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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cultura

I segreti dell'antica abazia di Sant'Andrea raccolti in un libro

E' stata presentata presso la History digital Library di Brindisi l'opera del ricercatore Franco D’Armento

BRINDISI - È stato presentato giovedì sera, 16 maggio, il libro del ricercatore Franco D’Armento: “L’Abadia di S. Andrea dell’Isola di Brindisi e i suoi Feudi salentini. Brindisi, Campo Longobardo, Latiano, S. Giovanni Monicantonio-Campie, Misciagnie. Trascrizione di un manoscritto del 1627 con analisi storica, critica, paleografica e appendice documentaria” (Editore Grifo). Si tratta della trascrizione della Platea dell’Abbazia di Sant’Andrea in Insula (all’ingresso del porto di Brindisi), ossia l’inventario dei beni dell’abbazia, che aveva vasti possedimenti feudali. La presentazione si è svolta nella nuova biblioteca multimediale di Brindisi, la History digital Library, inaugurata pochi giorni fa nella Casa del Turista, sede della sezione di Brindisi della Società di Storia Patria per la Puglia.

L'autore del libro Franco D'Armento-2

Ad aprire la presentazione è stato il segretario della Società di Storia Patria per la Puglia, il professor Antonio Mario Caputo, che afferma: “Abbiamo voluto fare qualcosa di innovativo. Quando uno studente, un curioso della letteratura, della storia dell’arte, viene qui, facciamo al contrario: non chiede il libro, ma lo mettiamo di fronte a un processo di digitalizzazione. Se poi vuol fare un percorso inverso, dalla digitalizzazione vuole arrivare al libro, noi siamo disponibili a fornire lo stampato”.

“Ovviamente dobbiamo crescere”, aggiunge il professore. “Non deve essere solamente per pochi appassionati, ma vogliamo aprirla a tutta quanta la città, perché Brindisi sappia che abbiamo questo nuovo supporto culturale capace di venire incontro alle esigenze più immediate ma anche a quelle future, perché la digitalizzazione si presta a uno sguardo futuro verso coloro che vogliono andare avanti e noi vogliamo andare avanti”. “Per questo abbiamo fondato volutamente e voluto con forza questa struttura, dove siamo stati coordinati al meglio dall’amico Alessandro Perchinenna”.

L’opera di Franco D’Armento è stata presentata da Francesco De Luca, dell’Università di Lecce, che ha evidenziato come l’autore, con consapevolezza, metodologia certa e passione, abbia affrontato un viaggio ideale, non facile, attraverso molte difficoltà, per ricostruire in parte le vicissitudini di un’istituzione denominata Abadia di Sant’Andrea dell’Isola di Brindisi.

Francesco De Luca-2

De Luca analizza quindi la strutturazione dell’opera, che è quadripartita: dopo la premessa, vi è la Parte Prima, suddivisa in un po’ di storia e studio del manoscritto, la Parte Seconda, che comprende gli allegati di natura documentaria, la Parte Terza che ripropone la trascrizione dell’inventario e la Parte Quarta composta dagli indici alfabetici distinti per tipologia. Il professore ha concluso la sua introduzione evidenziando la produzione scientifica del libro, supportata da tavole e fotografie a colori. “Questo libro”, afferma De Luca, “deve servire da sprone, a diffondere cultura e a testimoniare come, attraverso una seria ricerca, possiamo tentare di comprendere quanto prodotto e svolto da chi ci ha preceduto per tentare, ciascuno nel suo piccolo, di migliorare e orientare il futuro verso nuovi, sicuri, costruttivi porti per chi ci seguirà”.

La copertina del libro-13

La presentazione del libro è proseguita con l’intervento del professor Giacomo Carito, presidente della sezione di Brindisi della Società di Storia Patria per la Puglia. Dell’Abbazia di Sant’Andrea in Insula, Carito evidenzia che era un’Abbazia notevolissima, trasformata dal rito greco al rito latino dall’Arcivescovo Eustachio nel 1059. L’Abbazia ebbe vita gloriosa fino alla fine del XIII secolo. Nel XIV secolo divenne Abbazia concistoriale, un’abbazia di beni.

“Nella Platea dei beni noi troviamo elencati complessi che erano complessi monastici di rito greco. Fra questi un po’ tutti i complessi in grotta di San Biagio a Iannuzzo e di San Giovanni a Cafaro che sono in agro di Brindisi, anche se impropriamente vengono sempre riferiti come di San Vito dei Normanni”, sottolinea Carito.

Giacomo Carito-12

Il professore prosegue evidenziando che gli insediamenti monastici erano sviluppati nell’area di Brindisi, lungo il Canale Reale, l’unico corso d’acqua perenne della provincia. L’Abbazia svolse un ruolo importantissimo tra Est ed Ovest.  Molti dei suoi codici sono dispersi nelle più importanti biblioteche europee, fenomeno questo che avvenne tra Umanesimo e Rinascimento, quando la nostra area cominciò a collassarsi economicamente per la brusca diminuzione dei traffici commerciali del Mediterraneo. Il professore sottolinea quindi come l’Abbazia di Sant’Andrea in Insula costituisse un riferimento per i naviganti, perché puntando dritti su di essa i naviganti evitavano le secche. L’Abbazia aveva estesi domini, buona parte nell’area di Brindisi e nell’agro. “La Platea di Sant’Andrea”, conclude Carito, “è particolarmente interessante proprio perché ci restituisce, ai primi del 1600, quello che era un insieme di proprietà fondiarie acquisite nel Medioevo, almeno quattro secoli prima. Quindi ci dà una fotografia del Salento normanno-svevo, fondamentalmente”.

L’Abbazia di Sant’Andrea non esiste più, ma i suoi resti sono conservati, per la gran parte, nel Museo Ribezzo di Brindisi, e a parlarne è stato il professor Giuseppe Marella, della Società di Storia Patria per la Puglia.  Nel portico del museo ci sono cinque capitelli provenienti dall’Isola di Sant’Andrea, capitelli che, come rileva Marella, permettono di percepire immediatamente la potenza, anche economica, che aveva raggiunto l’Abbazia. Marella si è soffermato ad analizzare dal punto di vista stilistico quelli più importanti: il capitello cosiddetto “della danza” e quello ad animali passanti, confrontandoli con altri simili.

Giuseppe Marella-8

Nel capitello “della danza” ci sono dodici figure, sotto altrettanti archetti, che sono colti nell’attimo di stringere la mano e di effettuare un movimento circolare antiorario. “Non sappiamo esattamente il significato di questa scena”, sottolinea Marella, “è un unicum in tutto il Meridione d’Italia”. Nel capitello ad animali passanti vi è una fiera intenta a divorare secondo alcuni studiosi un agnello, secondo altri un cucciolo di leone. Marella ha concluso il suo intervento parlando del collasso economico dell’Abbazia, che ne determinò il decadimento.

Giuseppe Maddalena Capiferro della Società di Storia Patria per la Puglia, nel suo intervento, partendo dalle considerazioni di Annibale De Leo e di Giovanni Tarantini circa l’ubicazione dell’Abbazia di Sant’Andrea, ha proposto una sua ipotesi sull’ubicazione dell’antica abbazia. Capiferro ha affermato di aver trovato dei lastricati lungo la cortina realizzata in materiale tufaceo situata di fronte alle fortezze, che per lo storico, non hanno nulla a che fare con le pietre tufacee del sito e provengono quasi sicuramente dalla Chiesa. Capiferro ha quindi segnalato la presenza di due frammenti di colonna, ancora presenti in situ, in quella che per lo storico era una rada, un porticciolo, antistante l’abbazia.

L'intervento di Giuseppe Maddalena Capiferro-2

“Faccio rilevare come questa zona, quella del taglio, sia la parte più rilevata dell’isola e quindi praticamente dove si doveva trovare una chiesa, che fra l’altro doveva avere anche funzioni di sorveglianza, anche funzioni militari”, evidenzia Capiferro. “A poca distanza sorgeva, infatti, una torre cilindrica che aveva la sua importanza per quanto riguarda l’avvistamento dei navigli nemici, prima ancora della costruzione delle fortezze. Quindi nella parte più rilevata, che è quella che poi subisce il taglio”.

A concludere la presentazione del volume, l’autore del libro “L’Abadia di Sant’Andrea dell’Isola di Brindisi e i suoi Feudi salentini”, Franco D’Armento, che ha presentato il suo volume partendo dal primo impatto che ebbe con la Platea di Sant’Andrea dell’Isola, quando diede un contributo pratico alla realizzazione della tesi di laurea del figlio in Topografia Medievale.

Da sinistra, Antonio Caputo e Franco D'Armento-2

Nella bibliografia consultata per il sito su cui stava lavorando il figlio di D’Armento, vi era la Platea. Il professor Arthur, relatore della tesi di laurea, chiese a D’Armento di trascriverne la parte relativa a San Giovanni Monicantonio, sito su cui stava lavorando, per la tesi.  “In quell’occasione”, spiega l’autore, “mi sono innamorato di questo librone”. D’Armento ha illustrato dettagliatamente, partendo dall’Incipit, la Platea di Sant’Andrea, manoscritto redatto nel 1627, sulla base di un più antico inventario che, per l’autore, è sicuramente databile ad almeno un paio di secoli prima. Per D’Armento, è composito, molto ben fatto e non ha nessuna connotazione artistica.

“È un libro molto pratico, che deve servire mese per mese per la riscossione dei censi, per la riscossione delle decime e quant’altro”, evidenzia. E prosegue analizzando l’Indice della Platea, la rubrica dei reddenti, con nomi e cognomi di coloro che erano obbligati a pagare, l’invocazione al Re, per avere l’assenso a rinnovare l’elenco dei beni, le Giurisditioni, una serie di regole dettate dall’Abadia, e conclude con l’elencazione delle partite intestate ai vari possessori, prima i feudi di Brindisi e poi quelli dell’agro.

D’Armento si sofferma poi sul feudo che lo ha visto maggiormente impegnato nella sua importante ricerca storica: il Feudo di San Giovanni Monicantonio, un feudo vastissimo, esteso, come evidenzia l’autore, per almeno 3500 ettari. Un feudo che produceva la maggior parte delle derrate alimentari per gli animali e le persone e che l’Abadia di Sant’Andrea considerava il feudo più importante per gettito fiscale. L’autore ha concluso il suo intervento analizzando una pergamena del 1185, un atto di donazione di due chiese con le loro pertinenze, fatta dal vescovo di Brindisi al vescovo di Monreale, rintracciata da D’Armento nella Biblioteca Centrale siciliana, a Palermo, e ritratta sulla copertina del suo prezioso libro.

Il pubblico-5-50

Il professore Antonio Mario Caputo ha concluso la serata culturale ricordando monsignor Annibale De Leo, arcivescovo di Brindisi, che ha raccolto il manoscritto presentato da D’Armento, tutte le pergamene che stavano nelle famiglie brindisine, per poter dare corpo al Codice Diplomatico Brindisino, e i manoscritti dei sacerdoti Nicola Scalese e Pietro Cagnes, per fare la Cronaca dei sindaci di Brindisi. “A partire proprio dagli antipodi”, afferma Caputo, “quando Brindisi era una città dove il riferimento era la diocesi, perché non esisteva un Comune, un Municipio, per poter registrare le nascite, i matrimoni, le morti. Ma praticamente è tutto depositato nella Biblioteca De Leo”.

E conclude ricordando che: “La Biblioteca De Leo la fa nascere con 6000 libri di sua proprietà. Poi la Biblioteca De Leo acquisisce un grande patrimonio, per gli Imperiali di Francavilla Fontana, il Cardinale Renato Imperiali di Francavilla Fontana. Tutto questo patrimonio è a vostra disposizione e noi cerchiamo pure di metterlo in digitale”.

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