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Cronaca

I parenti di Giuliano Maglie: "Vogliamo il test del Dna"

BRINDISI – I familiari di Giuliano Maglie non vogliono soldi. Chiedono soltanto che si faccia al più presto l’esame del Dna sui resti rinvenuti anni fa a Bar per sapere con certezza se appartengono al loro congiunto che, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vito Di Emidio, lo ammazzò Giuseppe Tedesco su suo ordine.

BRINDISI – I familiari di Giuliano Maglie non vogliono soldi. Chiedono soltanto che si faccia al più presto l’esame del Dna sui resti rinvenuti anni fa a Bar per  sapere con certezza se appartengono al loro congiunto che, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vito Di Emidio, lo ammazzò Giuseppe Tedesco su suo ordine.

Per questo a suo tempo, quando si incardinò il processo contro Di Emidio, Tedesco e altri, non si costituirono parte civile. Ieri mattina, in apertura di udienza, l’avvocato Gianvito Lillo, ha spiegato alla Corte (presidente Perna, giudice Aliffi) il motivo per cui la moglie e gli altri parenti di Giuliano Maglie spingono per avere al più presto l’esame del Dna e a potervi partecipare con un loro perito. “Si intende dare cristiana sepoltura ai resti di Maglie e i suoi familiari vogliono portare fiori sulla sua tomba – ha spiegato l’avvocato Lillo -, ma per il resto non vogliono assolutamente nulla. Per questo motivo non si sono costituiti parte civile”.

Giuliano Maglie fu ammazzato nel 1999 a Bar, in Montenegro,Da Giuseppe Tedesco, brindisino, per ordine del cognato  Vito Di Emidio, soprannominato “Bullone”, il boia della Sacra corona unita: ha torturato e ucciso una ventina di persone: persino lui dice di avere perso il conto delle vittime. I familiari di Maglie sono gli unici, tra le tanti parti offese, a non essersi costituiti parte civile in questo processo scaturito dal pentimento del killer Di Emidio deciso subito dopo la cattura avvenuta nel maggio del 2001. Non vogliono niente, nemmeno un centesimo da chi ha privato loro della presenza del loro congiunto, ma solo sapere la verità, sapere se quei resti umani appartengono a lui.

“Bullone” è alla sbarra per una dozzina di omicidi, tre commessi con il cognato Giuseppe Tedesco, 37 anni, difeso dall’avvocato Vito Epifani, che in questo processo è imputato assieme a Di Emidio, a Pasquale Orlando, 38 anni, difeso da Marcello Tamburrini, a Daniele Giglio, 35 anni, difeso da Daniela D’Amuri (detenuti),  Cosimo D’Alema, 42 anni, detto Mino Macello, difeso da Paolo D’Amico; Marcello Laneve, 36 anni, difeso da Teresa Gigliotti; Fabio Maggio, 30 anni, difeso da Sergio Luceri; Francesco Zantonini, 41 anni, difeso da Alessandro Di Palma,  e il mesagnese Cosimo Poci, 54 anni, difeso dall’avvocato Fabio Di Bello.

Di Maglie si erano perse le tracce a Bar in Montenegro, dove il giovane brindisino, legato ai fratelli Luperti, ammazzati entrambi da” Bullone”, si era recato per fare giustizia sommaria. Di Emidio era inavvicinabile. L’unico del quale si fidava era Tedesco, il suo filtro. Maglie si rivolse Tedesco, chiedendo di intercedere con il cognato per farlo lavorare nel contrabbando di sigarette. Maglie fu ospite nella casa di Tedesco. Che lasciò solo per finire sotterrato nel giardino, sotto la cuccia del cane. A raccontarlo subito dopo la cattura fu Di Emidio.

Versione che in sede di esame e  controesame aveva modificato cercando di tener fuori il cognato. Bullone era agli arresti domiciliari. Dopo quei vuoti di memoria è ritornato in carcere (oggi era in aula dietro le sbarre, nel gabbiotto singolo) su richiesta del pubblico ministero Alberto Santacatterina, e gli è tornata anche la memoria tornando ad accusare nuovamente il cognato. E anche Orlando e Daniele Giglio per il duplice omicidio, nel gruppo c’era anche Tedesco, di Leonzio Rosselli e Giacomo Casale.

I resti di Maglie sono ricomparsi all’improvviso nel corso di una delle ultime udienze del processo a Bullone&soci. A Bar, tempo addietro, furono trovati dei resti che secondo l’autopsia effettuata dai medici montenegrini appartengono al giovane brindisino. Ci sono voluti anni prima che quella perizia approdasse a Brindisi. Per avere certezza la Corte di assise ha disposto, con una rogatoria internazionale, l’esame del Dna. Ci vorranno alcuni mesi.

L’ultima udienza è stata dedicata ai testi Antonio Giglio, 39 anni, nativo di Crotone, residente a Brindisi, cugino di Daniele Giglio; Umberto Vitellaro, 49 anni, di Palermo, residente a Bari, legato al clan Parisi; Rachele Perugino, 40 anni, brindisina moglie di Di Emidio; Giorgio Oliva, 50 anni, leccese, vice questore della Polizia di Stato, e Domenico Di Emidio, fratello dell’imputato.  La Perugino, sentita in video conferenza, e Domenico Di Emidio, essendo parenti con il collaboratore di giustizia-imputato, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Antonio Giglio, citato dall’avv. Daniela D’Amuri ha detto di essere cugino di Daniele, ma di non avere rapporti con lui dal 1995. “Conosco Pasquale Orlando, Giuseppe Tedesco – ha spiegato il teste – ma non ho mai visto in vita mia Vito Di Emidio, né ho mai partecipato a riunioni con lui, né con mio cugino”.

Ha quindi riferito di come scampò alla condanna a morte che “Bullone” aveva emesso nei suoi confronti. “Fabio Di Maggio e un altro che non conosco – ha detto Giglio -. Vennero nella mia sala giochi a chiedermi soldi per Di Emidio. Io risposi loro in malo modo. Accadde nel 2001. Qualche mese dopo due persone fecero irruzione in casa di mio zio. Chiesero se io stessi lì. Lui disse che non abitavo in quella casa che avevano sbagliato. Per verificare gli chiesero il documento di identità. Si convinsero di avere sbagliato persona e andarono via. Mio zio mi telefonò per avvisarmi e pure io, impaurito, avevo una bambina di un mese, andai via da Brindisi”.

Vito Epifani ha interrogato Vitellaro (pure questo in teleconferenza perché il teste è detenuto sottoposto al regime carcerario duro, il 41 bis) sulla sua permanenza a Bar. Vitellaro ha detto che conosceva superficialmente Di Emidio, mentre con Tedesco qualche volta si incontrava al porto o nei bar casualmente. “Abbiamo preso qualche caffè assieme e nulla di più; non sono mai andato a casa sua”, ha precisato. Epifani gli ha chiesto se conosceva Maglie, e il barese ha detto di no, che quel nome non gli diceva assolutamente niente.

Infine Giorgio Oliva ha risposto a domande relative a quando era responsabile della Squadra mobile di Brindisi (1994/96) su indagini collegate all’uccisione di Giacomo di Rosselli e Leonzio Casale, sulle intercettazioni ambientali che effettuano nell’abitazione di Franco De Fazio e della sorella di Salvatore Buccarella. Il processo è stato aggiornato all’1 luglio.

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