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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Dalle "bionde" ai videopoker: colpito il nuovo network della Scu, ma il capo è latitante

BRINDISI – Era il nuovo network della Sacra Corona Unita, quello che faceva capo a Daniele Vicientino, uno del quale – a suo dire – bastava una semplice apparizione per fare sbiancare avversari e vittime delle estorsioni. Assieme ad un altro mesagnese, Ercole Penna, Linu lu Biondu, 36 anni, aveva preso in mano le redini del vecchio gruppo di Antonio Vitale, detto il Marocchino (che avrebbe concluso la pena nel 2013), clan tra quelli più fedeli al fondatore della Scu, Pino Rogoli. E accanto a loro, a pilotare la transizione della criminalità organizzata dallo sfruttamento delle rendite finanziarie del contrabbando a nuovi affari, proprio uno degli uomini di punta del traffico di sigarette, l’ostunese Albino Prudentino, 59 anni, di Ostuni, nulla a che vedere con Francesco Prudentino, quel Ciccio la Busta “re delle bionde”, malgrado l’omonimia.

BRINDISI – Era il nuovo network della Sacra Corona Unita, quello che faceva capo a Daniele Vicientino, uno del quale – a suo dire – bastava una  semplice apparizione per fare sbiancare avversari e vittime delle estorsioni. Assieme ad un altro mesagnese, Ercole Penna, Linu lu Biondu, 36 anni, aveva preso in mano le redini del vecchio gruppo di Antonio Vitale, detto il Marocchino (che avrebbe concluso la pena nel 2013), clan tra quelli più fedeli al fondatore della Scu, Pino Rogoli. E accanto a loro, a pilotare la transizione della criminalità organizzata dallo sfruttamento delle rendite finanziarie del contrabbando a nuovi affari, proprio uno degli uomini di punta del traffico di sigarette, l’ostunese Albino Prudentino, 59 anni, di Ostuni, nulla a che vedere con Francesco Prudentino, quel Ciccio la Busta “re delle bionde”, malgrado l’omonimia.

L'ultimo business? Il controllo del giro dei videopoker, che in alcuni casi veniva attuato imponendo ai gestori dei locali le macchine fornite da Prudentino, in altri casi imponendo il pizzo. In più, e su questo gli scenari sono tutti da esplorare, c’era un giro in fase di avvio in Albania con l’imminente apertura (l’1 ottobre, per la precisione) di un casinò a Valona, al piano terra di uno stabile dove Albino Prudentino si era trasferito.

Ma questa mattina alle 4, in contemporanea in Italia e in Albania, i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Brindisi hanno chiuso la partita, una delle tante, dopo tre anni di indagini arrestando Prudentino in Albania, Penna a Mesagne, Nicola Nigro di 36 anni a Ceglie Messapica, Bruno Bembi di 48 anni a Oria, e sempre a Mesagne Maurizio e Giovanni Vicientino (cugini del boss) di 34 e 58 anni, Angelo Cavallo di 38 anni e Tiziano Maggio di 33 anni.

In tre sono per ora sfuggiti alla cattura: proprio Daniele Vicientino, e con lui Tobia Parisi, anch’egli di Mesagne, e Gennaro Solito di Ceglie Messapica. Uno dei tre è in Thailandia, gli altri chissà dove. I reati ipotizzati a loro carico dal gip di Lecce, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, è associazione di stampo mafioso in traffico di droga, estorsioni ed altro. Svolta cruciale nelle indagini del Ros, il giorno in cui i carabinieri sono riusciti a piazzare una microspia proprio in casa di Daniele Vicientino, uno che spiegava agli altri come destreggiarsi con i telefoni cellulari per evitare di essere rintracciati o intercettati.

La filosofia imposta al nuovo network era semplice: mostrasi sempre uniti di fronte a tutti; ognuno responsabile solo della zona assegnata, con divieto assoluto di reclutamento all’esterno di questi confini; ognuno a guardia dei propri confini per bloccare infiltrazioni di terzi. Tutto ciò per mostrare un profilo basso agli inquirenti, “non come nel 1998”, quando una terribile guerra intestina seminò morti tra Mesagne e Brindisi. Questa la regola interna.

Quella esterna invece era fondata sulla paura come strumento per allontanare le vittime dallo Stato. Daniele Vicientino la chiamava “strategia del terrore e del disagio”. E alla fine le vittime andavano da lui e da Penna per chiedere protezione da altri gruppi. Era infatti accaduto che oritani e cegliesi avevano ripassato persone già impegnate a pagare il pizzo ai mesagnesi.

Quello fu il momento in cui Vicientino e Penna richiamarono tutti all’ordine, definendo il profilo della rete di lavoro che aveva loro due a capo della Scu esterna alle carceri (rispondono perciò anche del fatto di essere i capi e promotori dell’associazione mafiosa), mentre Bembi era il capozona di Oria, Prudentino di Ostuni, Nigro e Solito di Ceglie Messapica. Ma con l’obbligo di versare il cosiddetto “punto” a Vicientino.

Come è partita l’indagine? Nel 2006 (e fino al 2009), seguendo la pista delle persone coinvolte nell’Operazione Mediana e poi tornate libere. Apparve quasi subito chiaro al pm Alberto Santacatterina che Vicientino aveva un ruolo superiore a quello degli altri: era in grado di trattare con i calabresi della cosca Megna di Papanice (Crotone), fornitori di cocaina dei mesagnesi, assumendosi anche i debiti contratti da altri associati alla Scu; era l’uomo di contatto con gli ostunesi e Prudentino; era il pacificatore di contrasti interni. E’ stato quello che ha guidato la riconversione verso il controllo dei centri di scommesse on line, come la “Scommettendo Srl” di Ceglie Messapica, pizzo richiesto, 10mila euro all’anno, e imponendo le slot-machine della banda al circuito delle sale giochi. “Perché questo lavoro non lo conosceva nessuno, no? Mentre invece le sigarette…Hai capito, no?”, diceva ad Albino Prudentino.

Questa mattina il procuratore capo della Dda di Lecce Cataldo Motta, ha spiegato il senso di questa indagine assieme al generale Mario Parente del Ros, ricordando il ruolo e la collaborazione della magistratura e della polizia albanese nel lavoro che ha portato alla cattura di Prudentino a Valona. L’Operazione Calipso, come è stata battezzata dai carabinieri offre la foto di una situazione fluida nella Scu brindisina, un’organizzazione affatto debellata, ha detto molto chiaramente Motta, e capace di rigenerarsi costantemente. E soprattutto votata ad un obiettivo, quello della costruzione nei territori di un potere alternativo a quello dello Stato sul modello della mafie delle regioni vicine, obbligando le vittime dei reati a chiedere sostegno non alle forze dell’ordine, ma al clan dominante. Tutto è stato intercettato, trascritto, verificato, firlmato, come una riunione del clan a Mesagne dove tutti arrivano in moto e scompaiono in un garage.

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