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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Torcia: basta con i teatrini, è necessario un nuovo accertamento tecnico

Le torce fiammeggianti sono lo stereotipo delle raffinerie e non a caso il cane a sei zampe di Eni, ideato dall'artista Luigi Broggini nel 1952, emette una lunga striscia di fuoco dalla bocca. Ma la combustione degli idrocarburi e dei loro derivati non libera solo vapore acqueo nell'aria

BRINDISI – Le torce fiammeggianti sono lo stereotipo delle raffinerie e non a caso il cane a sei zampe di Eni, ideato dall’artista Luigi Broggini nel 1952, emette una lunga striscia di fuoco dalla bocca. Ma la combustione degli idrocarburi e dei loro derivati non libera solo vapore acqueo nell’aria. Ce lo dicono persino le rilevazioni parziali delle centraline del sistema Arpa di Brindisi, pensate e nate solo per identificare una categoria di emissioni limitata, forse più adatta a sorvegliare quella delle centrali termoelettriche che quelle di uno stabilimento petrolchimico.

Nessuno oggi in un paese occidentale costruirebbe un petrolchimico a ridosso di una città, ma Brindisi (e anche Priolo, Augusta, Marghera eccetera) ce l’ha già e ci deve fare i conti. Le energy company hanno scelto i loro siti sulla base della presenza di porti: così in Sicilia, Sardegna, Venezia, Brindisi, risparmiando l’investimento per costruirne integralmente uno lontano dai centri urbani. E’ una logica che si segue ancora per i rigassificatori, e noi ne sappiamo qualcosa. Il rischio industriale, le emissioni, negli anni Cinquanta e Sessanta non erano priorità ostative.

Ma oggi le cose sono cambiate, o comunque devono cambiare: non ci sono deleghe in bianco come quella che ha consentito la formazione di una gigantesca discarica di veleni come Micorosa o la costruzione di carbonili scoperti, o l’uso senza desolforatori di olio combustibile in una centrale termoelettrica nel cuore del porto e a brevissima distanza dalla città. Noi guardiamo ai rischi di oggi ma dobbiamo sapere che in questi anni stiamo pagando a ondate di incrementi di patologie gravi, e particolarmente aggressive, gli abusi del passato.

Inchieste mai fatte, prescrizioni e archiviazioni non assolvono nessuno. Le parecchie decine di operai del petrolchimico morti di cancro non hanno avuto il riconoscimento alla memoria dei compagni di sventura di Marghera e più recentemente di quelli di Mantova, sotto forma di sentenze di condanna dell’azienda, ma chissà: se avessero intentato una causa civile invece di una penale, o se il consulente tecnico d’ufficio fosse stato un altro. Il confine tra un esito e un altro a volte è impercettibile, ma purtroppo determinante.

Dovrebbe essere il sindacato a guidare il movimento per elevare le garanzie ambientali in questa città. A Taranto non lo ha fatto, e il risultato lo conosciamo tutti: prima il lavoro, poi la pelle di chi sta dentro e fuori la fabbrica. Siamo fermi agli anni Cinquanta e Sessanta? Tutto va fatto secondo i protocolli? Bene, e allora secondo i protocolli il sindaco e il prefetto chiedano al Comitato tecnico regionale presso i vigili del fuoco di effettuare un’ispezione accuratissima, assieme ad Arpa, per stabilire cosa sta accadendo.

Sui tweet, post, polemiche tra gli ambientalisti che accusano e chiedono addirittura la chiusura della fabbrica, e settori del sindacato assolutamente integralisti schierati a difesa dell’indifendibile, deve prevalere l’unica cosa che può portare alla verità: l’accertamento tecnico condotto in sinergia da più soggetti pubblici. Bisogna uscire dai soliti spettacolini a gettone tipici di questa città, e pensare a difendere il lavoro e la salute applicando la legge.

La prima occasione per fare ciò è quella di lunedì in prefettura, nel gran consulto sui temi dell’economia locale dove gli imputati si spera non diventino le spinte alla tutela dell’ambiente: vengono molto prima le esigenze di trasparenza elencate in vari protocolli poco rispettati; la questione degli appalti dei grandi gruppi (tema denunciato spesso dal sindacato); non solo lo sblocco ma anche la qualità delle opere pubbliche, e quindi la vigilanza, ricordandosi che tante scuole e case popolari cadono a pezzi pochi anni dopo l’inaugurazione; la chiarezza sui piani futuri degli stessi grandi gruppi; la salute e la sicurezza che non possono essere oggetto di equilibri occulti con la garanzia del mantenimento dei posti di lavoro.

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