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Cronaca Fasano

Ex Oleifici fasanesi: 50 silos "sospetti" lì dove i boss siciliani volevano la Centrale

FASANO - Gli ex Oleifici fasanesi si dotano di una cinquantina di nuovi silos. E così tra i residenti tornano a serpeggiare dubbi e sospetti sull’attività dell’impianto, tuttora sottosequestro ma funzionante a pieno regime in virtù della nomina, avvenuta a suo tempo da parte del Tribunale, di un Amministratore giudiziario, al quale sostanzialmente è stata affidata la gestione della struttura. Alcuni abitanti della zona, allarmati dal potenziamento delle cisterne, hanno temuto che le attrezzature in cantiere potessero celare la costruzione di una centrale a olio di palma. Progetto paventato in passato, su proposta della società, in odor di mafia, subentrante nella gestione degli ex Oleifici fasanesi.

FASANO - Gli ex Oleifici fasanesi si dotano di una cinquantina di nuovi silos. E così tra i residenti tornano a serpeggiare dubbi e sospetti sull’attività dell’impianto, tuttora sottosequestro ma funzionante a pieno regime in virtù della nomina, avvenuta a suo tempo da parte del Tribunale, di un Amministratore giudiziario, al quale sostanzialmente è stata affidata la gestione della struttura. Alcuni abitanti della zona, allarmati dal potenziamento delle cisterne, hanno temuto che le attrezzature in cantiere potessero celare la costruzione di una centrale a olio di palma. Progetto paventato in passato, su proposta della società, in odor di mafia, subentrante nella gestione degli ex Oleifici fasanesi.

“In quella circostanza - ricordano alcuni residenti -  la popolazione si mobilitò per impedire che ciò avvenisse e ci fu assicurato da parte del sindaco Lello Di Bari, dal senatore Nicola La Torre e da altri esponenti politici che ciò non sarebbe mai avvenuto. Ora vorremmo chiedere: con tutti i mega silos cosa intendono fare?  Sarebbe opportuno dissipare gli interrogativi”.

L’impegno preso a suo tempo dal sindaco Di Bari, in effetti, ebbe un seguito concreto: l’istanza non ricevette il visto del Comune ed il progetto della centrale di fatto fu bocciato. Né sarebbe in cantiere, fanno sapere dal Comune, alcun tipo di resurrezione. In buona sostanza i silos sistemati presso gli impianti a ridosso della stazione ferroviaria di Fasano, sarebbero stati attrezzati soltanto in funzione dell’attività ordinaria dello stabilimento, che evidentemente sotto la gestione dell’Amministratore giudiziario procede a gonfie vele.

La scure della magistratura si era abbattuta sulla proprietà dell’impianto nella primavera scorsa. Nel mirino la “Isoa Servizi Srl”, gruppo a suo tempo subentrato a “Oleifici fasanesi” e che opera nel settore dello stoccaggio e del trasporto di olio alimentare. A capo dell’impresa gli imprenditori Diego e Ignazio Agrò, originari di Racalmuto (Agrigento).

A marzo la Dia sequestrò ai due fratelli beni per oltre 50 milioni di euro, compreso lo stabilimento fasanese che gli stessi avevano acquisito. Un mese dopo le Direzioni Investigative Antimafia di Agrigento e Lecce posero sotto sequestro anche conti correnti bancari, beni e quote societarie della “Isoa Servizi Srl”. Il secondo provvedimento fu emesso dal Tribunale di Agrigento, su richiesta del pm di Palermo Roberto Scarpinato e sulla base di indagini bancarie e patrimoniali effettuate dalla Dia. I fratelli Agrò furono arrestati nel 2007 nell'ambito dell'operazione antimafia 'Domino 2', a seguito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Di Gati, ex capo della mafia agrigentina, e condannati all'ergastolo, nel 2009, per un omicidio.

In sede processuale fu dimostrata la valenza criminale dei fratelli Agrò e i loro stretti rapporti con i capimafia della provincia agrigentina Salvatore Fragapane, Giuseppe Fanara e Maurizio Di Gati, ai quali gli imprenditori si rivolgevano per dirimere le controversie legate alla loro attività di usurai, fino a spingersi ad ottenere la soppressione violenta di Mariano Macuso (avvenuto ad Aragona, in provincia di Agrigento, nel 1992), che si era rifiutato di restituire il denaro avuto in prestito. In sede di attività investigativa, hanno più volte avuto modo di spiegare gli inquirenti, “è stato, altresì, appurato che lo stesso Fragapane aveva investito denaro di Cosa nostra nell'illecita attività degli Agrò, che grazie all'appoggio incondizionato dell'organizzazione, erano così riusciti ad incrementare il loro patrimonio personale.

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