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Cronaca Carovigno

Morti per ipotermia e annegamento. "Quel viaggio fatto su commissione"

Il 46enne Sante Lanzilotti e il 48enne Francesco De Biasi, i due pescatori scomparsi in mare nella notte tra il 15 ed il 16 marzo scorso dopo aver lasciato a bordo di un natante a motore la piccola rada di Santa Sabina, sono morti per annegamento conseguente a ipotermia

DURAZZO - Il 46enne Sante Lanzilotti e il 48enne Francesco De Biasi, i due pescatori scomparsi in mare nella notte tra il 15 ed il 16 marzo scorso dopo aver lasciato a bordo di un natante a motore la piccola rada di Santa Sabina, sono morti per annegamento conseguente a ipotermia. Questa la conclusione degli esami autoptici disposti dalle autorità albanesi nei giorni successivi al recupero delle due salme. Non sono stati rilevati segni di violenza.

I resti, data la lunga permanenza in acqua, erano pressoché irriconoscibili.  Sono stati decisivi alcuni dettagli notati dai congiunti, come la lettera “m” di un tatuaggio di Lanzilotti: l’iniziale del nome del figlio, Mirko. Sulla vicenda, il legale che cura gli interessi della famiglia di Sante Lanzilotti, l’avvocato Vito Cellie, ha potuto apprendere importanti particolari al rientro dall’Albania di un figlio e della compagna dell’ex pescatore di Torre Guaceto. I corpi sono stati recuperati in mare in giorni diversi, e a cinque miglia circa al traverso di due diverse spiagge di Durazzo, fa sapere l’avvocato Cellie. La morte viene fatta risalire ad un periodo compreso tra il 15 e il 20 marzo.

La salma di Francesco De Biasi è stata rinvenuta il 26 marzo, quella di Lanzilotti il giorno prima, il 25. Entrambi i pescatori avevano indossato i giubbetti di salvataggio prima di affidarsi alle onde. Non è dato sapere se il natante avesse a bordo una zattera di salvataggio autogonfiabile, oppure se ne fosse sprovvista. Quindi manca al momento un particolare che potrebbe rivelare alcune dinamiche di quello che si ritiene sia stato un naufragio.

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Un affondamento repentino o un capovolgimento della barca possono spiegare perché, nel caso a bordo la zattera ci fosse, i due dell’equipaggio non siano riusciti ad attivarne il dispositivo di autogonfiaggio. Nel caso De Biasi e Lanzilotti la sera del 15 marzo avessero preso invece il largo senza adeguati dispositivi di sicurezza, malgrado il mare a forza 5, si aprirebbe un ulteriore scenario di interrogativi.

Ecco perché, come dichiara l’avvocato Vito Cellie, la famiglia di Sante Lanzilotti vuole che venga accertata la ragione di quella rischiosa e purtroppo mortale trasferta oltre Adriatico, in condizioni meteo difficili e senza attrezzature da pesca a bordo. Individuare chi sia il proprietario della barca, o comunque chi l’aveva fornita a De Biasi e Lanzilotti, rappresenterebbe un grosso passo in avanti nelle indagini.

Quella persona può essere il mandante della missione, o quanto meno ne conosce le finalità. Secondo le autorità albanesi (ma anche di quelle che indagano sulla sponda brindisina) lo scopo del viaggio di De Biasi e Lanzilotti è da collegare ad un traffico illecito. E al momento non si sa neppure se quello del 15 marzo fosse il primo, o una di altre traversate già compiute. La famiglia è consapevole, e vuole comunque la verità sui fatti.

Ora si attendono, in questa direzione, i prossimi passi degli inquirenti brindisini: ricordiamo che stanno lavorando sul caso i carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni e della stazione di Carovigno, assieme al pm di turno il giorno della scomparsa.  Sempre l’avvocato Cellie chiederà formalmente che venga appurata l’esistenza di tracciati radar di quella notte in cui potrebbe essere stato rilevata la barca poi scomparsa, e se siano stati intercettati dei “mayday” da unità in zona.

Alla Guardia Costiera italiana non risultano chiamate di soccorso, mentre la storia del sms che sarebbe stato inviato ad un amico a Santa Sabina, o a Carovigno, non ha ancora conferme ufficiali. E della sorte della barca non si sa nulla. In Albania non sono stati recuperati relitti. Questo è quanto il figlio e la compagna di Sante Lanzilotti hanno potuto apprendere durante la loro breve permanenza a Durazzo.

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