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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

L'Asl taglia gli sprechi, ma a rimetterci sono gli ammalati. Ecco come

Ad una paziente dimessa nei giorni scorsi nell'Ospedale Perrino, nel quale era stata ricoverata per diverso tempo, i medici hanno consegnato un piano terapeutico da osservare per un mese nella propria abitazione

BRINDISI - Ad una paziente dimessa nei giorni scorsi nell'Ospedale Perrino, nel quale era stata ricoverata per diverso tempo, i medici hanno consegnato un piano terapeutico da osservare per un mese nella propria abitazione, che comportava l'iniezione settimanale intramuscolare di un medicinale.

La stessa recatasi dal proprio medico curante, diversamente dal passato, si è vista negare la prescrizione farmaceutica di tutte le previste quattro dosi di quel medicinale, in quanto, per disposizione dell'Asl di Brindisi, gli era stata preclusa quella possibilità. Gli era consentito prescrivere una dose di medicinale per volta. Per questo, se proprio voleva  curarsi, doveva recarsi settimanalmente dal proprio medico curante per farsi rilasciare la singola prescrizione. Malattia permettendo.

Nella circostanza le è stato riferito, che quella procedura era dettata dalla necessità di evitare sprechi e quindi realizzare un risparmio. Un motivo che a prima vista sembrava illogico, in quanto la spesa complessiva di quel piano terapeutico risultava  identica, sia se le quattro dosi di medicinale fossero state  prescritte e ritirate singolarmente, sia se prescritte e  ritirate  tutte insieme.

Infatti, in base ad un semplice calcolo matematico, quattro volte uno, fa sempre quattro. Allora dove andava a parare il ragionamento dell'Asl? In quale ambito si  poteva individuare quell'ipotetico risparmio o annidarsi  l'eventuale spreco?

Una ricerca ardua perché una persona normale non va ad esplorare ipotesi  di risparmio, che vanno ad impattare negativamente con la sofferenza e con la solidarietà nei confronti di un ammalato. Non pensi che ci sia qualcuno che consapevolmente possa creare occasioni gratuite di disagio e difficoltà a quelle persone.

Ma poi esplorando quell'ambito arrivi  a comprendere, che il risparmio può solo realizzarsi nel caso che quella paziente non ritiri tutte le dosi  necessarie per contrastare la malattia. Evidentemente il risparmio era  affidato alla prospettiva, ma forse alla speranza,  della dipartita di quella paziente e, verosimilmente, di tutti quel tipo di pazienti, che per questo non avrebbero avuto più bisogno di ritirare tutte le dosi di medicinale necessarie e prescritte. Altro che gufi o uccelli del malaugurio.

Ma poi, in base a quale principio umano si può imporre ad una persona che soffre, che potrebbe non avere la necessaria energia fisica per farlo, la necessità di doversi recare settimanalmente dal proprio medico di base, fare la fila per ore, per ritirare la singola prescrizione.
E nel caso non fosse in grado di potersi recare dal proprio medico, che fa? Manda un proprio parente, un conoscente dal medico curante fornito di certificato di esistenza in vita, oppure chiede settimanalmente al medico di recarsi nella propria abitazione? O, infine, si spera o si gufa, che avvilita e amareggiata, rinunci a curarsi, realizzando il risparmio totale tanto auspicato? E' questo il vero obiettivo?
Non ci sono settori della sanità dove si possa incidere per risparmiare per evitare gli sprechi, come hanno evidenziato le tante inchieste giornalistiche e della magistratura in tutta Italia, che attengono anche ai diversi costi delle forniture nelle varie regioni?

Ma, se l'obiettivo è quello di risparmiare a tutti i costi, non sarebbe meglio imporre ai medici di non rilasciare alcun piano terapeutico? Certo in quel caso potrebbe configurarsi una ipotesi di reato. Ma sostanzialmente cosa cambia rispetto alla situazione in cui versa la sanità pubblica alle nostre latitudini, dove per fare un ecodoppler ci vogliono circa 500 giorni dalla prenotazione.

Quasi lo stesso tempo che verosimilmente sarà necessario d'ora in poi per effettuare una Tac, una Risonanza o una Scintigrafia, per l'esecuzione delle quali il recente decreto Lorenzin, svilendo la funzione del medico curante a quella di burocrate, ha tracciato una vera e propria via crucis a beneficio dell'ammalato, che per diversi esami di laboratorio deve pagare di tasca propria quelli non giudicati appropriati dal decreto o districarsi fra medico curante, ufficio prenotazioni, medico specialista, laboratorio di analisi. Ammesso che alla fine ci arrivi.
Tutto funzionale a far desistere il malato dall'utilizzare la sanità pubblica a favore di quella privata, se vuole indagare sulla propria condizione fisica e arrivare ad una tempestiva diagnosi e alla eventuale cura.

Quasi un lusso che può  permettersi solo chi si trova nelle condizioni economiche per farlo. Ma sono sempre più numerosi, forse troppi, quelli che non potendoselo, rinunciano alle cure. Con buona pace di tutti quei proclami sulla prevenzione e sulla solidarietà.

Non si può certamente addossare tutta la colpa alla struttura sanitaria locale, che ce la mette tutta, come dimostra la brillante e difficile soluzione dell'annosa questione relativa al colore delle facciate dell'ospedale. Che tanti benefici porterà agli ammalati brindisini.
Ci sarà tempo per affrontare con calma il problema del calvario delle lunghe liste di attesa , dell'affollamento del pronto soccorso e delle lunghissime ore di attesa, dei laboratori decentrati nel di summa, degli infissi colabrodo, degli ascensori non ancora tutti funzionanti, dei tanti altri problemi della sanità in terra di Brindisi, che certamente si acuiranno per effetto dei prossimi provvedimenti regionali.

Che hanno mai fatto i brindisini per meritarsi tutto questo?

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