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Cronaca Ceglie Messapica

Picchiò la madre, un anno e mezzo a tossicomane di Ceglie

CEGLIE MESSAPICA – Un anno e sei mesi di carcere per avere maltrattato i genitori. Assoluzione, invece, dal reato di estorsione. E’ la condanna comminata ad Antonio Turrisi, 30 anni, di Ceglie Messapica, arrestato il 2 marzo scorso su denuncia dei genitori. Che questa mattina erano in aula. Il padre è scoppiato in lacrime ed è stato colto da malore quando il pubblico ministero Silvia Nastasia ha chiesto la condanna a tre anni di reclusione.

CEGLIE MESSAPICA – Un anno e sei mesi di carcere per avere maltrattato i genitori e permanenza in carcere. Assoluzione, invece, dal reato di estorsione. E’ la condanna comminata ad Antonio Turrisi, 30 anni, di Ceglie Messapica, arrestato il 2 marzo scorso su denuncia dei genitori. Che questa mattina erano in aula. Il padre è scoppiato in lacrime ed è stato colto da malore quando il pubblico ministero Silvia Nastasia ha chiesto la condanna a tre anni di reclusione.

Subito dopo la pubblica accusa, ha preso la parola l’avvocato Aldo Gianfreda, difensore di Turrisi, per il quale ha chiesto l’assoluzione da tutti i reati e in subordine l’assoluzione dalla estorsione e la condanna per i maltrattamenti. La sezione collegiale, presieduta da Giuseppe Licci, ha accolto la tesi difensiva per quanto riguarda l’estorsione, dichiarando la non procedibilità, e lo ha condannato per i maltrattamenti con la recidiva specifica.

Antonio Turrisi, tossicodipendente per sua stessa ammissione, fu arrestato qualche ora dopo avere avuto un alterco piuttosto animato prima con la madre 63enne e subito dopo con il padre accorso per mettere pace. La donna finì in ospedale. “E’ stato mio figlio”, disse il padre tra le lacrime ai carabinieri chiamati dai medici del pronto soccorso dell’ospedale di Ceglie. Voleva denaro, come altre volte, per comperare la droga.

Il giovane fu rintracciato nella villa Cento Pini e trasferito in caserma, dove nel frattempo si erano recati i genitori per formalizzare la denuncia. “Lo abbiamo fatto per salvarlo dalla droga”, dissero nel corso del loro interrogatorio in tribunale. E aggiunsero, rivolti ai giudici del collegio presieduto da Giuseppe Licci: “Aiutateci a farlo guarire dalla droga”.

“Non l’ho picchiata – si è giustificato l’imputato nell’ultima udienza -. Mia madre da tempo è affetta da depressione e, a volte, grida per un nonnulla”. Il maresciallo Sante Convertini, comandante della stazione di Ceglie, durante la sua deposizione, riferì che oltre alle contusioni riportate dalla madre, furono verificati nella loro casa “evidenti segni di una colluttazione”. E cioè: una tazza rotta, una sedia pure rotta, il tavolo spostato.

“Mia madre si mise a gridare quando le dissi che non volevo andare dal medico per il ginocchio che mi fa male e per cui non posso lavorare”,   si è difeso Turrisi nell’ultima udienza, dedicata per intero al suo interrogatorio, spiegando che la madre si era messa a gridare sul balcone e per farla smettere era andato di corsa verso di lei spostando il tavolo sul quale c’era la tazza per il caffè che, cadendo, si ruppe. E della sedia: “Non capisco come sia potuta andare a finire nella sala; quella sedia da tempo era rotta ed era chiusa nel ripostiglio”. E poi: “Mi vergognavo persino a sedermi a tavola, figuriamoci a chiedere soldi”.

Ma il Tribunale non gli ha creduto. E tra quaranta giorni, quando saranno depositati i motivi della decisione del Collegio, l’avvocato Gianfreda presenterà appello.

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