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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Scu, eolico e politici: pene aggravate

TORRE S. SUSANNA - Quelli di contrada Canali avevano costituito un clan, affiliato alla Scu, che faceva affari con le armi, con il traffico di droga, le intimidazioni ma soprattutto tentò di infiltrarsi nella gestione della cosa pubblica, per investire in un business apparentemente lecito, quello delle energie alternative e in particolare degli impianti eolici.

TORRE S. SUSANNA - Quelli di contrada Canali avevano costituito un clan, affiliato alla Scu, che faceva affari con le armi, con il traffico di droga, le intimidazioni ma soprattutto tentò di infiltrarsi nella gestione della cosa pubblica, per investire in un business apparentemente lecito, quello delle energie alternative e in particolare degli impianti eolici.

Se ne doveva realizzare uno: torri imponenti avrebbero dovuto essere installate proprio lì, nei terreni di proprietà della famiglia Bruno. Lo riteneva l’accusa sin dal principio, lo confermano ora anche i giudici d’appello che hanno appesantito il conto del Tribunale di Brindisi: Andrea Bruno, il ‘capo’, è stato condannato a 30 anni di carcere, 4 in più rispetto a quanto deciso in primo grado.

Ha pesato la contestazione della recidiva. Dopo il blitz del marzo del 2008, Bruno, rimase latitante per 51 giorni. Fu scovato poi in contrada Cocolicchio, in agro di Fasano, in un trullo in cui aveva soggiornato senza farsi mancare nulla.

I Bruno di Torre fanno parte di una storiografia fatta di accuse provate e di leggende popolari. Oggi la corte, in accoglimento dell’appello del pm Milto Stefano De Nozza che ha sostenuto l’accusa in primo grado, ha  messo un punto fermo sugli esiti dell’inchiesta condotta tra il 2004 e il 2006 dal Ros dei carabinieri e sull’operatività di un gruppo criminale identificabile come la frangia torrese della Scu brindisina degli anni Novanta, rinata dalle sue stesse ceneri diversi lustri dopo le guerre di mala.

Andrea Bruno, difeso dall’avvocato Vito Epifani, fu posizionato al vertice del sodalizio di stampo mafioso, era colui che attraverso i suoi luogotenenti i cugini Emanuele Melechì, condannato a 21 anni e 10 mesi a fronte dei 19 inflitti in primo grado, e Daniele Melechì, difeso dall’avvocato Raffaele Missere condannato invece a 10 anni 2 mesi, avrebbe cercato, con appoggi politici, di realizzare un impianto per la produzione di energia eolica in contrada Canali, luogo in cui si trova la masseria di proprietà della famiglia Bruno all’interno della quale, hanno appurato le indagini che portarono il 31 marzo del 2008 all’emissione di 24 ordinanze di custodia cautelare, era stata allestita la base operativa del gruppo.

Vincenzo Bruno (nipote di Andrea) assistito da Vito Epifani e da Cosimo Lodeserto e’ stato assolto dalle accuse di traffico di droga, il Tribunale di Brindisi lo aveva ritenuto estraneo anche a ogni ipotesi associativa. Per il possesso di un’arma è stato condannato a un anno e dieci mesi. Quattro anni per Cosimo Carlucci, confermate pene pari a 7 anni per Cosimo Melechì e 5 anni per Cosimo Damiano Torsello. Sedici gli anni di reclusione inflitti a Piero Fai, 18 e mezzo a Vito Fai, entrambi di Tuturano (Brindisi), difesi dall’avvocato Gianvito Lillo.

I fatti contestati al gruppo, composto da numerosissime persone, molte delle quali accusate di traffico di droga, scelsero il rito abbreviato, erano parecchio gravi. L’ordinanza corposa, infarcita di omissis che riguardavano le ipotizzate commistioni tra mafia e politica che non si sono mai accertate. Il voto di scambio, contestazione che molto spesso va a precipitare nel vuoto, quando non si riesca ad accertare un passaggio di moneta, non ha mai trovato fondamento. Neppure la volontà dei Bruno di pilotare il voto delle amministrative del 2005, anno in cui vi furono anche le elezioni regionali.

Santini elettorali furono sequestrati, analizzati. Una mole ingente di conversazioni finì nel fascicolo del pubblico ministero. Un’inchiesta parallela fu avviata dalla Dda di Lecce. Alla fine, si è appurato, che a Torre operava una associazione per delinquere di stampo mafioso. E che alcuni dei personaggi che ne facevano parte erano gli stessi protagonisti della saga che molti anni prima aveva portato a sanguinose esecuzioni, alle vendette poi partorite nei riguardi della testimone di giustizia Cosima Guerriero, fratello assassinato, genitori vittima di lupara bianca. Spariti in un buco nero di interrogativi.

Sul muro di un’abitazione che Cosima Guerriero, che nel frattempo ha dovuto rinunciare alla sua identità e vive altrove, apparve una scritta: ‘chi compra muore’. Era il segno che, nelle ristrette mura della masseria Canali sarebbe stata realizzata un piano per ricreare una “diffusa condizione di danneggiamento nei confronti di chiunque non si piegasse alla volontà degli associati, al fine di realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé o per altri”.

Dietro Bruno, c’erano il nipote, Vincenzo, figlio di Ciro ristretto in carcere, e i due Melechì: nel teorema accusatorio sono indicati come luogotenenti, persone attraverso le quali avveniva il controllo del territorio in maniera capillare.

Il volto pulito ammesso alle visite nella Masseria Canali, sarebbe stato Damiano Torsello, detto “Lu poppitu”, perché nato ad Alessano in provincia di Lecce: era la novità, nel senso di uomo non conosciuto agli uomini delle forze dell’ordine, che faceva da interfaccia con soggetti esterni, tanto privati che pubblici.

Nella masseria sarebbero stati definiti gli interventi necessari per impedire la vendita di immobili da parte di “proprietari sgraditi” e quelli utili per “veicolare” l’esito di aste giudiziari al fine di impedire che terreni limitrofi ai propri possedimenti venissero acquistati da persone a loro invise. Quindi la “pervicace capacità di infiltrazione negli apparati amministrativi locali”, con tendenza a “condizionare le attività di gestione della cosa pubblica”.

I giudici della Corte d’Appello hanno condiviso le impostazioni accusatorie, accogliendo l’appello del pubblico ministero De Nozza e le richieste del pg Claudio Oliva. Come e perché lo si apprenderà tra novanta giorni, quando saranno depositate le motivazioni.

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