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Cronaca

"Volevo vendetta, ma non con le ragazze"

BRINDISI - La fase istruttoria del processo per la strage alla Morvillo Falcone, si è chiusa con l'esame del bombarolo. Cinque ore e mezzo, oggi, di interrogatorio utili a riconfezionare una confessione che non aggiunge nulla, anzi forse toglie qualcosa a quanto già noto.

BRINDISI - La fase istruttoria del processo per la strage davanti alla Morvillo Falcone, si è chiusa con l'esame del bombarolo. Cinque ore e mezzo, oggi, di interrogatorio utili a riconfezionare una confessione che non aggiunge nulla, anzi forse toglie qualcosa, a quanto già si era detto e ridetto, scritto e stra-scritto, sulla strage dinanzi alla scuola Morvillo Falcone.

Sotto i riflettori (si fa per dire, visto che Giovanni Vantaggiato non ha dato il consenso alle riprese televisive) c'erano lui, l'imprenditore 69enne di Copertino e le sue malefatte, due quelle su cui ha ammesso le responsabilità, più un paio di sopralluoghi, una 'prova' in campagna e il giro di perlustrazione fatto nel parcheggio del Tribunale per filmare le targhe delle automobili. In particolare quella del pm del sesto piano che, dice lui, non volle riceverlo e che sosteneva l'accusa nel processo al suo ex socio diventato rivale, Cosimo Parato che tentò di uccidere con una pipe bomb il 24 febbraio 2008 a Torre Santa Susanna.

Cosa ha detto Vantaggiato? Che ha agito solo, che non aveva complici. La moglie non sapeva nulla. Voleva colpire il tribunale e ha scelto la scuola Morvillo Falcone a caso (salvo poi lasciarsi sfuggire che conosceva quella scuola, perché vi si recava per le forniture di carburante, così come sapeva che dall'altra parte c'è anche il Classico). Ha colpito per 'fare un atto dimostrativo', perché ce l'aveva con il Tribunale che non gli aveva reso giustizia sulla truffa da 340mila euro subita a suo dire da Cosimo Parato.

Il Tribunale che aveva condannato Parato, ma dinanzi al quale si era svolto un processo “incompleto” perché, ritiene il bomber, dovevano esserci anche altre due persone tra gli imputati, ci doveva essere anche il maresciallo Sebastiano Fiorita, che gli presentò il presunto truffatore e che chiese che gli venissero fatte forniture di carburante poi annotate sul libretto di Parato Valeria.

Vantaggiato sembra essere lucidissimo. Ha parlato per ore, senza neppure necessitare di un sorso d'acqua. E' smagrito, ma non deperito. Polo bianca, vestito grigio, nuova montatura degli occhiali. Ricostruisce tutto, rispondendo alle domande dell'accusa, sostenuta dal pm Guglielmo Cataldi e dal capo della Dda, Cataldo Motta. Talvolta si discosta da quanto ha dichiarato in fase di indagine, e ogni virgola gli viene contestata da Motta, anche rispetto a quanto aveva dichiarato illo tempore al sostituto procuratore Milto Stefano De Nozza, applicato nell'inchiesta.

Parla. Piange, chiede perdono 'ai Bassi' che restano lì, i genitori di Melissa falciata dalla bomba a 16 anni, muti, in prima fila. Seduti, fino all'ultimo, impietriti dal racconto, se non per un minimo gesto di stizza quando lo stragista reo confesso dice “non volevo fare del male, ho due figli anche io”. “Non volevo fare del male”, è questa la cantilena. “Non ho visto le ragazze” dice.

E Selena e Azzurra che dai banchi dell'aula Metrangolo seguono senza distrarsi, si agitano un po'. “Potevo fare male, molto male. Se avessi voluto avrei premuto quando c'era quell'uomo che alzava il coperchio del bidone, che parlava con le ragazze. Ho aspettato”. L'accusa gli chiede allora perché non ha fatto esplodere la bomba di notte, perché tre bombole con polvere pirica (confezionate seguendo le istruzioni a pagina 72 dell'enciclopedia alla lettera N, nitrati, secondo l'imputato), perché alle 7.42, perché ha premuto due volte il telecomando. Perché, perché, ancora perché.

Le risposte non arrivano, non sono contemplate nella ricostruzione dello stragista. Che giustifica il plurale utilizzato durante gli interrogatori del giugno 2012 in cui ha vuotato il sacco con “è il mio modo di parlare”. Nega, quando glielo chiede l'avvocato di parte civile che assiste Cosimo Parato, Raffaele Missere, di aver pianificato strategie per passarsi per pazzo e malato.

Missere ha voluto far emergere come l'attendibilità dell'imputato non sia poi un fatto così scontato. E non perché intendesse sostenere che non è stato lui l'autore della strage e del tentato omicidio ai danni di Cosimo Parato, quattro anni prima. Ma per sottolineare che vi sono numerosi punti oscuri ancora da chiarire. Vanni non ha detto tutto.

“Ho fatto tutto da solo” ha ribadito. “Mia moglie non c'entra nulla”. Non c'entra nulla neppure l'autista, Giovanni Chiriatti. Tutto da solo. Contro un obiettivo 'indeterminato', dettaglio questo importante a qualificare l'imputazione di strage. Ma chissà se utile a supportare la sussistenza dell'aggravante della finalità terroristica che non è stata contestata neanche all'uomo che ha sparato, fatti recentissimi, all'impazzata nei pressi di Palazzo Chigi, mentre i ministri giuravano.

“Ho messo la bomba di notte perché non c'è nessuno” sostiene. Perché di giorno, chiedono Cataldi prima e Motta poi. “Perché di giorno? Così”. Perchè alle 7.42? “Dovevo andare a lavoro”. Il concorso contro ignoti, pur contestato, è quindi un capitolo chiuso, a sentire il bombarolo.

"Ho fatto un sopralluogo 15 giorni prima a Brindisi". Quanto alle immagini ritratte dalle telecamere del chiosco di via Galanti, sede della scuola Morvillo Falcone, andate in onda alcuni giorni dopo l'attentato ha specificato di non averle commentate con la moglie, che quindi non lo avrebbe riconosciuto. Ha anche detto, rispondendo a domanda precisa, che nessun altro gli aveva fatto notare la somiglianza con l'uomo ritratto nelle immagini.

Sul movente, a interrogativo posto dal procuratore capo della Dda, Cataldo Motta: "Non capivo perché nel processo (il riferimento è sempre al giudizio a carico di Cosimo Parato, conclusosi con una condanna il 19 aprile 2012 dell'uomo, ndr) c'era solo Parato più due altri imputati. Io faccio una richiesta precisa, del maresciallo Fiorita, che significa, allora Parato più due?". Motta incalza: "Lei voleva che nel processo Parato fossero condannati tutti i componenti dell'associazione?"

"Dovevano essere condannati tutti, anche il maresciallo Fiorita". "Perché non ha scelto la caserma dei carabinieri?" va avanti il procuratore. "Che c'entrava la caserma dei carabinieri?" dice l'imprenditore di Copertino. "La scuola era vicino al tribunale. Era accanto al tribunale. L'atto l'ho fatto perché subivo questa truffa e non avevo avuto giustizia". Sulla scelta della scuola, ancora una volta: "Era un atto dimostrativo. Se io volevo fare del male lo avrei fatto".

Poi il giorno dopo la moglie gli porta il caffè a letto e le paste. Alle 7.40 è a Brindisi, poi va a lavoro. “Non ho confessato subito perché avevo paura”. Si chiude così, il sipario su Giovanni Vantaggiato, che rientra nella sua cella del carcere di Lecce.

In aula, dinanzi alla Corte d'Assise di Brindisi, si ritorna mercoledì prossimo per sciogliere la riserva sulla richiesta di perizia psichiatrica formulata dall'avvocato di Vantaggiato, Franco Orlando, per accertare la sua imputabilità, ossia l'incapacità di intendere e volere quando ha fatto saltare in aria gli ordigni “fatti con nitrato di potassio, zolfo e carbone” a Torre e a Brindisi. Hanno posto domande gli avvocati Fernando Orsini, per i coniugi Bassi, il legale del Comune di Mesagne, Anna Luisa Valente l'avvocato di Anna Canoci, Gianvito Lillo, oltre che l'avvocato della Provincia, Pasquale Annicchiarico.

L'avvocato di Parato, Missere, alla luce delle dichiarazioni rese dallo stragista ha chiesto quindi di riammettere il suo assistito come teste che era stato escluso con ordinanza, dalla Corte, perché assente ormai per la settima volta consecutiva, comportamento che stava minando la speditezza del processo. Anche su questo si deciderà l'8 maggio. Si fila diritti verso la sentenza. Rapidi, by-passando gli intoppi. L'unica incognita, processualmente, resta l'aggravante terroristica.

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