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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Sigilli alla cava dove morì Di Latte

BRINDISI – Sequestro con procedura d’urgenza: scattano i sigilli alla cava della “Semes Srl”, dove il 4 luglio 2011 morì il 47enne operaio carovignese Salvatore Di Latte, travolto da una valanga di rocce smosse da una mina. I carabinieri del Noe di Lecce e la Squadra mobile della Questura di Brindisi, hanno eseguito stamane il decreto emesso dalla Procura di Brindisi con cui si è disposto il sequestro preventivo, senza facoltà d’uso, della cava sita in contrada Autigno, nonché dei beni mobili e immobili, degli impianti e delle attrezzature presenti all’interno dell’area ed efferenti l’esercizio dell’attività estrattiva.

BRINDISI – Sequestro con procedura d’urgenza: scattano i sigilli alla cava della “Semes Srl”, dove il 4 luglio 2011 morì il 47enne operaio carovignese Salvatore Di Latte, travolto da una valanga di rocce smosse da una mina. I carabinieri del Noe di Lecce e la Squadra mobile della Questura di Brindisi, hanno eseguito stamane il decreto emesso dalla Procura di Brindisi con cui si è disposto il sequestro preventivo, senza facoltà d’uso, della cava sita in contrada Autigno, nonché dei beni mobili e immobili, degli impianti e delle attrezzature presenti all’interno dell’area ed efferenti l’esercizio dell’attività estrattiva. L’ordinanza di sequestro giunge a 4 mesi di distanza dal tragico incidente che nel luglio scorso costò la vita a Salvatore Di latte: dipendente specializzato della Cocebit - impresa confinante con la Semes e facente capo al medesimo  titolare, l’imprenditore carovignese Raffaele Angelo Peciccia.

L’attività investigativa, supportata da perizie, sopralluoghi e testimonianze, avrebbe appurato che Di Latte fece ingresso alla guida della sua automobile (una Fiat Panda) al fronte di cava gestito dalla Semes senza incontrare alcun ostacolo o impedimento o allarme e ciò nonostante fosse imminente il brillamento di circa sei quintali di esplosivo. Le conseguenze furono letali: l’operaio venne travolto e sepolto vivo da migliaia di tonnellate di pietra distaccatesi dal costone a seguito dell’esplosione. Il corpo dilaniato dell’uomo fu ritrovato dopo 7 ore di scavi . Al culmine delle indagini, la procura di Brindisi ha ritenuto che i fatti contestati configurassero gli estremi del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica. Reati per i quali furono emessi tre avvisi di garanzia già nei giorni successivi all’incidente. Destinatari: l’imprenditore Raffaele Peciccia (legale rappresentante della società Semes), il responsabile della sorveglianza (Salvatore Barella) e l’incaricato per le esplosioni (Nicola Valente).

Inoltre, a carico delle due società (Semes e Cocebit) è stata contestata la responsabilità amministrativa per l’infortunio mortale, per non aver adottato modelli organizzativi idonei a prevenire l’evento. Chiara l’urgenza del provvedimento. La Procura di Brindisi ha ritenuto di stoppare sul nascere nuove deflagrazioni: la “Semes”, infatti, sarebbe stata nuovamente autorizzata a far brillare esplosivo, sino a 550 chili al giorno, per ventidue giorni al mese. Un volume complessivo che tradotto su base mensile significa 60.000 metri cubi di pietre da estrarre e circa 12 tonnellate di esplosivo da far brillare. “Tutto ciò - sottolinea il Procuratore Capo Marco Dinapoli,  a motivazione del provvedimento assunto - senza che su quella cava siano state apportate né dal punto di vista soggettivo né dal punto di vista oggettivo modifiche che lascino tranquilli in ordine al fatto che morti così drammatiche, come quella che ha attinto Di Latte, non abbiano più a verificarsi”.

Il pm Giuseppe De Nozza e gli investigatori della squadra mobile di Brindisi, guidati dal vice questore Francesco Barnaba, in sede di indagine hanno puntato l’attenzione su alcuni specifici interrogativi. Nel mirino degli inquirenti la funzionalità del sistema di segnalazione dell’attività di brillamento delle cariche esplosive e le procedure seguite il giorno del mortale incidente. Obiettivo: comprendere per quale ragione nessuno - poco prima dell’esplosione programmata, in una cava che avrebbe dovuto essere perciò momentaneamente chiusa - si accorse della presenza, nei pressi dei fornelli delle mine, dell’auto (una Panda rossa) dell’operaio di Carovigno.

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