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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Serra di marijuana a Jaddico, chieste condanne per 16 brindisini

Il pm: “Dieci anni di reclusione per Walter Margherito e Armando Corsa”. Altra droga importata dall’Albania e dalla Sicilia

BRINDISI – A conclusione delle indagini condotte dai carabinieri, la Procura di Brindisi ha confermato l’esistenza di un business della droga, marijuana per lo più, imbastito su coltivazioni a chilometri zero, in serre realizzate in contrada Jaddico, in aggiunta al canale d’importazione dall’Albania e dalla Sicilia. E per questo ha chiesto la condanna di 16 brindisini, a diverso titolo, imputati nel processo con rito abbreviato.

La requisitoria

MARGHERITO Walter, classe 1979-2Le pene più alte sono state invocate per Walter Margherito, 38 anni, di Brindisi (nella foto al lato) e Armando Corsa, 45, di Brindisi (nella foto in basso): dieci anni di reclusione per entrambi. La requisitoria porta la firma del sostituto procuratore Luca Miceli, dinanzi al giudice per l’udienza preliminare Vittorio Testi.

Queste le altre richieste di pena: Paolo Chiarella, 53, di Brindisi, due anni e otto mesi; Carlo Cofano, nato in Svizzera ma residente a Fasano, 37, due anni e otto mesi; Cosimo Contestabile, 47, di Brindisi, un anno e quattro mesi; Luigi Conversano, 34, di Fasano, due anni e otto mesi; Francesco D’Urso, 38, di Brindisi, due anni e otto mesi; Antonio Roberto Ferlito, 43, di Catania, due anni e otto mesi; Roberto Ferlito, 42, di Catania (sono cugini), due anni e otto mesi.

Richieste di condanna, inoltre, per:  Giuseppe Lorè, 46, di Brindisi, quattro anni; Italo Lorè, 43, di Brindisi, due anni e otto mesi (sono fratelli); Onofrio Margaritondo, 42, di Fasano, sei anni di reclusione; Roberto Nigro, 51, di San Vito dei Normanni, due anni di reclusione; Giovanni Rizzato, 50, di Brindisi, due anni e otto mesi; Antonio Signorile, 48 anni, di Brindisi, nove anni di reclusione; Pietro Vergaro, 28, di Torre Santa Susanna, due anni. Il conteggio presentato dal pm è al netto della riduzione di un terzo, legato alla scelta del rito alternativo al dibattimento. 

Gli imputati sono accusati, a vario titolo dei reati di “detenzione e cessione in concorso di sostanze stupefacenti e ricettazione, tentata estorsione, rapina, nonché detenzione e porto abusivi di armi da fuoco”. Con queste accuse lo scorso  7 febbraio 2018, furono arrestati dai carabinieri, sotto la voce “Tuono”, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Stefania De Angelis, su richiesta del pm Valeria Farina Valaori: Paolo Chiarella,  Carlo Cofano,  i  fratelli Italo e Giuseppe Loré, i cugini Roberto e Antonio Ferlito, Armando Corsa, Francesco D'Urso,  Giovanni Rizzato,  Antonio Signorile,  Pietro Vergaro, Walter Margherito, Onofrio Margaritondo  e Roberto Nigro. Gli altri rimasero a piede libero.  

La coltivazione di marijuana

CORSA Armando, classe 1973-2Fonti di prova sono una serie di intercettazioni risultato dell’ascolto di una serie di conversazioni: 98, stando agli atti dell’inchiesta, sono le utenze telefoniche monitorate nel periodo compreso tra febbraio e agosto 2017. Ascoltando alcune delle telefonate e “leggendo” una serie di messaggi, i militari hanno scoperto una coltivazione di marijuana: 50 piante che, secondo l’accusa, sarebbero state affidate a Margherito e Chiarella”. In particolare, come contestato nei capi di imputazione, Margherito avrebbe avuto contatti con un “non meglio precisato uomo di nazionalità albanese, al quale ammetteva in maniera esplicita di aver fatto 50 piante” usando la lampada, nell’arco di due mesi.

La conversazione ritenuta di rilievo è quella del 7 marzo 2017, quando Margherito chiede anche i prezzi di vendita, ipotizzando importi che vanno da 700 sino a mille euro al chilogrammo.

In un’altra conversazione, sempre secondo la lettura dell’accusa, emergeva che “Chiarella si occupava di innaffiare le piante e si intuiva che per accelerarne la crescita, aveva installato delle lampade con un timer che regolava la loro accensione e il loro spegnimento”.

L’inchiesta dei carabinieri

Le indagini presero il via  dopo la scoperta di 2.500 euro in contanti a casa di un brindisino, al quale i carabinieri dovevano notificare un atto. In quella circostanza venne trovato un albanese, al quale sarebbe stata riconducibile una modica quantità di marijuana. Per giustificare quella somma, l’albanese disse di essere arrivato a Brindisi per acquistare delle auto. La “ricostruzione venne confermata da Spagnolo e da Margherito”. I due, in un secondo momento, avrebbero riferito di essere “intermediari in una trattativa che avrebbe portato gli albanesi ad acquistare una imbarcazione”. Secondo il pm, “l’assenza di qualsivoglia prova dell’acquisto di auto, la somma trovata e la pretestuosità delle giustificazioni, lasciano ragionevolmente ipotizzare che su trattasse di approvvigionamento di droga”.

Le intercettazioni

Le prime intercettazioni hanno permesso di ricostruire il litigio tra alcuni degli attuali imputati, dopo il sequestro di un ingente carico di droga, perché un brindisino veniva considerato autore di un vero e proprio furto di sostanza stupefacente, dal momento che mancavano all’appello circa 600 chili di droga.

“Il sospetto era stato palesato da Margherito nei confronti di Margaritondo (nella foto in alto)”: “Io che faccio? Non è che vado a rubare a casa dei miei amici”, si lelle nella trascrizione della conversazione riportata nel provvedimento di custodia cautelare, come grave indizio di colpevolezza. “Nei confronti di Margaritondo, Margherito non risparmiava minacce di morte, esternate anche nei confronti di Mario Schiavone”.

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“E’ normale che io vengo e ti ammazzo, subito subito io andavo già da Mario, e bum, bum, bum, Mario ciao”. Parole di Margherito dette al telefono. La ragione del rancore, secondo la lettura data dall’accusa, sarebbe da mettere in relazione all’intervento dei carabinieri del Norm di Fasano il 16 marzo 2017, dopo aver ricevuto la segnalazione di un accesso irregolare in uno stabilimento balneare di Savelletri. In quella circostanza venne abbandonato un “Fiat ducato e passeggero e conducente, avendo evidentemente timore di subire un controllo, abbandonarono il mezzo e fuggirono a piedi lungo le campagne vicine”.

I militari in quella circostanza riconobbero Margaritondo “in virtù delle fattezze fisiche e del timbro vocale e parzialmente dal volto per un breve frangente”. Oltre al Ducato venne sequestrato un gommone, marca Lomac di otto metri, rivenuto ormeggiato al porticciolo turistico di Torre Canne.

La difesa

La prossima udienza sarà dedicata alle arringhe dei difensori. Nel collegio difensivo ci sono i penalisti: Laura Beltrami, Cosimo Luca Leoci, Gianvito Lillo, Giuseppe Guastella e Giovanni Brigante.

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