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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Ma non è solo colpa dei no vax. L'auspicio per il 2022: media più seri, scienziati più sobri

C'eravamo tanto amati, nella prima ora del Covid. Poi, è arrivato il vaccino che ha riaperto vecchie ferite. La sfiducia nella medicina nasce da lontano. Dibattiti surreali ed eccessivo protagonismo non aiutato a ricucire lo strappo

Il primo anno è sfilato via fra canti dai balconi e conta dei danni. E dei morti. Immaginavamo il nemico invisibile strisciare dentro casa sotto le suole delle nostre scarpe, che così restavano nel corridoio, davanti all’ingresso, osservate con lo stesso cipiglio di un troiano superstite davanti a quel dannato cavallo di legno, una volta scoperto l’inganno dei greci.

Le vie buie e deserte delle città di sera, per chi si attardava al lavoro, autocertificazione nella tasca del giubbotto, avevano un fascino perverso e cupo. Facile dar forma alla fantasia, in quel silenzio assoluto. Sembrava di essere i protagonisti di un grande romanzo distopico. Ci volevamo, però, tutti più bene, dietro le mascherine. Non ci si poteva stringere fisicamente, ma ci dava forza a vicenda negli sguardi.

Poi, è arrivato il vaccino.

Nella semilibertà riconquistata, siamo tornati come prima, peggio di prima. I contrasti sociali che covavano sotto le ceneri sono diventati fuoco ardente. Le tesi antiscientifiche sono riemerse di prepotenza dalle caverne in cui erano entrate in un momentaneo letargo, facendo breccia nelle paure di chi ha avvertito lo schiaffo della fame per il lavoro in bilico e si è trovato davanti a un futuro senza forma. I complottisti hanno visto il demone della dittatura annidato fra i gangli di decreti e norme. Movimenti sovversivi ne hanno approfittato per vestire i panni di Joker e alimentare il caos.

Il Covid-19 del 2021 è lo stesso nemico invisibile del 2020, al netto delle formazioni di varianti che, nel microscopico mondo del virus, è prevedibile legge di natura. E non avrà un nome diverso nel 2022 appena iniziato. Eppure, l’ultimo anno, è sfilato via fra canti di guerra e conta di minacce. E se è pur vero che nell’oceano degli scettici sono inferiori le correnti aggressive, spaventano impeto e riluttanza, anche di chi – e sono i più, in questa nutrita minoranza – manifestano forme di resistenza passiva al vaccino e persino, in qualche caso, alle cure. Alcuni, fino a morirne. Inutile martirio moderno che provoca solo dolore nelle famiglie.  

Mai come ora, al giro di boa del nuovo anno, occorre una profonda riflessione. Bisogna chiedersi se non vi sia stata anche una colpa (azzarderei, in qualche caso un vero e proprio dolo) proprio nel nostro settore, quello dei media, nell’offrire sponda, garantire un’eco sproporzionata a forme di settarismo che nulla hanno a che vedere con scienza e medicina.

E non solo. Occorre domandarsi se anche scienza e medicina, in particolare le strutture amministrative (veste burocratica dietro la quale si celano scelte politiche) che ne governano i destini, non abbiano a loro volta qualche peccato da cui farsi assolvere nel confessionale dell’umanità. Perché è facile sparare addosso a chi ha abbracciato la fede antivaccinista. Dovremmo pur chiederci, prima o poi, perché si sia arrivati a questo punto. Senza infingimenti.

Spesso, infatti, ci si scorda che il problema nasce da lontano. Tocca almeno gli ultimi vent’anni di storia. L’attuale pandemia, andando al cuore del problema e rubando le parole a un amico medico, si rivela giusto un epifenomeno che ha fatto crollare un castello che già presentava segni di sgretolamento. E sono sempre alcuni medici a fornirmi alcune chiavi di lettura. Tanto da fare mie alcune loro riflessioni.

Partiamo dalla proliferazione delle medicine alternative, a cui in tanti si sono avvicinati nel tempo. Spesso viene accordata a queste categorie complementari un’aspettativa simile alla medicina ufficiale. Ma c’è anche altro. Una fetta non irrilevante della classe medica manifesta forse da troppo tempo scarsa empatia verso il malato. Ma se decade il lato umano nel rapporto fra medico e paziente, anche la fiducia vien meno. E senza fiducia, ci si sente solo numeri che confluiscono nel flusso di dati attraverso i quali, in base alle prestazioni effettuate, una Regione destina fondi agli ospedali pubblici.

Eppure, un uomo, una donna, sono qualcosa di più di semplici dati. Hanno un vissuto, sentimenti, emozioni. La malattia li rende più vulnerabili. Ma perché, in diversi casi, si crea una distanza così netta?

Vi sono fattori ambientali che vanno peggiorando. Lo stress lavorativo si alimenta laddove le strutture sanitarie hanno personale in costante riduzione, con mancanza di turnover, a fronte di un aumento delle prestazioni. Lo vediamo ogni giorno, a pochi chilometri da casa nostra, a Lecce come a Brindisi. Tutto questo amplifica anche il rischio di errore, e così accresce anche il contenzioso medico-legale, peraltro non sempre giustificabile (sappiamo che molte cause contro medici o strutture di cura sono assolutamente temerarie). La diffidenza, allora, diventa reciproca e il sistema va in cortocircuito. Sintetizzando, ci si guarda in cagnesco.

Su questo substrato si è innescato in tempi più recenti il richiamo delle sirene della notorietà. Ci sono scienziati che si sono gettati in politica per poi ritrovarsi incatenati a scelte calate dall’alto, magari anche contro le loro stesse convinzioni. E scienziati che hanno alimentato la smania di protagonismo. E che, invece di chiarire differenti vedute di opinione nelle sedi opportune, si sono riversati come fiumi in piena su giornali, televisioni o, peggio ancora, su piattaforme social dove il filtro è una chimera.

Tante divergenze tra addetti ai lavori hanno solo alimentato confusione e annacquato il dibattito, sul quale troppi media (a livello nazionale, soprattutto) ci hanno messo del loro, arrivando a proporre in modo pervasivo persino il confronto, oggettivamente nauseante, fra scienziati seri e venditori di fumo. Sì, venditori di fumo, dubbi personaggi a caccia di consensi elettorali o solo dell’attimo di effimera gloria che ormai non si nega più a nessuno. Una spettacolarizzazione inaccettabile davanti a un virus che macina morte e dolore.

Tutto questo non aiuta certo a intraprendere le giuste strade, specie considerando che molte delle illazioni sui vaccini nascono da una sfiducia ormai incancrenitasi nei confronti dell’industria farmaceutica, composta da colossi finanziari internazionali che generano fatturati equiparabili a prodotti interni lordi di alcune nazioni. Una scienza, dunque, vista da una fetta sostanziosa di popolazione come un’industria che genera profitto. E se il dibattito è caotico e poco serio, in un simile quadro i complottismi non possono che proliferare. Anzi, per essere in tema: diventare virali.

Il concetto, in fin dei conti, è semplice. Molti no vax dicono: “Non voglio fare il pollo da batteria per arricchire le multinazionali”. Ma è qualcosa che ha a che fare con l’emotività, non con la razionalità. È un meccanismo di rimozione e di difesa, che finisce per ridimensionare, se non negare del tutto l’evidenza del dramma. 

E torniamo così ai social, alle fake news, all’informazione scriteriata, distorta o di bassa qualità, ma spesso presentata come innovativa e stupefacente, con semplici e sempre efficaci tecniche di marketing. Troppi pazienti finiscono oggi per raccogliere informazioni scadenti in Rete, per poi mettersi a comparazione diretta con il proprio medico, pensando magari persino di correggerlo. Finisce così per essere un confronto che si ritiene alla pari, partendo dal presupposto della fallibilità dell’uomo. E quindi, anche del medico, che è prima di tutto un uomo. Appunto.

Qualcuno confida nell’avvento, ormai dietro l’angolo, delle applicazioni dell’intelligenza artificiale, per far risalire la fiducia nella scienza. La storia ci suggerisce che quello attuale sia un momento di transizione, con una secolarizzazione della medicina tradizionale in attesa dell’avvento dei robot. Sono soprattutto le nuove generazioni a puntare su questo tipo d’innovazione. E per quanto la mia mente, e credo anche quella di molti lettori che ora si stanno annoiando davanti a questo trattato, sia per formazione culturale più vicina a quella di un umanista del passato, credo che questo processo sia irreversibile. Non saprei dire, ora, se sia giusto o meno. Ma dietro alla programmazione di una macchina, ci sarà pur sempre un uomo e non un'altra macchina.

Almeno, spero. 

In attesa che questo processo diventi definitivo, confido ancora, stoicamente, nell’umanità. Non so se andrà davvero tutto bene, come ci dicevamo solo fino all’altro ieri. Ma vorrei ricordare un paio di storie locali, molto recenti, che ci rimandano alla nostra umanità, ci uniscono.

Vorrei ringraziare con tutto il mio cuore la famiglia, rimasta nell’anonimato, del ragazzo di 33 anni deceduto per aneurisma e che ha acconsentito a un prelievo multiorgano, avvenuto presso l’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce a novembre. Permetterà ad altri di continuare a vivere e coltivare sogni e speranze. E vorrei ringraziare anche i ragazzi di Brindisi che hanno permesso a un artista di strada di tornare nella sua terra natia, per Natale, non con una raccolta di fondi, che sarebbe stata fin troppo facile, ma con la dignità che merita un uomo che lavora, qualsiasi sia stata la sua scelta di vita: aiutandolo a vendere le sue opere e con quei soldi, guadagnati, acquistare un biglietto targato casa.  

Il gesto del dono della vita ad altri, nel dolore impossibile da commisurare per la perdita di una persona cara, peraltro così giovane, come quello di permettere a un uomo tanto umile, quanto decoroso, di realizzare un sogno non con l’elemosina, ma con un’iniezione di fiducia, ci fanno riappacificare con il mondo. Sono punti dai quali vorremmo ripartire per il nuovo anno, piccole, grandi storie, due esempi non usati a caso. La prova provata che non tutto è perduto. Godiamoci la nostra umanità. Un dono che, fino a prova contraria, non ha pari nello sconfinato universo. Riportiamola sempre a galla, ogni giorno, quest’umanità. Non sia mai che ricominciamo ad avere tutti fiducia, gli uni degli altri.

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