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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

“Scu, ci incontrammo in un lido esclusivo a Torre Lapillo”

Le ultime dichiarazioni del pentito Penna: "Dopo l'attentato a Vincenzo Greco io e Daniele Vicientino andammo a trovare Ronzino De Nitto in spiaggia, eravamo armati. Questi mi disse che erano stati lui e Francesco Campana"

BRINDISI – “Dopo l’attentato a Vincenzo Greco, io e Daniele Vicientino decidemmo di raggiungere Ronzino De Nitto per chiedere spiegazione di quell’azione e lo incontrammo in un lido esclusivo a Torre Lapillo: ci andammo il giorno dopo, eravamo tutti armati e c’erano anche le nostre ragazze”.

Nella storia recente della Sacra Corona Unita c’è stato anche modo e tempo per organizzare un vertice in riva al mare, stando al racconto fornito dal pentito Ercole Penna, reso ai magistrati della Dda di Lecce per la prima volta l’11 marzo 2011, ma coperto dal segreto sino a quando il collaboratore non è stato sentito come teste nell’udienza del processo scaturito dall’inchiesta “Zero” su omicidi, tentati omicidi e ferimenti maturati per vendette – anche trasversali – in seno all’associazione di stampo mafiosa brindisina. Quei verbali sono leggibili per intero, quindi, senza omissis nella sentenza della Corte d’Assise di Brindisi le cui motivazioni sono state depositate il 4 luglio scorso e sono ora alla base del ricorso in Appello che a breve sarà depositato dai difensori.

Pronti, infatti, ad azionare il secondo grado di giudizio sono gli avvocati Cosimo Lodeserto in nome e per conto di Francesco Campana, e Pasquale Annicchiarico per Ronzino De Nitto: il primo imputato è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno per la durata di un anno, per l’omicidio di Toni D’Amico, fratello del collaboratore di giustizia Massimo D’Amico, ex Uomo Tigre della Sacra Corona Unita. Omicidio commesso, stando alla sentenza, in concorso con Carlo Gagliardi per punire l’Uomo Tigre della scelta di passare dalla parte dello Stato: per questo il fratello venne freddato mentre stava pescando sulla Diga di Punta Riso a Brindisi il 9 settembre 2001.

Campana, in questo troncone processuale, è anche accusato del tentato omicidio di Vincenzo Greco, avvenuto il primo luglio 2010, assieme a Ronzino De Nitto, in un primo momento come autori materiali: i pm Alberto Santacatterina e Valeria Farina Valaori, nel corso del dibattimento, hanno modificato il capo di imputazione indicandoli come mandanti, dopo aver acquisito le dichiarazioni di Sandro Campana, il fratello minore di Francesco, diventato anche lui collaboratore di giustizia, secondo il quale l’azione sarebbe stata compiuta da “due ragazzi di San Donaci, Benito e Floriano”, mai neppure indagati non essendo stati identificati. 

Per la Corte, non ci sono elementi certi, al di là di ogni ragionevole dubbio, per affermare la responsabilità di entrambi gli imputati che, di conseguenza, sono stati assolti. I giudici motivano l’assoluzione di Campana e De Nitto sostenendo che le dichiarazioni dei pentiti non siano coincidenti in questo caso, fermo restando la credibilità di entrambi quando riferiscono altri “fatti di sangue”. 

MESAGNE - Quanto a Penna, ha più volte insistito nel riferire di quel summit in riva al mare: “Andammo a Torre Lapillo il pomeriggio successivo all’agguato”, si legge nei verbali. “La spiaggia era abbastanza esclusiva ed era gestita da un ragazzo del Leccese”. Fatta questa premessa, a domande del pm su chi fossero stati i responsabili dell’agguato, Penna risponde: “Allora, che il responsabile fosse stato Francesco Campana, non avevo dubbi perché per mesi mi sono sentito con Francesco Campana, ma anche personalmente quando ci siamo incontrati, una o due volte, lui sottolineava sempre questa situazione, che comunque voleva vendicare l’azione subita dal fratello e far male a Leonardo Greco”.

Secondo Penna il movente dell’agguato sarebbe stato legato a un pestaggio avvenuto in carcere, nel periodo del blitz Omnia: Antonio Campana, altro fratello di Francesco, venne picchiato da Leonardo Greco, fratello di Vincenzo “in pieno accordo con il gruppo di Antonio Vitale e Massimo Pasimeni, con autorizzazione di Penna”. Questa aggressione “costituiva un momento di contrasto tra il gruppo di Penna e quello di Campana ed era il movente dell’agguato a Vincenzo Greco”.
Penna ha anche detto: “Leonardo Greco era all’epoca detenuto o non era in zona, quello più facile da colpire era Vincenzo e lui, Campana

Francesco, aveva intenzione di procedere. Me lo disse anche De Nitto quando ci vedemmo a Torre Lapillo, ma non era mio interesse sapere materialmente chi aveva commesso questo fatto”. “Quando a me Ronzino De Nitto mi dice sì siamo stati noi, a me basta e avanza, poi se sono stati direttamente o hanno mandato o chi ha sparato o non ha sparato non era questo il mio obiettivo, ecco”.

Alla domanda dell’avvocato Pasquale Annicchiarico, relativa alla differenza tra l’essere stato mandante o esecutore materiale, il pentito Penna risponde: “A livello processuale è un conto, magari è importante, ma a livello malavitoso non conta niente, o materiale o non materiale, noi non stiamo ad approfondire queste cose qua. Nella malavita non cambia niente sapere chi spara con il dito, noi volevamo sapere da chi era partita la situazione. Tra l’altro sarebbe ridicolo chiedere ma hai sparato tu o Francesco Campana oppure un altro”. Infine la precisazione del collaboratore di giustizia: “Ci sono accuse verso delle persone e io non mi permetterei mai di accusare persone innocenti”.

Per la difesa le dichiarazioni dei pentiti non sono credibili, non lo sono mai state. Per la Corte, sono in contraddizione questa volta, ma il contributo dei collaboratori resta prezioso nella ricostruzione degli episodi della Scu in perfetta aderenza al principio della cosiddetta “frazionabilità della dichiarazione dei chiamanti in reità, secondo il quale l’attendibilità dell’accusa anche se negata per una parte del racconto, non ne coinvolge necessariamente quelle che reggano alla verifica del riscontro”.

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