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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Oria

"Castello sfigurato": chiesti 12 rinvii a giudizio

ORIA - Per quel castello federiciano trasformato in una sala ricevimenti, modificato “con carte false” e in violazione di qualsiasi vincolo archeologico e paesaggistico il pm della procura di Brindisi, Antonio Costantini, ha chiesto il rinvio a giudizio di 12 persone.

ORIA - Per quel castello federiciano trasformato in una sala ricevimenti, modificato “con carte false” e in violazione di qualsiasi vincolo archeologico e paesaggistico il pm della procura di Brindisi, Antonio Costantini, ha chiesto il rinvio a giudizio di 12 persone, imputate a vario titolo di abuso d’ufficio, danneggiamento, violazioni edilizie, soppressione, distruzione e occultamento di atti, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale e truffa.

Un bel pacchetto di accuse per i due legali rappresentanti della società proprietaria del castello di Oria, per il progettista dei lavori, il capo dell’Ufficio tecnico (che è accusato di aver nascosto in casa le carte che scottavano), per i funzionari della Soprintendenza che avrebbero perfino prodotto “false certificazioni” per avvantaggiare la coppia Isabella Caliandro – Giuseppe Romanin, entrambi difesi dall’avvocato Massimo Manfreda.

Rischiano quindi il processo, dovranno affrontarlo secondo l’impostazione dell’accusa, Isabella Caliandro, nata a Ceglie e residente a Brindisi, Giuseppe Romanin, nato a Lendinara e residente a Brindisi, Severino Orsan, nato a Vercelli e residente a Lecce, difeso dall’avvocato Roberto Cavalera, Pietro Incalza, il capo dell’Utc di Oria, difeso dall’avvocato Roberto Palmisano, Antonio Bramato, nato a Miggiano, residente a Lecce, difeso dall’avvocato Angelo Pallara.

Poi Salvatore Buonuomo, nato a Formia e residente a Gaeta, difeso dall’avvocato Francesco Paolo Sisto, Attilio Maurano, nato e residente a Salerno, difeso dall’avvocato Stefania Cristina Zuffianò, Giovanna Cacudi, nata a San Pietro Vernotico e residente a Nardò, difesa dall’avvocato Angelo Vantaggiato, Vito Matteo Barozzi, nato e residente ad Altamura, difeso dall’avvocato Michele Laforgia, Salvatore Monteduro, nato a Nociglia e residente a San Pietro Vernotico, Antonio Forte, nato ad Altamura e residente ad Avellino, Antonio Loporcaro, nato e residente ad Altamura, difesi dall’avvocato Ladislao Massari.

Undici i capi di imputazione contestati. L’abuso d’ufficio in concorso perché Isabella Caliandro, nella sua qualità di legale rappresentante nonché amministratore unico della Borgo Ducale Srl, proprietaria del castello Svevo di Oria, Giuseppe Romanin, quale amministratore unico, Orsan, progettista e direttore dei lavori, Incalza, dirigente dell’Utc di Oria, Bramato, funzionario della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brindisi – Lecce e Taranto e responsabile del procedimento sui lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro, consolidamento statico e riqualificazione ai fini turisitico culturali del Castellod i Oria, Buonomo quale Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici, Mauriano, ex soprintendente a interim, con violazioni urbanistiche e ambientali, compiute anche con “false certificazioni di conformità delle opere rispetto allo stato dei luoghi e agli atti autorizzativi” avrebbero intenzionalmente provocato ai proprietari un ingiusto vantaggio.

L’ingiusto vantaggio consiste nella possibilità di modificare, con opere in contrasto con la normativa che salvaguarda il patrimonio storico e artistico, la destinazione turistico culturale del castello, al cui interno è stata ricavata una sala congressi, una sala multiuso, una cucina, una sala da pranzo, un office e un ufficio amministrativo.

Abuso d’ufficio in concorso anche perché con “macroscopiche violazioni di legge” sarebbe stato procurato alla società di Caliandro e Romanin l’ingiusto vantaggio derivante dal rimborso delle somme spese per gli interventi, senza riuscire nell’intento per il diniego opposto dalla Regione Puglia. La contribuzione pubblica, del Ministero per i Beni e le Attività culturali avrebbe coperto per il 50 per cento i costi sostenuti, ma, secondo l’accusa, “la maggioranza delle attività edilizie non era legata a esigenze di restauro, ma piuttosto riferibili alla realizzazione di aree, come le cucine, i saloni da pranzo e per ricevimenti e le suite e stanze d’albergo”.

Tutti e 12 gli imputati, tra cui figurano anche Barozzi, Monteduro e Loporcaro, rappresentanti legali delle ditte edili che si sono occupate dei lavori, per aver eseguito in difformità i lavori di ristrutturazione e riqualificazione e per aver eseguito opere anche dopo la scadenza del termine delle autorizzazioni. Le difformità sono le seguenti: diversa configurazione dei percorsi pedonali e delle aiuole, con la realizzazione di muretti perimetrali alla scala che conduce al piano interrato; realizzazione di servizi igienici.

Non solo: apertura di varchi e spostamento di colonne monumentali, una scala interna vicina alla cucina, apertura di finestre sul perimetro esterno del cancello, un soppalco al primo piano, demolizione muretti a secco e realizzazione di muri in calcestruzzo armato, chiusura della vasca ai piedi della scarpata del castello con cemento, alterazione della vegetazione con abbattimento di alberi ad alto fusto, demolizione parziale della scala che fronteggia il convento di San Benedetto. Ipotesi di danneggiamento per Romanin e Caliandro per la distruzione di alberi nel parco di Montalbano, area boschiva che si trova nel perimetro del castello.

L’allora dirigente dell’Utc, Incalza avrebbe nascosto nella propria abitazione anche dopo la cessazione dell’incarico, alcuni atti relativi ai permessi per i lavori al castello, avrebbe “dolosamente” omesso di fare riferimento nei permessi per costruire ai vincoli paesaggistici cui è sottoposto il maniero. Cacudi, quale soprintendente a interim, avrebbe omesso di fornire indicazioni rilevanti sulla conformità dei lavori alla Procura della Repubblica. Orsan e Caliandro, avrebbero attestato falsamente la regolarità delle opere eseguite.

Sarebbe infine stata sostenuta falsamente la compatibilità delle opere eseguite con il recupero e la conservazione del castello. I due proprietari avrebbero infine destinato il bene monumentale a “uso commerciale, in particolare a celebrazione di ricorrenze di vario tipo, con conseguente indiscriminato accesso dei numerosi invitati e la consumazione dei pasti, uso chiaramente incompatibile con il carattere storico e artistico del bene” ponendone a rischio la conservazione e l’integrità.

Il Castello Svevo di Oria è stato sottoposto a sequestro dalla Guardia di Finanza, per la prima volta, il 10 ottobre del 2011 e poi risequestrato il primo marzo 2013, sempre su richiesta del pm Antonio Costantini. Nel corso delle indagini più recenti, a quanto riferiscono gli investigatori, sono emerse inoltre nuove ipotesi di reato di falso. Il progetto di restauro avrebbe compromesso in maniera significativa e permanente il manufatto storico e sarebbe stato realizzato “con la compiacenza di pubblici funzionari appartenenti non solo all’organigramma comunale, ma anche alle dipendenze delle articolazioni locali del ministero per i Beni e le Attività Culturali”.

Dopo il primo sequestro, le attività “non compatibili” con la vocazione storico artistica del complesso,sarebbero inoltre proseguite. Chiuse le indagini, nel marzo scorso, arriva ora la richiesta di giudizio per i 12 imputati: la parola passa al gup per la fissazione dell’udienza preliminare.

 

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