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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Così il super-funzionario consigliò il genero: "Fatti trovare casa da Anemone e Zampolini"

FRANCAVILLA FONTANA - Quattordici volte imputato, altrettante volte prosciolto. Ercole Incalza, 66 anni, di Francavilla Fontana, due lauree, una in ingegneria e l’altra in architettura, irrompe con fragore nell’appaltopoli che vede coinvolto anche il ministro dimissionario Claudio Scajola. E sempre per una storia di case: un appartamento nel cuore di Roma destinato al marito della figlia, Alberto Donati, in qualche modo riconducibile ai favori dispensati dal costruttore Diego Anemone coinvolto nell’inchiesta G8 sui grandi appalti dello Stato.

FRANCAVILLA FONTANA - Quattordici volte imputato, altrettante volte prosciolto. Ercole Incalza, 66 anni, di Francavilla Fontana, due lauree, una in ingegneria e l’altra in architettura, irrompe con fragore nell’appaltopoli che vede coinvolto anche il ministro dimissionario Claudio Scajola. E sempre per una storia di case: un appartamento nel cuore di Roma destinato al marito della figlia, Alberto Donati, in qualche modo riconducibile ai favori dispensati dal costruttore Diego Anemone coinvolto nell’inchiesta G8 sui grandi appalti dello Stato.

Un appartamento di 170 metri quadrati a pochi passi da Piazza del Popolo, in via Emanuele Granturco, al numero 5, al Flaminio. La “colpa”, al momento, di Ercole Incalza, dirigente del Ministero delle Infrastrutture, sarebbe quella di avere consigliato il genero di chiamare “Anemone e Zampolini, così di ti fai trovare una casa da loro”. E Zampolini, di nome Angelo, architetto che lavora per Anemone, gli trova una bellissima casa a prezzo stracciato. Appartamento pagato con assegni per 520mila euro (da diecimila euro l’uno) a Maurizio De Carolis (proprietario dell’immobile), che vengono emessi dalla stessa filiale della Deutsche Bank di Roma dalla quale sono stati emessi gli assegni per l’acquisto della casa di Scajola.

Ex ministro che proprio oggi avrebbe dovuto presentarsi ai pm di Perugia per essere interrogato come teste, ma che ha fatto sapere che non ci andrà perché “non si sente garantito e perché la  Procura di Perugia non è competente”. A tirare in ballo Incalza è stato lo stesso genero quando è stato interrogato dalla Guardia di Finanza. “Mi sono rivolto a loro perché me lo ha detto mio suocero”.

Incalza, lascia Francavilla Fontana, dopo avere frequentato il liceo “Vincenzo Lilla”. I suoi amici di allora lo chiamano ancora Ercolino. Frequenta l’Università di Palermo. Si laurea in Ingegneria e poi in Architettura. E’ un grande esperto di trasporti. Su questo non ci sono dubbi. Nel 1983 arriva al ministero di piazza della Croce Rossa  con la qualifica di capo della segreteria tecnica nel Mezzogiorno. Poi diventa consigliere del ministro Claudio Signorile.

Tra i tanti incarichi ha anche quello di presidente delle Ferrovie Sud Est, direttore generale del ministero dei Trasporti, consulente del ministro Lunardi e poi presidente della Tav (Alta velocità), per la quale fu anche arrestato. Ha ricevuto anche incarichi come docente. Non solo in Italia ma anche all’estero. Gianni De Michelis lo definiva il più preparato tra i tecnici per quanto riguarda i trasporti. Un dirigente, insomma, del quale il Ministero dei Trasporti non può fare a meno.

Incalza viene implicato negli scandali delle opere fantasma degli anni ‘90. Il 7 febbraio del 1998 viene arrestato su ordine di custodia cautelare dei giudici di Perugia, accusato di corruzione assieme a Lorenzo Necci, Francesco Pacini Battaglia e Emilio Maraini. Avrebbero corrotto l’ex capo dei gip di Roma, Squillante, e il pubblico ministero Castellucci che doveva indagare sulla Tav, progetto contestatissimo nella  Val di Susa. Incalza avrebbe, secondo le accuse di allora, dalle quali poi il manager di Francavilla Fontana esce indenne, affidato incarichi d’oro a tre avvocati amici del pubblico ministero.

Per i giudici Incalza faceva parte integrante di quella “struttura bene organizzata composta da manager pubblici e privati” che manipolava gli appalti per “creare fondi extracontabili per erogare tangenti verso il potere politico, che quei vertici avevano sponsorizzato e verso gli stessi amministratori pubblici per garantire il loro illecito arricchimento”.  Insomma il sistema Tav, secondo i giudici, come fu ideato da Necci e Pacini.

Fu il ministro Luigi Preti a rivolgersi per primo alla magistratura. E’ il 1993 quando presenta un esposto alla  Procura di Roma, denunciando irregolarità per le procedure adottate nella costituzione del Tav Spa. L'inchiesta viene affidata al sostituto procuratore Giorgio Castellucci, che si accordò con Antonio Di Pietro, all’epoca pm di Mani Pulite, di dividere le indagini in due tronconi. Castellucci avrebbe tenuto la parte romana, Di Pietro quella milanese.

Di Pietro in quel periodo si dimise e l’inchiesta milanese si arenò. Castellucci andò avanti. Ma in modo strano. Non accolse la richiesta  del gip Augusta Iannini di iscrivere nel registro degli indagati Ercole Incalza ed Emilio Maraini. Incalza era direttore generale del Ministero dei Trasporti ed era all’epoca consulente del ministro Lunardi. Maraini era il dirigente Fs più vicino a Necci.

Castellucci proseguì contro ignoti, chiedendo l'archiviazione. Iannini la respinse. Il pm iscrisse Incalza e Maraini nel registro degli indagati e chiese l'archiviazione. Il capo dei gip Carlo Sarzana respinse la richiesta, disponendo il rinvio a giudizio dei due manager. Sei mesi dopo Giorgio Castellucci fu rinviato a giudizio dalla procura di Perugia con l'accusa di aver percepito del denaro per far archiviare l'inchiesta.

Incalza, come si diceva, è uscito sempre indenne dalle inchieste giudiziarie. Torna spesso a Francavilla dove ha i suoi familiari e gli amici di un tempo. L’ultima volta è stato a Pasqua.

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