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Giovedì, 28 Marzo 2024
Economia

"Troppe ombre, illegittimità e interessi dietro il Piano comunale della costa"

Temono il colpo di mano speculativo, celato dietro un Piano comunale della costa dai contenuti non corrispondenti alle direttive della legge regionale, e perciò lanciano l'allarme le associazioni di tutela del patrimonio ambientale, culturale e paesaggistico di Brindisi

BRINDISI – Temono il colpo di mano speculativo, celato dietro un Piano comunale della costa dai contenuti non corrispondenti alle direttive della legge regionale, e perciò lanciano l’allarme le associazioni di tutela del patrimonio ambientale, culturale e paesaggistico di Brindisi. Sotto accusa ancora una volta l’amministrazione comunale, che vorrebbe infilare nel Piano della costa interventi urbanistici ben oltre il limite del demanio, aggirando così lo strumento preposto a tale compito, vale a dire quel Piano urbanistico generale arenatosi tra le polemiche, con il primo progettista incaricato mandato via dalla precedente amministrazione Consales (fascicolo aperto in procura), e il secondo per ora in attesa di disposizioni.

Ma non solo. Gli Amici dei Musei, Club per l’Unesco, Fondazione Di Giulio, Italia Nostra, Legambiente, Touring Club e Wwf contestano anche la mancanza di una adeguata informazione e di risposte alle osservazioni ai cittadini interessati al procedimento di consultazione apertosi dopo l’approvazione del piano da parte della giunta, come i portatori di interessi (proprietari di suoli e titolari di attività), e ritengono che ciò costituisca “un vulnus rispetto alla regolarità giuridica del procedimento stesso”.

La costa tra Materdomini e Torre Testa

Le scriventi associazioni, in sintonia con alcune osservazioni già presentate sul Piano comunale costiero ribadiscono le loro profonde perplessità in merito al rispetto della ‘disciplina della tutela e dell’uso della costa’ definita con legge regionale numero 17 del 23 giugno 2006 così come evidenziato anche dalla professoressa Angela Barbanente all’epoca in cui era assessore regionale all’Urbanistica”, si legge in un documento diffuso oggi..

Oggetto di un Pcc infatti sono, dicono le associazioni, “assetto, gestione, controllo e monitoraggio del territorio costiero comunale in termini di tutela del paesaggio, di salvaguardia dell’ambiente, di garanzia del diritto dei cittadini all’accesso ed alla libera fruizione del patrimonio naturale pubblico, nonché di disciplina per il suo uso ecosostenibile, avendo come obiettivo la regolamentazione delle aree demaniali costiere dal punto di vista della loro tutela e del loro uso ecosostenibile”.

piaggia libera Via di Torre Testa,-2

Nel caso specifico di Brindisi, viene sottolineato, “i riferimenti normativi non consentono di pianificare, attraverso il Pcc al di fuori dell’area demaniale (interclusa fra la linea di battigia e la litoranea provinciale), a differenza di quanto pervicacemente si continua a programmare nella bozza di Pcc approvata dall’amministrazione comunale, in cui, con evidenti vizi di legittimità, si estende l’efficacia dello strumento urbanistico anche oltre i 300 metri dalla battigia”.

Secondo le associazioni che sottoscrivono il documento contro l’impostazione del progetto di Piano comunale della costa varato dall’amministrazione civica, “è artificioso collegare il ‘processo di recupero e risanamento complessivo’ ad una pianificazione che non può avvenire giuridicamente al di fuori dell’area demaniale e che è di pertinenza del Piano urbanistico generale tutt’ora, purtroppo, in itinere”.

La torre di Punta Penne-2

“Ad ulteriore prova di ciò c’è il fatto che proprio il Pug e non il Pcc con le sue Norme tecniche di attuazione (Nta) ha il compito di integrare la pianificazione costiera demaniale con quella di ‘Zone – E- agricole’, in cui ricadono i tanti insediamenti  in attesa di definizione  giuridico-amministrativa  da parte degli organi competenti”, ribadiscono le associazioni.

E c’è anche il problema della privatizzazione intensiva della costa a nord della città, operazione – secondo le associazioni – che si intende consumare calcolando il rapporto 40 per cento a 60 per cento tra lidi privati e spiagge libere annacquando il conto con l’inclusione della costa sud, che in realtà non ha alcuna accessibilità stanti i vincoli di tutela legati al parco regionale, le aree militari e quelle industriali.

La zona di Punta Penne

“Il rapporto fra lidi privati e spiagge pubbliche (per legge rispettivamente 40% e 60 %) va contestualizzato sul litorale nord e non, come riportato nel Pcc , sull’intero litorale  di competenza comunale ( incluso quello a sud), in cui ci sono zone sottoposte a vincoli rispetto alla pubblica fruizione ed alla balneazione (zone industriali, parchi nazionali e regionali e zone sottoposte a divieto di balneazione)”, scrivono infatti le associazioni.

“Abbiamo appreso da varie fonti che si intenderebbe autorizzare (in parte già avvenuto) nuovi lidi privati a scapito del libero accesso al litorale e stiamo assistendo ad un lungo ed incomprensibile conflitto in merito alla regolarità di attività balneari da tempo in corso, con una interpretazione molto elastica o contraddittoria delle leggi vigenti, peraltro lungo il litorale nord in cui alcune aree sono definite ‘Aree Logistiche militari’. Da ciò derivano, ad esempio, equivoci di interpretazione sulle autorizzazioni consolidate nel tempo, sulla rimovibilità delle strutture  o sui venti metri prescritti fra la linea intercotidale (area media fra bassa ed alta marea e le strutture rimovibili)”, rileva il cartello delle sigle ambientaliste brindisine.

Gli stabilimenti balneari di Punta Penne

“Nulla hanno a che fare con il recupero ed il risanamento o con la libera fruizione delle aree demaniali costiere una serie di programmazioni urbanistiche, di pertinenza del Pug o comunque di pianificazione generale, che concernono viabilità di servizio, mobilità solo parzialmente dolce, linee di penetrazione da una fantomatica nuova e più interna litoranea o previsioni di opere non collocate in strutture preesistenti o ancor più in beni demaniali e militari acquisiti dalla pubblica amministrazione, ma ipoteticamente in nuovi edifici che inciderebbero sugli indici urbanistici già oggi alquanto discrezionalmente fissati”.

“Tutto ciò premesso e riproposto ai fini di una corretta definizione di un Piano comunale della costa che rispetti le disposizioni della Legge Regionale n. 17/2006 concernenti la pianificazione nelle sole aree demaniali costiere, profonde perplessità – conclude il documento - conseguono anche in merito a quelli che dovrebbero essere i presupposti e gli obiettivi strategici, giuridici e tecnici di una valutazione ambientale strategica che, per come è strutturato l’attuale Pcc diventerebbe uno strumento di valutazione ambientale caratterizzato da una concezione estensiva del territorio in esame e da evidenti zone d’ombra in merito agli insediamenti esistenti e da previsioni tutt’altro che sostenibili che appartengono a quella pianificazione partecipata ed ecosostenibile, che soltanto il Pug può dirimere”. 

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