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Nessun elogio al renzismo nè al capitalismo finanziario nel libro di Cassano

Sabato mattina, mentre prendevo l’aereo che da Brindisi mi avrebbe portato a Roma, ho riflettuto sul dibattito della sera prima sul libro di Franco Cassano. Ho sentito che qualcosa non mi convinceva su come era andata la discussione e su come mi ero comportato io

Sabato mattina, mentre prendevo l’aereo che da Brindisi mi avrebbe portato a Roma, ho riflettuto sul dibattito della sera prima sul libro di Franco Cassano. Ho sentito che qualcosa non mi convinceva su come era andata la discussione e su come mi ero comportato io.

 Questa sensazione la potrei tradurre così: dovevamo litigare di più. Che cosa voglio dire? Voglio dire che venerdì sera c’è stata una bella assemblea affollata e con una gran voglia di capire, discutere, mettere a confronto anche con passione idee spesso divergenti. Niente da dire su come è andata. Solo che, insisto, dovevamo litigare di più.

Sapete perché? Perché quando si scopre che si ha voglia di un confronto duro è bene non diplomatizzare né di rinviare a nuove occasione e anche perché le differenze erano sostanziali. Sostanziali ma probabilmente frutto di una incomprensione.

La dico così: ho avuto l’impressione che alcuni degli autorevoli intervenuti abbiamo giudicato più il sospetto che il libro di Cassano dichiarasse finita la sinistra che giudicare gli argomenti che lui propone per farla rivivere.

Cassano fa un’operazione, ricca di riferimenti che per semplicità non riprendo, che ha un punto fermo: il cambiamento del mondo richiede criteri interpretativi nuovi che non siano prigionieri né del catastrofismo né nell’apologetica, e che colgano la verità di fondo di questa fase della vita dell’umanità.

 A mano a mano che noi riscontriamo disuguaglianze, storture e ingiustizie vecchie e nuove, ci rendiamo conto che una parte gigantesca dell’umanità comincia a star meglio e che una parte del nostro mondo ha esaurito la rendita di posizione occidentale.

Ogni fenomeno che analizziamo, dalla finanziarizzazione in poi, può essere letto nel suo cinismo che punisce popolazioni e persone ma anche dalle opportunità che offre a chi vuole sedere al tavolo da pranzo dei Grandi dopo secoli di esclusione.

Il tema diventa allora quello di riscoprire, come sinistra, tutte queste nuove contraddizioni per poter trovare il suo popolo. Questo modo di ragionare non dà spiegazioni semplici né unilaterali, prevede una politica mobile che sia in grado di adattarsi alla velocità dei tempi. Lo fece il primo movimento operaio quando mise insieme operai analfabeti e aristocrazia operaia, contadini e braccianti, in qualche caso in Italia persino ex combattenti della prima guerra mondiale e sovietisti.

Il movimento della sinistra è inclusivo per definizione e per essere inclusivo non può distribuire le parti una volta per tutte. Il gioco cambia, gli attori diventano molti di più, la sinistra deve essere molecolare e aderente come una gelatina per coprire tutti i suoi spazi. Se non lo fa la sinistra lo fa la destra.

Molti interlocutori di Cassano e miei hanno pensato che questo approccio significasse mettere la sordina alle ingiustizie, elogiare il capitalismo finanziario, tirare la volata al renzismo. Penso che si tratti di obiezioni non giuste. Magari il renzismo ragionasse così, scoprirebbe le contraddizioni del mondo moderno e la necessità che una sinistra che osserva e si modifica in rapporto al cambiamento per ricomporre il proprio popolo deve essere una sinistra democratica e non oligarchica.

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