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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Villa Castelli

Pugno di ferro in azienda e minacce a sindacalista, cinque condanne

VILLA CASTELLI – Imponevano buste paga infedeli ai dipendenti, e minacciarono gravemente un sindacalista della Fillea Cgil che cercava di tenere assemblee nella loro azienda. Per questa vicenda, che si svolse tra la fine del 2002 ed il febbraio del 2003, il tribunale di Martina Franca ha condannato una intera famiglia di imprenditori di Villa Castelli del settore dei materiali edili. I reati vanno dall’estorsione, alla tentata violenza privata, alle minacce e alle ingiurie.

VILLA CASTELLI – Imponevano buste paga infedeli ai dipendenti, e minacciarono gravemente un sindacalista della Fillea Cgil che cercava di tenere assemblee nella loro azienda. Per questa vicenda, che si svolse tra la fine del 2002 ed il febbraio del 2003, il tribunale di Martina Franca ha condannato una intera famiglia di imprenditori di Villa Castelli del settore dei materiali edili. I reati vanno dall’estorsione, alla tentata violenza privata, alle minacce e alle ingiurie.

Il tribunale ha altresì condannato gli imputati al risarcimento delle parti civili, inclusa la Fillea Cgil di Brindisi, rappresentata dall’avvocato Giuseppe Giordano. Il sindacalista Angelo Leo (attualmente responsabile del Nidil Cgil) è stato rappresentato in giudizio dall’avvocato Stefano Palmisano, gli operai costituitisi contro i datori di lavoro sono stati patrocinati dall’avvocato Carmelo Molfetta.

Le condanne: Giuseppe Gallone, 4 anni e 8 mesi complessivamente per i reati di estorsione, tentata violenza privata minacce e ingiurie; il fratello Vito Antonio, un anno e 2 mesi pena sospesa; Domenico e Donato Gallone, figli di Giuseppe, e il capo operaio Ciro Gallone, sono stati condannati a 8 mesi ciascuno, pena sospesa.

La storia è tutta racchiusa in una interrogazione parlamentare a risposta scritta presentata dal deputato Nichi Vendola al ministro del Lavoro dell’epoca il 27 febbraio 2003. La Gallone Snc aveva uno stabilimento a Martina Franca, quello teatro dei fatti, un altro e la sede sociale a Villa Castelli, dove “c'erano lavoratori che con vent'anni di servizio risultavano ancora inquadrati con la qualifica di manovali e con l'assenza totale del rispetto delle norme di sicurezza sul posto di lavoro”, scriveva Vendola nell’interrogazione.

Qualcuno ebbe il coraggio di rivolgersi al sindacato, e venne a galla una storia di buste paga che non corrispondevano ai salari realmente versati. La Fillea Cgil inviò Angelo Leo sul posto, ma dal novembre 2002 al febbraio 2003 le minacce, la resistenza allo svolgimento delle assemblee e le pressioni dirette sui lavoratori si susseguirono senza sosta. Ma “dall’1 gennaio 2003, grazie all'intervento del sindacato, i lavoratori operavano per otto ore al giorno e non più nove, con l'esclusione del sabato e la paga percepita era corrispondente a quella riportata in busta paga”, dice Vendola al ministro.

Poi lo scontro più grave. “Anche i lavoratori di un'altra azienda - con sede a Villa Castelli - sempre di proprietà della famiglia Gallone chiedevano l'applicazione degli stessi diritti riconosciuti ai colleghi della Gallone Snc”, raccontava nell’interrogazione l’attuale governatore della Puglia. “Dopo tutti gli accadimenti delinquenziali avvenuti all'interno dell'azienda Gallone, il signor Angelo Leo informava la caserma dei carabinieri di Martina Franca che all'assemblea di fabbrica, da tenersi in data 18 febbraio 2003, sarebbe stata opportuna la loro presenza per garantire sia il regolare svolgimento dell'assemblea sia l'incolumità dei sindacalisti”.

Quando Leo arrivò alle 14,30 davanti allo stabilimento “notava che gli operai stavano ancora lavorando e chiedeva al signor Giuseppe Gallone se aveva avvisato i lavoratori del cambiamento d'orario. Di fronte a tale domanda il signor Giuseppe Gallone riprendeva a ricoprirlo di improperi, ma il sindacalista chiedeva ad alcuni lavoratori presenti nella parte antistante l'azienda di recarsi all'assemblea o di farla all'aperto; in quel preciso istante veniva aggredito e circondato da Giuseppe Gallone, dai suoi figli Domenico e Donato, dal capo operaio, signor Ciro Gallone, e dal signor Vito Antonio Gallone, i quali impedivano al sindacalista di parlare con gli operai trascinandolo fuori dall'azienda con atteggiamenti brutali; durante questa ultima aggressione il signor Domenico Gallone per l'ennesima volta proferiva espressioni di brutale minaccia, del tipo: «ti uccido, ti sparo in bocca»”.

Tutto cessò solo quando “una donna dai piani superiori dell'azienda avvisava la famiglia Gallone dell'arrivo imminente dei carabinieri; i carabinieri di Martina Franca giungevano sul posto dopo che il signor Angelo Leo, sfuggito al pestaggio, telefonava alla caserma e riferiva al maresciallo D'Ippolito l'accaduto”. Il resto è storia processuale.

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