rotate-mobile
Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

La città delle auto bruciate vuole la verità: se D'Errico mente oppure no

Vogliamo fare due conti, per dimostrare che il problema della legalità a Brindisi non comincia e non finisce con le auto incendiate dei politici? Ci sono circa cento veicoli che bruciano nelle strade della città in un anno.

BRINDISI – Vogliamo fare due conti, per dimostrare che il problema della legalità a Brindisi non comincia e non finisce con le auto incendiate dei politici? Ci sono circa cento veicoli che bruciano nelle strade della città in un anno. Per quasi tutti il responso di routine è: corto circuito. Ovviamente nessuno ha pensato che si sia trattato di un corto circuito quando il fuoco ha avvolto l’auto del sindaco, e pochi giorni dopo quella del consigliere comunale ed imprenditore Toni Muccio, anche se non sono state trovate taniche di benzina.

Ma questo è solo uno degli esempi possibili. Eccone un altro: stamane a nessuno è sfuggito che in mattinata in questura si è recato un senatore della Commissione antimafia per aggiornamenti a proposito delle indagini sull’attentato al primo cittadino. Sarà anche giusto ed opportuna questa mobilitazione trattandosi di un caso in cui ad essere colpito è un uomo delle istituzioni.

Ma, terzo esempio, nella notte tra l’8 ed il 9 novembre qualcuno ha dato alle fiamme l’auto di un onesto lavoratore, dipendente della Monteco. Una persona che a 55 anni ha pagato in questo modo forse l’attaccamento all’azienda? Chi ce lo dirà mai? Sappiamo solo che la vittima dell’attentato alle 6 del mattino era già presente al lavoro malgrado la notte d’inferno. E che nessuno scoprirà il colpevole.

Ammesso che la scoperta dell’autore dell’incendio dell’auto del sindaco rassicuri le istituzioni locali e nazionali sulla prontezza (come non riconoscerla) della risposta degli investigatori, che diciamo agli altri cento brindisini che ci hanno rimesso l’auto, il furgone, il motocarro? Forse non saranno stati tutti stinchi di santo, i proprietari dei mezzi distrutti con le barrette incendiarie, che vengono disinvoltamente utilizzate per il barbecue, il caminetto e la vendetta privata, ma tanti altri invece sono autentiche vittime.

Il problema della soglia di legalità a Brindisi perciò resta. Anche perché, cosa non sfuggita al “tribunale del popolo” in cui a volte si trasformano i social network, dove qualcuno usa i post come corpi contundenti ed altri in maniera invece molto più equilibrata, la maggior parte dei giudizi stasera coincide, e Alessandro D’Errico non è sepolto dalla condanna unanime, ma sta trovando parecchia comprensione, va detto per dovere di cronaca, se questo dovere ha ancora un senso.

Ci sono due verità a confronto, ancora: quella dell’autore confesso dell’incendio, che ha dichiarato a verbale di aver sostenuto la campagna elettorale del candidato Consales in cambio della promessa di un lavoro e dell’interessamento per i problemi clinici di uno dei figlioli, e quella del sindaco Mimmo Consales che sostiene di aver visto D’Errico solo nelle circostanze in cui da costui è stato minacciato. Il pm che segue la vicenda, il sostituto procuratore Savina Toscani, pertanto dovrà anche ascoltare e verbalizzare ciò che il sindaco Mimmo Consales ha da dire sui fatti.

Se si accerterà che D’Errico non ha mai lavorato per procurare voti all’attuale sindaco, vorrà dire che l’uomo si è inventato una attenuante, e che la storia è solo legata ad estemporanee richieste di lavoro accompagnate da minacce (come tradizione di alcuni settori sociali vuole a Brindisi). Se la storia è vera, ancora una volta la politica brindisina ne uscirà con le ossa rotte. A tutto ciò, come abbiamo già avuto modo di scrivere, la città assiste sconcertata e disorientata.

Da un lato il dilagare del ricorso a metodi violenti per regolare le proprie presunte o fondate ragioni, dall’altro la logica della competizione politica fondata sul valore dei voti personali, e di conseguenza sul marketing del proprio mandato. Ciò che ha dichiarato nel corso della sua confessione Alessandro D’Errico, roba finita sui giornali in pochissimo tempo, ha suscitato reazioni negative nei confronti della parte lesa di questa vicenda, che è il sindaco, pur con i distinguo sui ricorsi ai mezzi violenti per regolare le questioni.

Il sindaco però ha detto, per ora solo ai giornali, che tutto ciò non è vero. Che D’Errico era un uomo che lo ha minacciato e aggredito più volte, ma che i voti non c’entrano, che tutta la storia del comitato elettorale con la base nel garage di “Topo Gigio” è falsa. A questo punto gli investigatori devono fare un altro sforzo, perché davanti alla legge la parola del primo cittadino e quella di una persona con precedenti penali dovrebbero avere teoricamente lo stesso peso, e quindi bisogna sapere quale sia l’esatto retroscena del caso.

La città non può cambiare se il patto di fiducia tra politica e cittadini è sprofondato nei seminterrati. Solo la verità dei fatti può fare bene alla legalità, e non un D’Errico in più o in meno in gattabuia. Sapere che il sindaco non ha mai promesso posti di lavoro in cambio di voti non può che far bene alla democrazia. E magari non farebbe male almeno una pacca sulla spalla a quell’operatore ecologico di 55 anni e agli altri che quasi ogni notte a Brindisi ci rimettono l’auto: una pacca vuol dire almeno citarli nell’elenco delle vittime, perché con gli organici cui sono ridotte le forze dell’ordine forse più di tanto non si può fare

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

La città delle auto bruciate vuole la verità: se D'Errico mente oppure no

BrindisiReport è in caricamento