come Torre Guaceto"

BRINDISI - “Per promuovere il parco regionale delle Saline di Punta della Contessa non punterei mai sull’attività agricola che si conduce al suo interno e in prevalenza. Non andrei mai a segnalare il pomodoro o il carciofo. Non è come Torre Guaceto. Nella riserva regionale di cui sono direttore ci passa il nastro trasportatore Enel. E proprio tutto ciò di cui stiamo discutendo in questo processo deprime la valenza dei prodotti. Non abbiamo mai potuto creare un marchio, che senso avrebbe promuovere il miele delle Saline se sanno tutti che deriva da Cerano?”.

Giovanni Nardelli con una bottiglia di '72100'Dritto al nocciolo del problema l’agronomo Giovanni Nardelli, funzionario addetto al verde pubblico del Comune di Brindisi, ma soprattutto direttore del parco regionale delle Saline di Punta della Contessa, quella meravigliosa area naturale in cui si trovano specie di volatili rarissime, lì dove si intravedono di tanto in tanto gli aironi e le aquile, che si trova proprio al centro tra l’Enel e il Petrolchimico e che è quasi interamente composta da terreni agricoli (su alcuni dei quali ora si sta tentando la sperimentazione della coltivazione di canapa) e da due criticità ambientali. L’asse attrezzato Enel da cui si sono disperse negli anni, secondo l’accusa formulata dal pm Giuseppe De Nozza, e Micorosa.

Oggi Nardelli è stato ascoltato come testimone nell’udienza del processo a carico di 15 persone, tra cui 13 dirigenti Enel che rispondono di getto pericoloso di cose e di danneggiamento proprio per l’imbrattamento e l’insudiciamento dei campi coltivati in quel di Cerano. L’agronomo ha risposto alle domande dell’avvocato del Comune di Brindisi, parte civile nel giudizio, Daniela Faggiano.

Il pm Giuseppe De Nozza“Posso dire che è un parco di grande interesse per gli ornitologi, ma con un pizzico di invidia devo far rilevare che a differenza di quel che accade a Torre Guaceto e che suscita anche polemica, a nessuno mai verrebbe in mente di sposarsi alle Saline. E questo per noi, per il Comune di Brindisi che è l’ente gestore, è un bel danno”.

Nardelli è il direttore del parco dal 2011. Prima di lui non c’era nessuno, per lo stupore dei difensori Enel che hanno anche rimarcato quello che è un paradosso che probabilmente colpisce tutti: l’area protetta a margine di stabilimenti industriali in aree riconosciute come inquinate e appartenenti al Sin di Brindisi. Ma le aree protette vengono istituire anche per tutelare specie animali che necessitano di essere particolarmente preservate. 

“Non mi sento di valorizzare il parco per le sue caratteristiche agricole, insomma. Non mi sento di investire su un marchio che non avrebbe mercato”. Il ragionamento, che non fa una piega, serve a documentare il danno subito dal Comune di Brindisi che infatti è parte civile nel processo, ma è utile anche a sostenere le tesi di accusa sull’insudiciamento e l’imbrattamento dei campi dovuto proprio allo svolazzare di polveri nerastre che per tutti, all’infuori di Enel, sono polveri di carbone.

Pigmentazione da polvere di carbone su una viteOggi in aula è stato ascoltato anche Elio Calabrese, ex direttore dell’Arpa Brindisi e infine controesaminato dagli avvocati Enel Serafino Faggiano, consulente delle parti civili nominato dall’avvocato Vincenzo Farina. E’ stato un lungo braccio di ferro tra l’esperto agronomo e i difensori Enel che, letta la perizia, hanno sostenuto attraverso le proprie domande che la sofferenza delle piante documentata da Faggiano non sia certamente dovuta alle polveri di carbone.

“Quello era il cuore del Negroamaro doc” ha detto il consulente al giudice monocratico Francesco Cacucci. “Ora non lo è più”, ha specificato. Se vi sono stati danni lo dirà infine una sentenza. I legali dell’azienda che produce energia, proprietaria della centrale a Carbone di Brindisi, hanno voluto che si acquisisse al fascicolo del dibattimento la sentenza del processo Coke, quello sulla dispersione di polveri di carbone dal carbonile Edipower, all’epoca in comproprietà con Enel, e dai camion dei cosiddetti “padroncini”. Tutto prescritto, all’infuori delle accuse meno rilevanti. E mai impugnato dalla società energetica che, ha fatto notare il pm Giuseppe De Nozza, avrebbe potuto impugnare le sentenze di non luogo a procedere puntando all’assoluzione piena da tutti i capi di accusa. Ma non lo fece.

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