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Martedì, 23 Aprile 2024
Politica

Morto Benito Piccigallo, figura di primo piano della storia politica locale

Dirigente cittadino, consigliere comunale regionale del partito Comunista Italiano. Si era trasferito l'anno scorso a Torino

BRINDISI – E morto nel pomeriggio a Torino, città dove si era trasferito da meno di un  anno per raggiungere la figlia, Benito Piccigallo, figura di primo piano del Partito Comunista Italiano a Brindisi di cui era stato consigliere regionale dal 1975 al 1990. Piccigallo, 79 anni (era nato il 13 gennaio del 1939) combatteva da mesi contro un cancro.

Insegnante nella vita, prima di passare alla politica, aveva praticato da giovane il canottaggio e conservava il fisico da sportivo. Aveva affrontato il suo percorso politico nel Pci quando il partito era guidato da Luigi Longo, il leggendario comandante “Gallo” della guerra partigiana, e poi da Enrico Berlinguer, e ben presto era entrato in consiglio comunale a Brindisi.

Nel 1975 l’elezione di Benito Piccigallo non era prevista. Il Pci decideva in comitato federale l’ordine dei candidati da eleggere, e le sezioni eseguivano quelle direttive. Si votava col proporzionale, e si potevano esprimere più preferenze, ma era il partito a guidare le campagne elettorali. Un esercito disciplinato e fondato sul principio del “centralismo democratico”.

Così era stato possibile, del resto, portare in Parlamento figure della società oggi ormai scomparse dai banchi di Montecitorio e Palazzo Madama, praticamente da quando non c’è più il Pci: operai, lavoratori agricoli, assieme a intellettuali, figure della Resistenza, artigiani. Piccigallo era nella lista per il consiglio regionale, ma era stato stabilito che si dovessero concentrare le preferenze su un candidato di Ostuni.

Invece arrivò l’ondata del 1975, che consegnò al Partito Comunista Italiano il primo straordinario successo, ampliato poi da quello del 1976 quando per la prima volta nella storia un partito comunista diventò il più votato in un paese occidentale. La Dc fu battuta. Ma quella è un’altra storia, chiusa dal rapimento e l’assassinio di Aldo Moro.

Quello spostamento dell’elettorato a sinistra non era stato previsto nella misura in cui avvenne, e nel ’75 il voto a Brindisi fu talmente favorevole al Pci che Benito Piccigallo raccolse un successo personale che lo portò ad ottenere molti più suffragi del compagno di partito di Ostuni. A quel punto, obbligare Piccigallo a rinunciare a favore del candidato designato avrebbe da un lato confermato il primato del “centralismo democratico”, ma avrebbe creato una grave frattura tra il Pci e gli elettori della città di Brindisi.

Fu deciso – e non fu affatto facile - di rispettare il voto della città, e Benito Piccigallo passò dal consiglio comunale dove era stato capogruppo, al consiglio regionale.  Era una figura molto popolare nel Pci anche nei centri della provincia: certamente il più conteso e richiesto per i comizi, perché aveva un’oratoria chiara, passionale e trascinante. Piaceva alla gente, riempiva le piazze. Un autentico tribuno, si diceva all’epoca.

Anche nel Pci c’era da anni un primato del partito della provincia su quello della città, legato alle percentuali che si registravano alle elezioni in centri come Mesagne, Francavilla Fontana, Carovigno, San Pietro Vernotico. Un partito legato alle lotte contadine, nato da quei movimenti. In città c’era una giovane classe operaia, la cui organizzazione vera e proprio era cominciata nelle fabbriche negli anni Settanta, quando il Pci apriva cellule una dopo l’altra, con centinaia di iscritti, tesserando anche quadri che avevano una visione innovativa del ruolo della politica nelle aziende.

Benito Piccigallo raccolse anche i risultati di quel consenso costruito faticosamente giorno dopo giorno, e il Pci era alle prese anche con una forte e sino a quel momento sconosciuta domanda di mutamento delle regole della democrazia interna. Tuttavia nessuno aveva mai avuto a che fare con una patata bollente come l’elezione non prevista del candidato di Brindisi.

Da oggi Benito Piccigallo non c’è più. Aveva lasciato Brindisi con la moglie Antonietta per stare vicino alla figlia, medico nella capitale piemontese, e ai nipoti, Mauro e la più piccola, Sveva, di 11 anni, che era molto legata al nonno. Qualche mese fa la diagnosi del male con cui ha lottato, e che alla fine l’ha portato via. I funerali si svolgeranno a Torino, dove sarà sepolto. 

Resta di lui il ricordo di un’epoca (sono trascorsi 40 anni) di cambiamenti e di speranze che poi si sono scontrate con la stagione del terrorismo, superata dal paese grazie alla forza del suo tessuto democratico, e subito dopo con quella della negazione dei grandi ideali. Ma non sono forse quelli che gli italiani hanno bisogno di ritrovare oggi?

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