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Estorsioni, comincia il processo a Massimo Pasimeni

Estorsioni, comincia il processo a Massimo Pasimeni

BRINDISI – Massimo Pasimeni, il “Piccolo dente” della Sacra corona, torna in aula. Questa volta non per omicidio, reato che gli ha procurato la condanna all’ergastolo, ma per delle estorsioni che aveva messo in piedi dal momento in cui aveva lasciato il carcere – era il 2006  -, dopo tredici anni ininterrotti di detenzione. Pasimeni fu arrestato nuovamente all’alba del 25 febbraio scorso, quando i poliziotti della Squadra Mobile di Brindisi, diretta dal vice questore  Francesco Barnaba, e del commissariato di Mesagne, diretto dal vice questore Sabrina Manzone, lo andarono a prelevare dalla sua abitazione.

La sua attività estorsiva a quanto pare era frenetica. A tradirlo fu il nipote Giuseppe Panico che il 27 ottobre 2009, seduto dinanzi al pubblico ministero Lino Giorgio Bruno fece mettere a verbale di aver compiuto estorsioni assieme allo zio e ad altre persone, tra le quali la moglie di Pasimeni. La polizia e il pm Giorgio Lino Bruno hanno ricevuto da Panico, nel corso di spontanee dichiarazioni rese il 27 ottobre 2009, la conferma delle responsabilità degli indagati in alcuni episodi, ma le indagini avevano già inquadrato il bersaglio e a Carmine Campana era stata piazzata una microspia piazzata dagli investigatori nella sua Fiat Bravo.

Il perchè della decisione di collaborare? Il nipote di Pasimeni disse alla dirigente del commissariato di Mesagne, Sabrina Manzone, che dopo una lite violenta durante cui lo zio gli aveva sputato in faccia e lo aveva  picchiato, temevadi essere eliminato assieme alla madre.

Qualche mese dopo scattò il blitz e Pasimeni fu arrestato. Con lui finirono in carcere Carmine Campana, fidanzato della figlia di “Piccolo dente”, e il padre Vincenzo Antonio Campana, accusati di estorsione aggravata, incendio doloso, e attività di appoggio esterno ad associazione mafiosa. A Gioconda Giannuzzo, moglie di Pasimeni, furono concessi gli arresti domiciliari in una casa sottoposta a sequestro preventivo con le stesse ordinanze di cattura emesse dal giudice per le indagini preliminari di Lecce, Andrea Lisi. Oltre alla casa furono sequestrati un autosalone, una yogurteria e quote di una società commerciale operante nel settore delle auto.

Oggi è iniziato il processo dinanzi al tribunale collegiale presieduto da Gabriele Perna (componenti Simona Panzera e Testi). L’udienza è stata assorbita dalla costituzione delle parti e da eccezioni preliminari, tra cui quelle di maggiore rilievo sono state presentate dall’avvocato Marcello Falcone, difensore di Pasimeni, che hanno riguardato la richiesta di nullità dei sequestri operati e la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in incidente probatorio da Panico. Il collegio ha rigettato.

Quindi è stata la volta delle eccezioni procedurali. Tra quelle sollevate, la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Il tribunale si è riservato di decidere ed ha rinviato al 19 ottobre, giorno in cui scioglierà la riserva sulle eccezioni. I reati vanno dall’estorsione aggravata continuata e all’intestazione fittizia di beni con finalità comprese dall’articolo 7 del 416 bis (associazione di stampo mafioso), all’incendio doloso.

Le vittime: la tangente pagata due volte dal gestore della rivendita della Cantina Due Palme a Mesagne, Daniele De Cillis, costretto a versare prima 500 e poi 800 euro a fronte della fornitura –non desiderata- di una partita di vino truffata da Pasimeni e Co. ad una cantina di Latiano, ad un giro di  auto usate che Pasimeni acquistava presso Donato Apruzzi a S. Michele Salentino dando in cambio assegni bancari scoperti firmati da Vincenzo Antonio Campana, causando un buco di 150mila euro al commerciante.

Le auto  finivano a Mesagne nell’autosalone A&A in via Latiano, intestato a Campana. Successivamente Pasimeni aveva formato un’altra società in accomandita semplice per proseguire questo rapporto vessatorio con Apruzzi, l’Auto Vogue, intestandone le quote ad alcuni degli indagati a piede libero. E sempre fittizia era anche l’intestazione della yogurteria Chez Giò di piazza IV Novembre, gestita da Gioconda Giannuzzo.

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