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Venerdì, 29 Marzo 2024
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A cura di Blog Collettivo

Ospitiamo in questo Blog opinioni di alcuni cittadini Brindisini

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Abusi in parrocchia: il vissuto dell'autore, il silenzio delle vittime

E' una brutta, bruttissima notizia quella che si è abbattuta sulla cittadinanza brindisina mercoledì mattina, quando si è sparsa la voce che presso la parrocchia di Santa Lucia il pm Giuseppe De Nozza aveva disposto indagini e perquisizioni su fatti riguardanti il sacerdote che la regge, alla ribalta dell'opinione pubblica dopo un blitz effettuato dalla troupe della trasmissione Mediaset "Le Iene"

E’ una brutta, bruttissima notizia quella che si è abbattuta sulla cittadinanza brindisina mercoledì mattina, quando si è sparsa la voce che presso la parrocchia di Santa Lucia il pm Giuseppe De Nozza aveva disposto indagini e perquisizioni su fatti riguardanti il sacerdote che la regge, alla ribalta dell’opinione pubblica dopo un blitz effettuato dalla troupe della trasmissione Mediaset “Le Iene”.

A settembre l’inviato del programma, Giulio Golia, durante il blitz di cui sopra, aveva chiesto lumi al sacerdote su alcuni comportamenti molesti tenuti nella sua sacrestia, trovandosi di fronte un uomo che negava con veemenza ogni addebito. I contenuti delle riprese sono stati trasmessi in tv solo il 29 ottobre, opportunamente messi in stand by in questi mesi per dare tempo alla magistratura di procedere con le indagini.

Ancor prima che arrivassero le voci del sequestro di materiale probatorio, in città si respirava già un’aria pesante: segno che, qualcosa tenuto nascosto per troppo tempo, era alfine emerso, pronto per passare al vaglio della giustizia. Le indagini appureranno l’entità degli eventuali abusi perpetrati dal sacerdote ma, ormai, ha poco valore se l’esecrabile gesto sia stato compiuto una sola volta o ripetuto sistematicamente.

Da questa vicenda emergono tre aspetti fondamentali che meritano un’analisi attenta per capire l’esplicarsi del fenomeno oltre la mera descrizione enfatica. In attesa che si stabilisca cosa sia avvenuto nella parrocchia di Santa Lucia, valutiamo la casistica generale. Bisogna capire cosa ci sia di problematico dietro la psiche della persona coinvolta nelle indagini, le ripercussioni psicologiche in chi ha subito certi comportamenti e, la cosa più importante, perché tutto venga spesso tenuto nascosto per anni, mettendo a rischio numerosi altri giovani giovani.

Partendo da quest’ultimo aspetto, emerge una costante presente in tutti gli episodi di violenza, da quella domestica a quella perpetrata per strada: le vittime spesso omettono di denunciare gli abusi subiti. Le motivazioni sono da ricercare nell’offesa subita dal malcapitato, un trauma che provoca angosce profonde, sensi di vergogna e di colpa per qualcosa di cui, in realtà, non si ha la responsabilità.

In questi momenti si innescano svariate difese psicologiche: si pensa che la rimozione sia l’unica cosa da fare, rimuovere quanto accaduto come a voler cancellare un file da un disco. Ma la mente umana segue regole diverse da quelle dell’informatica e così anziché cancellare o negare effettivamente il trauma, essa consente a quest’ultimo di scavarsi una tana sempre più profonda, permettendogli di influire negativamente sulla ragione anche parecchi mesi dopo la violenza psicologia subita.

Le colpe dell’aguzzino ricadono su se stessi, quindi denunciare quanto accaduto diventa pari ad un’ulteriore violenza da affrontare, la vergogna di mostrarsi violati davanti alla società, la paura dello stigma sociale, delle indagini invasive, sono un carichi troppo grandi per esser affrontati senza il giusto supporto familiare.

Le famiglie non sempre sono sensibili ai cambiamenti comportamentali delle vittime e cosi possono passare inosservati i silenzi prolungati, i momenti d’assenza del familiare nel hic et nunc (qui e ora) e tutte le ansie o i sintomi depressivi che possono scatenarsi durante le settimane successive allo shock. Le reazioni di chi subisce un forte trauma psicologico di matrice sessuale, possono essere le più disparate ma comunque simili a quelle di chi subisce un disturbo da stress post traumatico, tipico dei militari che sono sopravvissuti ad attentati nelle missioni di guerra. Capire la portata e la genesi di questi disturbi può esser difficile senza l’ausilio di un esperto.

Le vittime d’abusi possono avere attacchi di panico, risvegli notturni ed esplosioni di rabbia, oppure chiudersi a riccio nel proprio mondo in uno stato depressivo. Dal punto di vista sociale, può nascere sfiducia negli altri e le relazioni vengono vissute con ansia. Le variabili di queste manifestazioni risiedono nel tipo di abuso, nella gravità, nella durata e nelle capacità personali dell’individuo.

Probabilmente, molti saranno i ragazzi che dopo aver salutato l’autore degli abusi poi sono scappati sentendosi spaventati da qualcosa che non si aspettavano d’affrontare. In effetti, nonostante la continua rincorsa dell’uomo verso un modello di vita cosiddetto “civile’’, vi sono ancora individui, in questo caso parliamo di parafiliaci, soggetti con disturbi nella sfera sessuale, che rimangono aggrappati alla loro aggressività pulsionale. Trattasi di processi primari alla base degli sfoghi istintivi che corrispondono al bisogno del piacere.

La statistiche dicono che gli aguzzini, spesso subiscono carenze emotive ambientali durante la loro fanciullezza e da cui si determinano deficit evolutivi. Le spinte pulsionali aggressive compensano, nel soggetto problematico, la mancanza d’empatia verso gli altri individui espressione, questa, della mancanza di rispetto per se stessi. Essendo le indagini in fase preliminare e vigendo il presupposto di innocenza dell’indagato, è prematuro dire se quanto scritto rientra anche nella storia del sacerdote brindisino al centro del caso specifico, e ciò comunque sarebbe difficile da sapere senza un’accurata anamnesi.

Ciò che non deve conseguire da questi eventi, è la generalizzazione secondo cui tutti i sacerdoti sono una potenziale minaccia. Sarebbe troppo semplice scaricare su questi missionari tutte le colpe insite nella natura umana. E’ necessario, invece, distinguere coloro che donano la propria vita per qualcosa di più grande, da quelli che sbagliano nella Chiesa, come in tutti gli ambiti della nostra società.

Parlare di questi fatti, in famiglia, finanche in parrocchia è l’unico modo per trovare un senso a quanto è accaduto, siano o meno fondate le accuse, affinché i nostri figli possano imparare che il bene e il male sono presenti ovunque e abbiano le capacità per riconoscere ed evitare situazione di rischio nella loro vita futura.

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