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Cronaca Mesagne

Pasimeni: "Il vero pentito sono io"

MESAGNE - “Signor presidente, la prego, mi conceda un confronto con chi mi accusa. Così si capirà chi è pentito sul serio, se io o loro”. Massimo Pasimeni, felpa verde smeraldo, parla in videoconferenza e al termine dell’esame che ha sostenuto da imputato per l’omicidio di Giancarlo Salati.

MESAGNE - “Signor presidente, la prego, mi conceda un confronto con chi mi accusa. Così si capirà chi è pentito sul serio, se io o loro”. Massimo Pasimeni, felpa verde smeraldo, parla in videoconferenza e al termine dell’esame che ha sostenuto da imputato per l’omicidio di Giancarlo Salati, rende dichiarazioni spontanee e reitera la propria richiesta: “L’ho già chiesto altre volte, anche in aula, dove volete voi”.

“Un confronto con Massimo D’Amico e con Ercole Penna” per ristabilire “la verità”, invoca dal carcere in cui è recluso e collegato con l’aula Metrangolo di Brindisi, rivolgendosi al presidente della Corte d’Assise che deciderà al momento della sentenza se è lui il mandante della barbara esecuzione di “Menzarecchia”, l’uomo che fu massacrato a bastonate il 16 giugno nella propria abitazione di Mesagne e morì il giorno dopo all’ospedale “Perrino” di Brindisi.

La soluzione del caso venne nel 2010, quando Ercole Penna alias Linu Lu Biondu, che era in posizione di vertice nella Sacra corona, così come Pasimeni (che è tornato a prendere le distanze dalle accuse) decise di collaborare con la giustizia. “E’ un caso – rincara Piccolo Dente – che abbia deciso proprio dopo l’arresto. Io dopo 12 anni di galera, una volta uscito, mi sono messo a lavorare. Il giorno dopo la scarcerazione sono andato in Comune e ho chiesto di poter lavorare onestamente. Ho lavorato al cimitero di Mesagne, per 700 euro al mese, di tutto ci occupavamo. Delle sepolture, di ogni cosa”.

Pasimeni è un fiume in piena. Risponde alle domande del suo avvocato, Marcello Falcone, che lo assiste al fianco dell’avvocato Rosanna Saracino. “Quando Penna venne da me gli consigliai di trovarsi un lavoro e di chiudere con il passato. Io ho chiuso con il passato. Certi errori si fanno a vent’anni, poi dopo si decide se essere migliori o peggiori. Io ho scelto di essere migliore e con il mio passato ho chiuso. Se non fosse per questi che mi accusano”. Rigetta gli addebiti anche in relazione ai due omicidi per i quali si è beccato altrettanti ergastoli, roba ormai passata in giudicato.

Spiega che non aveva motivi di detestare Menzarecchia tanto da volerlo morto: “Ho sempre avuto ottimi rapporti con lui, con tutta la sua famiglia. Ci andavo a giocare a pallone. Nel centro storico siamo tutti una grande famiglia. Mi conoscono tutti, è normale che quando mi hanno arrestato, poi sono venuti tutti a salutarmi. Sono tutti braccianti agricoli, che conoscono mia madre. Sono andato al funerale di Carlo Salati (lo chiama Carlo, confidenzialmente, e l’avvocato lo fa notare, ndr). Sono stato con i figli, gli sono stato vicino. Io non nutrivo rancore nei suoi confronti. Perché avrei dovuto? Al massimo era lui a dovercela avere con me, e comunque so che non ce l’aveva con me. Se avessi voluto ammazzarlo per quelle cose che si dicono, lo avrei fatto vent’anni fa, o dovevo aspettare di uscire dal carcere?”.

Le cose che si dicono riguardano Gioconda Giannuzzi, la moglie di Pasimeni che, mentre il marito rispondeva agli interrogativi che gli venivano posti, attendeva nella saletta esterna di essere ascoltata come testimone. La donna che fu, secondo quanto è emerso, compagna di Salvatore Buccarella, prima e di Carlo Salati poi. Pasimeni ha specificato di “non aver mai fatto da autista a nessuno”, mentre a quanto si è appreso, egli aveva conosciuto la donna proprio mentre svolgeva quella mansione, appena affacciato negli ambienti criminali vicini alla Sacra corona.

Sulla richiesta di confronto, già precedentemente e formalmente formulata dalla difesa, la Corte dovrà sciogliere la riserva. Prima di Pasimeni, era stato ascoltato come teste l’ispettore Roberto Barone, l’investigatore che è stato il motore dell’inchiesta, condotta quando era in forze al commissariato di Mesagne, prima di spostarsi alla Mobile di Brindisi. Barone, rispondendo alle domande del pm, Valeria Farina Valaori e della difesa, ha chiarito ogni dettaglio tecnico sulle indagini.

I riscontri, le intercettazioni, il sopralluogo e le informazioni confidenziali che erano presto arrivate alla polizia. Si diceva che Salati avesse una relazione con una ragazzina e che questa fosse rimasta incinta. Si diceva che andava punito, che la Scu voleva dare un segnale al mondo esterno, voleva far intendere d’essere ancora al comando, di non aver smarrito, nonostante i colpi inferti, neppure un pizzico della propria autorità. E poi c’era quel precedente, il passato che legava Gioconda a Salati – hanno detto i pentiti – che a Pasimeni recava disturbo.

In questo processo sono imputati Pasimeni e Penna che, in concorso con Cosimo Giovanni Guarini (Maradona) e con Vito Stano e Francesco Gravina, detto Gabibbo, (anch’essi in procinto di comparire davanti al gup per essere giudicati allo stato degli atti) avrebbero a vario titolo deciso e poi tradotto in fatti la punizione per Salati che fu picchiato violentemente da due persone, sull’uscio di casa, con un bastone in ferro.

Pasimeni professa la propria innocenza, ma non rinnega del tutto gli anni che furono: “Ho cambiato vita”, spiega. Facendo intendere, comunque, di avere in curriculum una certa prossimità con l’associazione criminale di cui è ritenuto essere uno dei capi. Quanto ai delitti, quelli no, non li ha commessi lui. Ma lì, la verità processuale è ormai scritta. E non c’è più modo di rettificare. I due ergastoli rimediati sono una condanna definitiva.

 

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