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Cronaca

Contrabbandiere ucciso, si riapre il processo a Forleo e ai settori deviati della questura

BRINDISI - E’ iniziato questa mattina, di fronte alla corte d’assise d’appello di Taranto, quindici anni dopo, il processo bis sull’omicidio del contrabbandiere Vito Ferrarese, avvenuta nella notte fra 13 e il 14 giugno 1995: la Cassazione il 26 aprile scorso invece di confermare o riformare la sentenza di secondo grado della corte d’assise d’appello di Lecce 22 novembre 2007 per omicidio colposo con previsione, ha disposto che il giudizio venga ripetuto, ma con l’imputazione di omicidio volontario. Quel che è certo, a distanza di oltre tre lustri dai fatti, è che lo scafista disarmato morì per mano di poliziotti, tra i quali l’allora questore di Brindisi Francesco Forleo, che viaggiavano a pelo d’acqua su un elicottero d’ordinanza in missione anticontrabbando.

BRINDISI - E’ iniziato questa mattina, di fronte alla corte d’assise d’appello di Taranto, quindici anni dopo, il processo bis sull’omicidio del contrabbandiere Vito Ferrarese, avvenuta nella notte fra 13 e il 14 giugno 1995: la Cassazione il 26 aprile scorso invece di confermare o riformare la sentenza di secondo grado della corte d’assise d’appello di Lecce 22 novembre 2007 per omicidio colposo con previsione, ha disposto che il giudizio venga ripetuto, ma con l’imputazione di omicidio volontario per dolo eventuale (la stessa accusa degli imputati del rogo della Thyssen Krupp). Quel che è certo, a distanza di oltre tre lustri dai fatti, è che lo scafista disarmato morì per mano di poliziotti, tra i quali si trovava l’allora questore di Brindisi Francesco Forleo, che viaggiavano a pelo d’acqua su un elicottero d’ordinanza in missione anticontrabbando.

La sentenza della corte di Cassazione ha accolto i ricorsi, modulati su tesi opposte, della procura generale della Repubblica e della difesa di quindici imputati, fra uomini della polizia di Stato e contrabbandieri, strana accolita che viaggiava lungo direttrici clandestine dei tabacchi lavorati esteri, una delle pagine più buie della Marlboro City che fu. Principale imputato il questore Francesco Forleo, difeso dall’avvocato Marcello Petrelli. L’ex capo della questura brindisina attualmente in pensione, che nel frattempo è assurto alla carica di prefetto prima, poi di commissario straordinario incaricato dalla Protezione civile in occasione della emergenza rifiuti a Napoli, era stato condannato in secondo grado a tre anni e sei mesi per omicidio colposo con previsione.

La pena fu dimezzata malgrado il riconoscimento della identica ipotesi accusatoria che in prima battuta aveva determinato la condanna di Forleo a sei anni e tre mesi. Il colpo mortale che raggiunge lo scafista alla testa,  fu esploso con la pistola d’ordinanza - una Beretta SB cal.9 parabellum - del vice questore Giorgio Oliva, che in prima battuta addossò a se stesso tutte le colpe dell’omicidio, salvo poi svelare come andarono veramente i fatti in quella notte buia di quindici anni fa. Oliva ha patteggiato subito.

Da stabilire nuovamente chi a bordo dell’elicottero, carico anche di bombe a mano e fucili (tutti utilizzati) abbia premuto il grilletto, se Forleo o altri. Forleo ha sempre negato di essere stato lui ad esplodere il colpo mortale.Tutti i nomi eccellenti sono ancora in ballo in questa annosa vicenda processuale che stenta a chiudersi, tre lustri dopo, con il carico di ambasce che ne è conseguito soprattutto per la famiglia del contrabbandiere ucciso, parte civile con a fianco l’avvocato Giuseppe Lanzalone.

Annullamento con rinvio anche per il vice questore Pietro Antonacci (avvocato Carmelo Molfetta), capo pro tempore della squadra mobile di Brindisi, per il capo della sezione catturandi Pasquale Filomena (avvocati Augusto e Domenico Conte  e Paolo D'amico),  Emanuele Carbone, ispettore di polizia, brindisino; Giovanni Perrucci, ispettore di polizia, mesagnese; Mario Greco, poliziotto, ostunese; Francesco Vacca, poliziotto, di Carovigno, tutti uomini al comando di Pasquale Filomena, che secondo le accuse aveva intrattenuto rapporti illeciti con il clan dei latitanti brindisini in Montenegro, capeggiato da Benedetto Stano (poi passato alla collaborazione con la giustizia), ottenendone armi, notizie, organizzando sequestri e attentati fittizi, e in generale intrattenendo anche rapporti di affari con alcune “squadre”.

I poliziotti, stando all’accusa, partecipavano alacremente alle attività contrabbandiere, prestando il fianco alla malavita dalla quale incassavano una percentuale per ogni soffiata sulla allocazione delle casse di tle di proprietà delle bande avversarie. L’attacco allo scafo blu pilotato da Ferrarese altro non fu che una forma di pressione nei confronti di Stano e dei latitanti. Insomma, nella squadra mobile operava una vera e propria sezione deviata – questa l’accusa – che emarginava dalla indagini più delicate i colleghi - la grande maggioranza - che non erano organici a questa gestione. Filomena, inoltre, quando lo scafo blu col cadavere di Ferrarese fu rimorchiato a terra, sempre secondo le accuse fece mettere a bordo una mitraglietta per dimostrare che dall'elicottero avevano sparato per difendersi.

E ancora, processo da rifare, fra le fila dei contrabbandieri, per  Fabio Fornaro, Oliver Cannalire, Aldo Cigliola, Flavio Maggio, Massimo Greco, Cosimo Patronelli, Aldo De Santis e Teodoro Sciarra (collegio difensivo composto dagli avvocati Gianvito Lillo, Aldo Guagliani, Vito Epifani, Giampiero Iaia, Orazio Vesco). Prossima udienza, che sarà dedicata alla requisitoria del procuratore generale Antonella Montanaro, fissata per il 6 luglio.

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