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Cronaca Francavilla Fontana

In tanti per ricordare Somma

FRANCAVILLA FONTANA – La base del Pd ha bisogno non solo di certezze per il futuro, ma anche di rivalutare la propria storia.

FRANCAVILLA FONTANA – La base del Pd ha bisogno non solo di certezze per il futuro, ma anche di una rivalutazione della propria storia, che è parte di quella del ripristino della democrazia in Italia. Troppi “revisionismi” frettolosi, forse, piuttosto che processi di maturazione politici veri e propri, hanno seminato sconcerto, allontanamenti, travagli ideali e morali nascosti dietro la turbolenta quotidianità del Partito democratico. La voglia di misurarsi con la propria storia senza abiure, e di rimettere insieme la propria identità nel bene e nel male, emerge ogni volta che si presentano eventi come quello della sera del 7 giugno a Francavilla Fontana, per la presentazione del libro-intervista di  Alessandro Rodia “Antonio Somma - La storia di un protagonista del Sud”, affidata a Peppino Caldarola.

Alcune centinaia di cittadini, e non solo iscritti del Pd, di Sel o di aderenti a movimenti e organizzazioni culturali di sinistra, hanno affollato la sala convegni di Palazzo Imperiali per ascoltare la ricostruzione delle esperienze di vita del dirigente comunista (segretario provinciale e consigliere regionale del Pci, segretario della Cgil) originario della provincia di Salerno, che dopo la guerra di Liberazione e la fine della detenzione in un lager nazista, trascorse la maggior parte della propria vita privata e pubblica a Francavilla Fontana.

Somma era il prototipo del “rivoluzionario di professione”, il modello di condotta politica e sociale, e culturale orientato a un rigoroso impegno autodidatta, sposato da chi  diventava funzionario del Pci o della Cgil, quando per andare alle riunioni nelle sezioni o nelle camere del lavoro spesso c’era solo la bicicletta, e nelle migliori delle ipotesi una sgangherata corriera e spesso anche una notte da trascorrere in casa di un compagno ospitale, che metteva una minestra, un letto o un divano a disposizione.

Erano anni pieni di contraddizioni, ma sono serviti a difendere e ad allargare la democrazia e a garantire conquiste fondamentali per operai, braccianti, piccoli contadini, coloni e artigiani di un Sud insieme poverissimo e rischioso come una polveriera. Il Pci e la Cgil in quegli anni riuscirono ad incanalare in forme di lotta costituzionali quel gigantesco malessere e quella voglia di riscatto, pagando anche un prezzo. La storia di Antonio Somma si intreccia con queste vicende ed è una finestra attraverso cui si può leggere agevolmente la storia dell’immediato dopoguerra, ma anche della lotta partigiana combattuta da un militare che dopo l’8 settembre si unì alle Brigate Garibaldi, che lasciarono 40mila caduti sul campo sino al 25 aprile del 1945.

Antonio Somma aveva l’apparenza di un comunista ortodosso e chiuso, in realtà era la sua propensione al rigore nell’applicazione della politica a trarre in inganno. Per chi, giovanissimo studente lo vide per la prima nei locali dalle volte basse e sature del fumo delle sigarette della federazione del Pci  in via Saponea, autentica nube tossica di passioni e tensioni ideali, tipica delle assemblee dell’inizio degli anni Settanta,  le sue apparizioni di straforo mentre entrava o usciva dalla stanza della segreteria, in fondo alla decine di teste di studenti riuniti nella saletta prestata alle assemblee e alle strategie della lotta per la riforma della scuola, avevano un qualcosa di temibile, austero, nel volto e anche nel suo paltò scuro, inseparabile, nell’andatura leggermente claudicante.

Ma era lui che aveva detto sì all’apertura della federazione provinciale agli studenti, perché non voleva che il partito commettesse l’errore di dialogo e di comprensione del 1968. Non era ancora il Pci di Enrico Berlinguer, il segretario era Luigi Longo, il mitico comandante “Gallo” delle Brigate Internazionali in Spagna e uno dei capi militari della Resistenza. Il Pci aveva cominciato la marcia di accrescimento dell’autonomia da Mosca, c’era la guerra in Vietnam, negli Stati Uniti c’erano Bob Dylan, Woodstock, Martin Luther King, Angela Davis, Malcom X e le Pantere nere, Ernesto Che Guevara era già morto ma era come se non lo fosse. Non bisognava arrangiarsi con gli evanescenti miti di oggi. Somma non era un ortodosso, forse era un duro, ma era un uomo di quell’epoca che comunque il mondo lo ha in parte cambiato.

Un osso duro per gli avversari, ma dietro questa scorza c’era molto altro. L’altra sera molti hanno provato un brivido quando due suoi nipoti, Antonio e Laura, hanno letto brani della corrispondenza tra lui e la moglie intercorsa durante i tredici mesi trascorsi in carcere. Si può concludere con l’interrogativo di Concetta Somma, sua figlia e già segretaria provinciale della Cgil: “C’era bisogno di ritrovarsi intorno ad un dirigente di tante lotte e battaglie sindacali e di tante conquiste sul piano della rappresentanza politica e istituzionale per riconciliarci con la nostra storia?”. Chissà. Il Pd dovrebbe pensarci, se ancora ha tempo di farlo.

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