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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

“Omicidio Tedesco, Checco e Sandro non c’entrano”

Le conversazioni inedite intercettate a distanza di due settimane dal delitto avvenuto a Brindisi il primo novembre 2014. Depositate dai difensori in Appello. Andrea Romano, reo confesso, condannato all'ergastolo assieme a Coffa e Polito: "Quei due non c'erano. Mi hanno rovinato la vita". Un parente: "Se ha sparato, è stato costretto perché c'era la bambina"

BRINDISI – “Che cosa c’entra Checco? Quello non c’era proprio dentro casa. Sandro, poi. Quei due non c’entrano, quegli altri mi hanno rovinato la vita venendo a casa mia”. Parlava con i suoi familiari, non sapendo di essere intercettato, Andrea Romano, brindisino, condannato all’ergastolo in primo grado, con l’accusa di aver ucciso a colpi di pistola, per futili motivi, Cosimo Tedesco, la mattina del primo novembre 2014, nella sua abitazione, in una palazzina del quartiere Sant’Elia. Confessò dopo essere stato arrestato dai carabinieri e in quella occasione scagionò Alessandro Polito (detto Sandro) e Francesco Coffa (Checco), ai quali il Tribunale di Brindisi ha inflitto il carcere a vita. Rischiano la conferma della condanna in Appello.

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Quella conversazione, mai diffusa prima, venne “ascoltata” a distanza di due settimane dal fatto di sangue e secondo i difensori dei tre imputati è di fondamentale importanza per capire chi c’era quella mattina nell’appartamento di Romano e chi sparò. Perché Romano non poteva neanche immaginare che i militari avessero sistemato una microspia tra il soggiorno e la cucina, vale a dire negli stessi vani in cui si consumò la tragedia costata la vita a Tedesco. Per questo, l’intercettazione è stata allegata ai motivi di appello con i quali i penalisti chiedono l’assoluzione di Coffa e Polito “per non aver commesso il fatto”, “non essendo presenti quel giorno sulla scena dell’omicidio” e chiedono il riconoscimento della legittima difesa nella definizione della pena a carico di Romano.

A sostegno di quest’ultima richiesta, la difesa ha prodotto stralci di conversazioni intercettate sempre in ambientale, tra i familiari conviventi con Romano, il quale in quel periodo era agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico: “Andrea stava facendo il latte alla bambina”, dice uno dei parenti parlando di quel che accadde il primo novembre. “Se ha sparato, è perché è stato costretto visto che là c’era la figlia piccola”. E ancora: “A quelli chi è che ha detto, venite qui? Per quale motivo si sono presentati?”

Il palazzo di giustizia di Lecce

“Romano e solo lui sparò alla parte inferiore del corpo, all’indirizzo di organi non vitali, così come disse in sede di interrogatorio precisando che vi era stato un alterco e una colluttazione”, sostengono i difensori dell’imputato, Cinzia Cavallo e Ladislao Massari, assieme agli avvocati degli altri due, Agnese Guido, Massimo Murra e Giuseppe Corleto. “Le tracce di sangue rinvenute con il luminol all’interno dell’abitazione, dimostrano che sparò dal vano cucina, non separato dall’ingresso salotto, e sparò in un momento di forte concitazione e di paura dovuto al fatto che in casa era da solo con moglie e figlioletta e che durante la discussione sentì l’arrivo ad alta velocità il rumore di auto che sgommavano”. Questa conversazione, i risultati dell’autopsia e quelli della perizia balistica, a giudizio della difesa, escluderebbero anche la premeditazione che la Procura ha contestato, ma che il gup non ha riconosciuto e che costituisce motivo d’appello della pubblica accusa.

Secondo la ricostruzione del pm, l’omicidio è da considerare conseguenza di un diverbio avvenuto nel corso della festa per bambini, la sera precedente. Il 31 ottobre 2014 in un locale del quartiere Bozzano era in corso la festa di compleanno di una bimba di tre anni e tra gli invitati c’era anche il nipotino di Tedesco. La bimba avrebbe cercato di toccare il piccolino con le mani sporche di panna o gelato. I genitori si sarebbero infastiditi e da qui ci sarebbe stato uno scontro verbale tra gli adulti delle famiglie Tedesco e Romano. Lite che, nella sentenza del gup di fronte al quale si è svolto il processo a Brindisi, è stata qualificata come base per il riconoscimento dell’aggravante dei futili motivi.

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