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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

E anche il tenente accusa il pm e un alto ufficiale di complotto nei suoi confronti

BRINDISI – “Preliminarmente mi accuso di calunnia nei confronti del capitano Cosimo Damiamo Delli Santi e di autocalunnia. Fui indotto ad accusare ingiustamente il mio superiore e i miei subordinati dal sostituto procuratore Antonio Negro, che dirigeva l’inchiesta, e dal maggiore Molinese, ora tenente colonnello, dei carabinieri, in cambio della mia libertà”.

BRINDISI – “Preliminarmente mi accuso di calunnia nei confronti del capitano Cosimo Damiano Delli Santi e di autocalunnia. Fui indotto ad accusare ingiustamente il mio superiore e i miei subordinati dal sostituto procuratore Antonio Negro, che dirigeva l’inchiesta, e dal maggiore Molinese, ora tenente colonnello, dei carabinieri, in cambio della mia libertà”.

Parole dure, pesanti come macigni, pronunciate dal tenente dei carabinieri Vincenzo Favoino, arrestato nel gennaio 2005 assieme al capitano Delli Santi e al maresciallo Vito Maniscalchi (tutti e tre in carcere) ed ai marescialli Gioacchino Bonomo, Stefano De Masi e Denis Michelini, e gli appuntati Vito Bulzacchelli e Fabrizio Buzzetta, tutti in servizio presso la Compagnia di Fasano. Delli Santi era arrivato da pochi mesi al comando di quella Compagnia. Furono arrestati per detenzione e porto abusivi di armi, false verbalizzazioni e arresto arbitrario dei pregiudicati ostunesi Carmelo Vasta e Maria Loparco, parti civili in questo processo.

Favoino esordì con queste parole nella precedente udienza e questa mattina, seconda e ultima giornata di interrogatorio, ha continuato su questa linea. Tutto ciò che lui confessò fu il prodotto delle richieste del magistrato inquirente e dell’ufficiale del Ros che conduceva le indagini scaturite a seguito dello sventato attentato dinamitardo al maresciallo Maniscalchi. Va precisato che il sostituto procuratore Negro fu costretto a rinunciare al ruolo di pubblica accusa in questo processo perché nei suoi confronti erano state già lanciate accuse dagli imputati. Il suo posto in udienza fu preso da Raffaele Casto. La vicenda processuale di Negro finì alla Procura di Potenza, competente per i reati commessi dai magistrati di questo distretto, ed è stata già archiviata.

In queste due udienze Favoino, così come prima di lui i graduati e i sottufficiali e il capitano Delli Santi hanno già fatto, ha ricostruito passo passo tutto quanto accadde la notte tra il 5 e il 6 aprile 2004 quando i carabinieri fecero irruzione in casa di Vasta e Loparco (sono conviventi) e trovarono due bombe a mano che l’albanese Marvin Strazimiri, pregiudicato, confidente di Maniscalchi, aveva fornito alla coppia dietro compenso di cinquecento euro. Ordigni che sarebbero dovuti servire la mattina dopo a far saltare l’auto di Maniscalchi, con a bordo il sottufficiale, lungo la strada che percorreva ogni giorno per raggiungere da Carovigno, centro in cui risiedeva, la Compagnia carabinieri di Fasano. Questa la loro versione.

Quella dell’accusa è che le bombe le portò Strazimiri scortato dai carabinieri e, quindi, Loparco e Vasta, sarebbero stati arrestati per la detenzione di quelle bombe pur sapendo che non era vero. Ad incastrare i carabinieri, dopo l’operazione che portò all’arresto di Vasta e Loparco e, quindi, a sventare l’attentato a Maniscalchi, furono le confessioni di Strazimiri. All’albanese era stato promesso il programma di protezione. I carabinieri gli avevano detto che era probabile che gli fosse concesso. Quando Strazimiri non lo ottenne si rivolse al pm Antonio Negro e raccontò che tutto era stato studiato a tavolino. Scattarono le manette per i carabinieri.

Gli imputati hanno continuato a sostenere che Strazimiri, dopo essere stato contatto da Vasta su incarico della Loparco, alla quale Maniscalchi era diventato inviso perché disturbava il suo traffico di droga, in un ripensamento era andato da Maniscalchi a dire che lo volevano far fuori ed avevano chiesto a lui le bombe a mano. Nelle precedenti otto udienze il capitano, con l’ausilio di grafici e slide, ha ricostruito pedissequamente ogni movimento, smentendo, dal suo punto di vista, l’accusa e ribaltando quello che gli viene contestato. Un interrogatorio fiume. Ogni udienza si protraeva per ore.

Oggi, così come in quella precedente, non ha perso una battuta di quello che rispondeva il suo ex vice Favoino alla difesa e alla pubblica accusa. Tutti preseunte vittime di un castello costruito dal sostituto procuratore Negro. Ma principale bersaglio da colpire era Delli Santi. Per quale motivo, non viene fuori da nessuna carta processuale. E su questo ovviamente duellerà la difesa con la pubblica accusa nelle prossime udienze. Piero Argentiero

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