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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Eolico e droga: clan Bruno, pene definitive

L’impianto accusatorio è stato del tutto confermato per quelli di Contrada Canali. Il conto era diventato più salato in secondo grado, quando la Corte d'Appello accolse in toto l'appello del pm Milto Stefano De Nozza, la Cassazione ora ha stabilito: rigettati tutti i ricorsi delle difese. Le pene sono definitive.

L’impianto accusatorio è stato del tutto confermato per quelli di Contrada Canali. Il conto era diventato più salato in secondo grado, quando la Corte d'Appello accolse in toto l'appello del pm Milto Stefano De Nozza, la Cassazione ora ha stabilito: rigettati tutti i ricorsi delle difese. Le pene sono definitive. Quindi Andrea Bruno, il ‘capo’, è stato condannato a 34 anni e 6 mesi di carcere, 8 e mezzo in più rispetto a quanto deciso in primo grado, pena ridotta come per legge ad anni 30 perché si tratta del massimo della detenzione prevista.

Bruno. difeso dagli avvocati Franco Coppi e Vito Epifani fu posizionato al vertice del sodalizio di stampo mafioso. I suoi luogotenenti erano i cugini Emanuele Melechì, difeso da Alfredo Gaito condannato a 21 anni e 10 mesi a fronte dei 19 inflitti in primo grado, e Daniele Melechì, difeso dall’avvocato Raffaele Missere condannato invece a 10 anni 2 mesi.

Vincenzo Bruno (nipote di Andrea) assistito da Vito Epifani e da Cosimo Lodeserto, che in Appello era stato assolto dalle accuse di traffico di droga, è stato condannato a un anno e dieci mesi. Quattro anni per Antonio Carlucci, confermate inoltre pene pari a 7 anni per Cosimo Melechì e 5 anni per Cosimo Damiano Torsello. Sedici gli anni di reclusione inflitti a Piero Fai, 18 e mezzo a Vito Fai, entrambi di Tuturano (Brindisi), difesi dall’avvocato Gianvito Lillo.

L’inchiesta, denominata “Canali” come la masseria che fu base operativa e che è stata uno dei luoghi clou della storiografia criminale degli anni Novanta e pure Duemila, portò il 31 marzo del 2008 all’arresto di 24 persone. Mafia, prima di tutto, ma anche altro. Ci ha lavorato sodo il pm della procura di Brindisi, Milto Stefano De Nozza, applicato alla Dda di Lecce, insieme ai carabinieri del reparto operativo. Ed è stata infatti una inchiesta che sin dal principio non ha mostrato la benché minima falla, per lo meno nei passaggi più importanti che hanno consentito di mandare in cella i pezzi da novanta della nuova Scu e di mettere un punto fermo sulla fenomenologia malavitosa brindisina di ultima generazione.

Il clan di Andrea Bruno era al centro di un sistema di collusione probabilmente senza precedenti in epoca moderna. Aveva tentato di mettere le mani nel business dell’eolico, di pilotare il voto delle amministrative e delle regionali del 2005. Il ruolo dei politici non è mai stato ritenuto di rilievo penale. Ma quello del gruppo organizzato facente capo ai Bruno, invece sì.

Armi, estorsioni, droga. Fu tutto intercettato, vi furono riscontri puntuali su cui si sono poggiate le tesi dell’accusa. Dopo le conferme di ieri, per il gruppo dei trafficanti di droga, arriva la seconda stangata per il nucleo principale dell’associazione per delinquere di stampo mafioso con base operativa a Torre Santa Susanna. E’ passato qualche anno, ma il teorema che inquirenti e investigatori articolarono in faldoni e faldoni di atti ha resistito. E ora le condanne sono passate in giudicato.

 

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