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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Non aveva comunicato la vittoria in giudizio ai clienti, 8 mesi all'avvocato

CEGLIE MESSAPICA - Vince la vertenza di lavoro ma non comunica l’esito del giudizio ai suoi assistiti che, per questo, non vengono reintegrati dall’azienda da cui erano stati licenziati in tronco, né percepiscono le differenze retributive cui avrebbero avuto diritto. Condannato a otto mesi per infedeltà professionale un avvocato del Foro di Brindisi. La sentenza è stata depositata nei giorni scorsi dal giudice Mario Piccinno della seconda sezione penale di Lecce. Il perché l’avvocato avrebbe taciuto, è tutto da verificare. Ed è su questa incognita, che potrebbe costituire la chiave di volta del giudizio di secondo grado, che il legale imputato è pronto a dimostrare le ragioni della propria innocenza in appello.

CEGLIE MESSAPICA - Vince la vertenza di lavoro ma non comunica l’esito del giudizio ai suoi assistiti che, per questo, non vengono reintegrati dall’azienda da cui erano stati licenziati in tronco, né percepiscono le differenze retributive cui avrebbero avuto diritto. Condannato a otto mesi per infedeltà professionale un avvocato del Foro di Brindisi. La sentenza è stata depositata nei giorni scorsi dal giudice Mario Piccinno della seconda sezione penale di Lecce. Il perché l’avvocato avrebbe taciuto, è tutto da verificare. Ed è su questa incognita, che potrebbe costituire la chiave di volta del giudizio di secondo grado, che il legale imputato è pronto a dimostrare le ragioni della propria innocenza in appello.

Gli antefatti della vicenda risalgono al lontano 1997. I due operai, padre e figlio, hanno natali e residenza a Campi Salentina, nel Leccese. E’ in quell’anno che vengono licenziati in tronco dalla ditta per cui entrambi lavorano e decidono, dopo essersi consultati con la confederazione generale sindacato di base, di rivolgersi ad un avvocato per impugnare il licenziamento. Il giudice del lavoro si pronuncia a cinque anni dai fatti, il 24 maggio del 2002. In quella data il magistrato ordina la riassunzione di padre e figlio, oltre alla corresponsione delle somme dovute a titolo di integrazione salariale dovuta.

Secondo gli atti della procura, intervenuta a seguito della denuncia dei due operai, il 18 settembre del 2003 l’avvocato ritira copia della sentenza ma, malgrado i reiterati solleciti prima verbali poi scritti, non comunica l’esito del processo ai suoi assistiti. Il perché della presunta “infedeltà professionale” è destinato a rimanere un mistero ancora oggi. Sta di fatto che nel dicembre del 2003, il sindacato decide di verificare personalmente, attraverso il tribunale, lo stato del giudizio, ed è così che padre e figlio si accorgono di aver vinto la vertenza più di un anno prima.

Il 12 dicembre dello stesso anno, sollecitato l’ulteriore pronunciamento dell’avvocato, l’ennesima richiesta scritta rimane lettera morta. Ed è a questo punto che, siamo al febbraio del 2005, danneggiati da un inspiegabile silenzio, rimasti senza lavoro e senza risposte da parte del legale, deciso di presentare formale denuncia-esposto. Le ragioni dei denuncianti passano al vaglio del pubblico ministero Maria Cristina Rizzo che il 28 aprile 2006 chiede e ottiene il rinvio a giudizio dell’avvocato per “patrocinio o consulenza infedele”.

Qualche giorno addietro, la condanna. Secondo il giudice Piccinno, “non si può non concludere che egli avesse piena consapevolezza dei propri doveri professionali e li abbia violati consapevolmente, cagionando l’evento indicato dalla norma incriminatrice”. Il professionista incriminato, pronto a presentare ricorso in appello, si difende respingendo ogni accusa. Due le motivazioni del ricorso pronto per essere presentato in appello: l’azienda era fallita e non avrebbe in ogni caso proceduto ad alcuna riassunzione, né a pagamenti di sorta. In secondo luogo, è del tutto falso che la sentenza del giudice del lavoro non fosse resa nota ai due operai, era anzi stata prontamente comunicata, a differenza di quel che sostiene il sindacato prima, il giudice poi.

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