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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca San Donaci

Denuncia il fratello per stalking e minacce di morte: assolto

Il giudice: “Il racconto della sorella non appare lineare”. Il pm: “Nessun riscontro alla denuncia

SAN DONACI – Minacce di morte, lettere anonime, pedinamenti e ingiurie continue: una donna di San Donaci ha denunciato il fratello, finito sotto processo per stalking, accusa dalla quale è stato assolto con formula piena, su richiesta dello stesso pubblico ministero. Perché il fatto non sussiste: “nessun riscontro, denuncia non lineare, persona non credibile”.

La vicenda familiare

Aula Metrangolo tribunale Brindisi 5-2La storia in ambito familiare, legata a rancori tra consaguinei, arriva da San Donaci ed è finita al giudizio del Tribunale di  Brindisi, dopo che lui, fratello del presunto bersaglio degli atti persecutori, era stato anche destinatario di un divieto di avvicinarsi alla sorella. La sentenza di primo grado è stata pronunciata dal giudice per l’udienza preliminare, Giuseppe Biondi, di fronte al quale si è svolto il processo con rito abbreviato chiesto dall’imputato, difeso dagli avvocati Carmelo Molfetta e Silvo Molfetta.

Lui, 54 anni, residente a San Donaci, ha sempre respinto le accuse, rivendicando la propria innocenza, sin dall’inizio. Le prime denunce sporte dalla donna risalgono al 2012. Le ultime al 2016. La sorella sosteneva di essere stata “pedinata, di essere stata più volte ingiuriata e minacciata di morte (anche in pubblico) e di aver rinvenuto delle lettere anonime nella cassetta della posta”. Nella denunce sosteneva che proprio in conseguenza di tali condotte del fratello, “era stata costretta a rinchiudersi e barricarsi in casa durante la notte bloccando la porta dall’interno ed in diverse occasioni, era stata costretta a richiedere l’intervento del 118 in virtù di un forte stato di stress, ansia e paura”. Per questo aveva chiesto di costituirsi parte civile, in sede di udienza preliminare: l’istanza venne rigettata per un difetto nella procura.

Il divieto di avvicinarsi

Il 22 agosto di due anni fa, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi, Stefania De Angelis, “ per motivi di sicurezza”, firmò una ordinanza applicativa della misura coercitiva personale del divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. Misura revocata nove giorni dopo, dopo che l’indagato rese interrogatorio, alla presenza dei suoi difensori, spiegando che da tempo c’erano dissapori e che proprio per evitare il ripetersi di incontri che potessero degenerare, aveva deciso di cambiare luogo di residenza per allontanarsi dalla sorella.  I penalisti Carmelo Molfetta e Silvio Molfetta sottolinearono come la versione dei fatti resa dalla donna, fosse del tutto priva di fondamento e chiesero la revoca del divieto, disposta con ordinanza dallo stesso gip: “All’esito dell’interrogatorio di garanzia, l’indagato, ha reso una versione dei fatti certamente verosimile e non meno credibile di quanto riferito dalla querelante”.

La testimonianza dei nipoti dell’imputato

Non solo.  I difensori successivamente hanno svolto indagini raccogliendo le dichiarazioni dei figli della donna. I nipoti dell’indagato hanno “smentito categoricamente i fatti che vedevano anche loro coinvolti” e hanno confermato che la “madre nutriva un forte risentimento nei confronti del fratello,  spiegandone dettagliatamente le ragioni”. Motivi di famiglia.

I figli della donna, inoltre, hanno sostenuto che la madre “era solita a reazioni sproporzionate e che in diverse occasioni avevano assistito ad episodi simili anche in casa con il padre”.

La difesa

carmelo molfetta avv-2Alla luce di questo quadro familiare, i difensori dell’imputato hanno chiesto l’assoluzione, conclusione a cui è arrivato anche il rappresentante della pubblica accusa. Il pm, nel corso della requisitoria, ha sottolineato la “inattendibilità della donna, persona offesa”. 

I penalisti hanno anche sosteneva l’assoluta assenza di prova in riferimento allo stato patologico lamentato dalla donna, mai documentato e mai immediatamente conseguente alle condotte contestate. (nella foto accanto, l'avvocato Carnelo Molfetta)

Le motivazioni della sentenza

Il gup ha assolto l’imputato, perché il fatto non sussiste: “In conclusione, così come già rilevato dal giudice che revocava la misura cautelare originariamente applicata, la vicenda narrata dalla persona offesa non appare per nulla lineare e logica e, comunque, appare priva di quei necessari riscontri, fondamentali in un caso come questo in cui l’attendibilità e credibilità della vittima sembra fondatamente essere messa in dubbio dalle dichiarazioni del prevenuto, munite, per contro, di significativi riscontri”.

Fine del processo di primo grado. Della vicenda familiare, non è ancora detto.

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