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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Fasano

Falso attentato ai carabinieri, molti "non ricordo"

BRINDISI –“Dopo vent’anni di servizio sono finito sulle prime pagine dei giornali come un qualsiasi delinquente, come se avessi commesso chissà quale reato, mentre ho fatto solo il mio dovere di carabiniere e di militare”. Lo ha detto oggi in aula Gioacchino Bonomo, maresciallo, sotto processo assieme ad altri suoi colleghi (otto, compreso Bonomo, finirono agli arresti, altre a piede libero), perché ritenuto responsabile di avere assemblato un finto attentato, servendosi di un falso pentito, incastrando un pregiudicato di Ostuni (Carmelo Vasta), e la sua compagna (Maria Loparco), quale mandante dell’attacco che doveva essere portato con due bombe a mano al maresciallo Vito Maniscalchi.

BRINDISI –“Dopo vent’anni di servizio sono finito sulle prime pagine dei giornali come un qualsiasi delinquente, come se avessi commesso chissà quale reato, mentre ho fatto solo il mio dovere di carabiniere e di militare”. Lo ha detto oggi in aula Gioacchino Bonomo, maresciallo, sotto processo assieme ad altri suoi colleghi (otto, compreso Bonomo, finirono agli arresti, altre a piede libero), perché ritenuto responsabile di avere assemblato un finto attentato, servendosi di un falso pentito, incastrando un pregiudicato di Ostuni (Carmelo Vasta), e la sua compagna (Maria Loparco), quale mandante dell’attacco che doveva essere portato con due bombe a mano al maresciallo Vito Maniscalchi.

Tutti i carabinieri che nel gennaio del 2005 furono arrestati erano in servizio presso compagnia di Fasano. Il comandante, capitano Cosimo Damiano Delli Santi, il vice, tenente Vincenzo Favoino, e i componenti del Nucleo operativo e radiomobile marescialli Maniscalchi, Bonomo, Stefano De Masi e Denis Michelini, gli appuntati Vito Bulzacchelli e Fabrizio Buzzetta. Indagato a piede libero l’allora comandante del gruppo provinciale di Brindisi, colonnello Costantino Squeo.

Bonomo finì ai domiciliari, così come De Masi, Bulzacchelli, Buzzetta e Michelini. Nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere furono rinchiusi Delli Santi, Favoino e Maniscalchi, ritenuti i principali artefici del falso attentato. “o sono un militare – ha detto nell’udienza odierna Bonomo, rispondendo alle domande del pubblico ministero d’udienza Raffaele Casto – e come tale devo ubbidire agli ordini che mi vengono impartiti dai miei superiori”.

La vicenda. Nel gennaio del 2005 scattano le manette per otto carabinieri della compagnia di Fasano. Tra gli arrestati c’è anche il capitano Delli Santi che alcuni mesi prima ha ricevuto encomi e medaglie per avere salvato la vita ad un suo sottufficiale (Maniscalchi) finito nel mirino di uno spacciatore di droga ostunese che lo avrebbe voluto eliminare perché, stando a quanto ha detto oggi Bonomo, “gli stava dando molto fastidio, soprattutto dopo che aveva effettuato una perquisizione in casa di una amica di Vasta”.

A tradire Vasta, secondo la versione dei carabinieri imputati, è l’albanese Marvin Strazimiri, nel frattempo diventato confidente dei militari, esattamente del gruppo che fa capo a Bonomo. Strazimiri viene contattato da Vasta, al quale è noto che l’albanese ha disponibilità di bombe a mano e pistole, e riceve l’incarico di mettere a segno l’attentato. Riceve come pagamento cinquecento euro. Strazimiri informa Maniscalchi. La notte viene fatta irruzione in casa di Vasta.

C’è l’ostunese, c’è la sua compagna, ci sono un’amica dei padroni di casa e anche l’albanese. E ci sono due bombe a mano. Quelle che ha portato l’albanese. Vengono arrestati Vasta e la compagna (che tra l’altro denunciano di essere stati malmenati). Non si procede nei confronti dell’altra donna che in quel momento è in casa. L’operazione, “brillante”, ha una notevole cassa di risonanza.

Trascorrono alcuni mesi e Strazimiri, nel frattempo in carcere per quelle bombe e l’attentato, comincia a stufarsi. Gli era stato promesso dai carabinieri di Fasano  una nuova identità, un luogo segreto in cui vivere e un vitalizio, a lui e alla compagna, e invece sta rinchiuso in carcere. Decide di parlare con il magistrato inquirente. E il pentolone di scoperchia. Cominciano a uscire miasmi. Scattano gli arresti. I sottufficiali finiti ai domiciliari fanno delle ammissioni, scaricando sui superiori decisioni che non sono state loro.

Nella precedente udienza il maresciallo De Masi, che era stato uno di quelli a dire che era stata una operazione orchestrata a tavolino, si rimangia quasi tutto. In casa di Vasta non ha più visto le bombe. La sicurezza che aveva è svanita. C’era solo una busta di plastica. Niente altri. Bonomo oggi, tra i tanti “non ricordo”, ha parlato di una busta di plastica. Che compare quando con i suoi colleghi e con un’unità cinofila vanno a prelevare Strazimiri dalla sua casa di Carovigno (dove abitava anche Maniscalchi) per andare a prelevare le bombe da una località di campagna.

“Era notte – ha risposto oggi Bonomo al pm -, c’erano solo i fari delle nostre auto. Peraltro io mi ero allontanato per un impellente necessità. Quelle che pensavo fossero due bombe in effetti erano due carte di colore scuro appallottolate contenute in una busta di plastica”. Quindi niente bombe. Che però ricompaiono in casa di Vasta. Il pm Casto ha cercato di farsi spiegare dall’imputato come mai Strazimiri che ha avuto l’incarico di compiere l’attentato, e che possiede le bombe, decide di portarle a casa di Vasta. Ma Bonomo non ha saputo dare una risposta.

Ed anche su altri particolari, che nell’interrogatorio subito dopo l’arresto ricordava perfettamente, oggi è stato vago, impreciso. Il pm gli ha fatto notare che all’epoca parlò di una banconota da 500 euro che Strazimiri mostra loro quale compenso ricevuto da Vasta. Ma poi vengono sequestrate cinque banconote da 100 euro. Bonomo non ricordava. Oggi però ha ricordato che, subito dopo avere ricevuto l’ordine dai suoi superiori di andare da Maniscalchi perché si era saputo dell’attentato,  si recò assieme ai colleghi a casa del sottufficiale, e dopo essere stato da lui, anche se preoccupati, scesero in pizzeria a mangiare.

Quindi ritornarono da Bonomo e poi andarono in caserma a Fasano, dopo avere lasciato andare Strazimiri, chiedendogli di non sparire. A Fasano c’era il colonnello Squeo in riunione con Delli Santi e con Maniscalchi. Lui (Bonomo) rimase nella stanza di Favoino, con il tenente, altri colleghi e il maggiore Fernando Sicuro che era stato tagliato fuori perché in disaccordo col colonnello sull’operazione che si stava pianificando. Dopo questa riunione partì il blitz.

Le bombe che si vanno a prelevare in campagna diventano palle di carta. Quelle vere si trovano in casa di Vasta. Corpo di reato che dopo poche ore viene distrutto mediante esplosione in aperta campagna. Per Bonomo, così come anche per il teste interrogato nella precedente udienza, tutto si svolse nella più corretta legalità, e la gogna cui furono sottoposti e tuttora sono costretti a subire, è una grave ingiustizia. Ma i tanti “non ricordo” e i tanti vuoti di memoria non aiutano certamente a rendere loro giustizia. Il processo è stato aggiornato.

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