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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Torri costiere, saltano i finanziamenti

BRINDISI - Una dimenticanza forse, o piuttosto un errore di valutazione che fa “saltare” finanziamenti in sostanza già sulla strada per Brindisi: il settore è quello dei beni culturali, i fondi in questione sono quelli dell’otto per mille che avrebbero dovuto essere impiegati per il restauro delle torri costiere.

BRINDISI - Una dimenticanza forse, o piuttosto un errore di valutazione che fa “saltare” finanziamenti in sostanza già sulla strada per Brindisi: il settore è quello dei beni culturali, i fondi in questione sono quelli dell’otto per mille che avrebbero dovuto essere impiegati per il restauro delle torri costiere, Torre Testa e Torre di Punta Penne. Le torri cadono a pezzi, la domanda per ottenere il finanziamento del restauro, a quanto appreso, non sarebbe più stata rinnovata nell’anno 2013.

La pratica era stata istruita nel 2011 per accedere ai fondi assegnati dallo Stato. E il progetto di recupero del Comune di Brindisi era stato ritenuto meritevole di accoglimento dalla presidenza del Consiglio dei Ministri che gestisce l’attribuzione del denaro incassato con le dichiarazioni dei redditi. Da determinare l’importo da far arrivare in riva all’Adriatico per rimettere a nuovo le “gemelle” della torre dell’oasi di Guaceto che si trovano però molto più vicine alla città e alle spiagge di solito frequentate dai brindisini.

L’incubo crisi, l’intervento della Germania, la caduta del governo Berlusconi, lo spread che saliva e la Merkel che incalzava, si insediò l’esecutivo di Mario Monti e un clima di austerity e di tagli disperati, mandarono tutto in aria. Si decise che per il 2012 vi sarebbe stata una gestione differente dei fondi otto per mille. Non più destinati a calamità naturali, disastri e beni culturali, ma a risanare le finanze dell’azienda Italia sull’orlo di una crisi economica irreparabile e pure di una crisi di nervi. Per un anno, insomma, niente otto per mille per rimettere a nuovo chiese, monumenti, musei, edifici storici.

Poi i termini sono stati riaperti. Entro il 15 marzo 2013 si poteva tornare a battere cassa: “La presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il coordinamento amministrativo, rende noto che il 15 marzo 2013, scade il termine per la presentazione delle domande per accedere al contributo”. “Si fa presente che in caso di riproposizione della domanda per l’anno 2013 si può fare riferimento alla documentazione tecnica già presentata in occasione delle annualità 2011 e 2012, ove non siano intervenute modificazioni”.

Al Comune di Brindisi si comunicava che “ove permanga l’interesse è possibile ripresentare la domanda di contributo per il 2013 entro il termine di scadenza”. E dire che all’epoca era già giunto da Roma un ok pressoché definitivo: “Nel dare esito alla richiesta di informazioni per vari interventi presentati per l’anno 2012 da Enti del territorio di Brindisi - si legge in una missiva del Dipartimento per il coordinamento amministrativo datata ottobre 2012 – la commissione tecnica di valutazione ha espresso i seguenti pareri”.

E via con l’elenco: favorevole relativamente ai due progetti presentati dalla Curia, ossia il restauro della chiesa di San Paolo, inclinata come la Torre di Pisa, e della Parrocchia Santissima Assunta di Torchiarolo; favorevole anche alle due richieste formulate dal Comune di Brindisi, il restauro di Torre Testa e di Torre Penna. Il termine è perentorio, scade ogni anno a primavera. I fondi arrivano, poi, l’anno successivo. Nel 2011 – 2012 ci si è messa la sfortuna, i conti in rosso, e la spending review.

E nel 2013? Cosa è accaduto? Va ricordato che all’epoca, quando il progetto fu presentato, il sindaco era Domenico Mennitti e fu il suo vice, Mauro D’Attis a sposare la campagna del Gruppo archeologico brindisino e individuare quella dell’otto per mille come strada percorribile. I lavori erano già stati consegnati alla ditta "Roma Costruzioni". Il passaggio del testimone ha forse poi confuso le acque. Morale della favola, non se n’è fatto più nulla.Vale la pena di ricordare che la ripartizione otto per mille dell’Irpef è una delle poche fonti di finanziamento del recupero di beni culturali in Italia.

I fondi in questione sono quelli che i contribuenti, barrando la casella sulla dichiarazione dei redditi scelgono di destinare allo Stato. Non alla chiesa cattolica, alla chiesa valdese, alle comunità ebraiche o ad altri interventi sociali e umanitari gestiti da altri enti. Lo Stato impiega il denaro “a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati e conservazione dei beni culturali”.

Va da sé che la gran parte dei beni culturali in Italia sia di proprietà della Chiesa cattolica e che quindi la gran parte dei soldi, oltre a quelli che vengono già indirizzati dai contribuenti direttamente alla Chiesa per il “culto della popolazione, il sostentamento del clero e gli interventi caritativi” finiscano sempre al medesimo destinatario. Ma è proprio in virtù della considerazione che sono numerosissimi i beni culturali di proprietà di altri enti, i quali hanno difficoltà enormi a sostenerne i costi di restauro, che le pubbliche amministrazioni (laiche) non devono dimenticare di bussare alla porta della presidenza del consiglio ed evitare che finisca tutto altrove. Brindisi lo ha fatto nel 2011, poi non più. E le torri costiere attendono.

 

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