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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Bruciò amante: ora potrà andare a lavorare

CAROVIGNO - Potrà uscire dalla propria abitazione in cui vive agli arresti domiciliari e recarsi a lavoro Dora Buongiorno, la bracciante agricola di Carovigno (Brindisi) condannata a 15 anni di reclusione il 28 novembre scorso al termine di un processo con rito abbreviato per l’omicidio dell’amante, Cosimo Damiano De arso vivo il 26 dicembre del 2010 e morto due giorni dopo in ospedale.

CAROVIGNO - Potrà uscire dalla propria abitazione in cui si trova agli arresti domiciliari e recarsi a lavoro Dora Buongiorno, la bracciante agricola di Carovigno (Brindisi) condannata a 15 anni di reclusione il 28 novembre scorso al termine di un processo con rito abbreviato per l’omicidio dell’amante, Cosimo Damiano De Fazio, arso vivo il 26 dicembre del 2010 e morto due giorni dopo in ospedale. Il giudice Valerio Fracassi, infatti, a quanto riferisce l’avvocato della donna, Roberto Cavalera, ha deciso accogliendo l'istanza della difesa di concederle la possibilità di lasciare il proprio appartamento, in determinati orari, in considerazione del suo stato di necessità economica: non avrebbe alcun mezzo di sostentamento per sé e per i suoi due figli, uno dei quali avuto proprio da De Fazio. Dora Buongiorno, rea confessa del delitto, avrebbe preso contatti con una società interinale e avrebbe già avuto una proposta di lavoro che la impegnerebbe una volta alla settimana come dipendente di un'impresa di pulizia. L’assenso le sarebbe stato concesso anche in virtù della condotta impeccabile  rispetto agli obblighi imposti, dimostrata dallo scorso agosto in poi, quando dal carcere ha ottenuto i domiciliari.

Il gup di Brindisi nella sentenza di condanna le aveva riconosciuto le attenuanti generiche, equivalenti alle aggravanti oltre allo sconto di un terzo della pena dovuto alla scelta del rito alternativo. Dora Buongiorno era accusata di omicidio aggravato dalla premeditazione e dalla crudeltà: aveva somministrato all’amante un farmaco soporifero, lo aveva condotto in campagna e aveva appiccato il fuoco all’altezza dei genitali. Ha poi raccontato agli inquirenti di essere da anni vittima di soprusi da parte dell’imprenditore di Brindisi, versione da sempre negata dai famigliari di quest’ultimo, sposato e padre di altri cinque figli, che si sono tutti costituiti parte civile. “Ho sbagliato e devo pagare”, aveva detto subito dopo la sentenza, a fine novembre. Era in aula, seduta. Aveva atteso il verdetto, consapevole che non avrebbe comunque potuto evitare la condanna. La pena decisa dal gup ha di fatto dimezzato la richiesta del pm Luca Buccheri che aveva invocato il massimo possibile in abbreviato, 30 anni di reclusione.

 

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